12 luglio 2007
Messa tridentina: la parola al Vescovo di Como ed a Ferdinando Camon
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Torna il latino nelle chiese. Ma la novità introdotta da Benedetto XVI con la promulgazione del Motu proprio, sembra mettere in gioco contenuti che vanno ben oltre la modifica di un rituale e delle sue formule. Qualcuno già parla di documento epocale? «Mi sembra francamente esagerato», reagisce il vescovo di Como e Sondrio, Diego Coletti, che smorza subito i toni altisonanti che hanno accompagnato la notizia. E chiarisce: «La distinzione non è fra la messa in latino o in italiano. Ho l'impressione che i leghisti che stanno raccogliendo le firme da presentare al parroco di Grandate per chiedere la celebrazione della messa in latino siano fuori pista, non abbiano capito di cosa si tratti effettivamente». Di che si tratta quindi? La messa in latino si poteva tranquillamente celebrare anche prima del Motu proprio, lo si è sempre fatto nei grandi santuari frequentati da fedeli di tutto il mondo, senza scandalo per nessuno. Va chiarito che la celebrazione in latino in questi casi mantiene comunque il rito post conciliare. E arriviamo al punto: il Motu proprio consentirà invece di celebrare la messa secondo il rito preconciliare. E' così? L'intenzione del documento promulgatola da papa Ratzinger, a lungo preparato e discusso, è di venire incontro ad una richiesta molto ridotta e correttamente motivata, avanzata cioè da una ristretta fascia di fedeli appartenenti a circoli e comunità cristiane particolarmente legate all'antico rito della tradizione. A ben vedere si tratta di piccoli gruppi favorevoli al rito preconciliare, per lo più costituiti da persone anziane e che conoscono il latino. L'articolo 5, paragrafo 1, non lascia dubbi circa la concessione dell'uso dell'antico messale: «Nella parrocchia in cui esiste stabilmente un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica, il parroco accolga volentieri le loro richieste per la celebrazione della Santa Messa secondo il rito del messale romano edito nel 1962». E' importante comprendere che una tale intenzione è ben differente da quella dei gruppi di contestazione lefebvriana che avevano brandito questo messale romano come un simbolo della protesta. Lo storico Franco Cardini i giorni scorsi ha ricordato che l'Occidente ha conosciuto Dio in latino sottolineando l'impronta indelebile dell'antica lingua che per 1500 anni ha consentito una comunicazione senza confini. Mi vien da precisare che l'Occidente ha conosciuto Dio in greco e in latino e poi l'ha tradotto. È comunque indubbio che per secoli la lingua della Chiesa, della teologia e dei documenti è stata il latino, ma da altrettanti secoli l'evangelizzazione è stata fatta nelle lingue vernacolari. Quali sono le sostanziali differenze fra il messale romano del 1962 e quello codificato da Paolo VI nel 1970 secondo la riforma determinata dal Concilio Vaticano II? Ho vissuto tutta la formazione in seminario e i primissimi tempi del sacerdozio imparando a dir messa, precisamente 42 anni fa, con il messale del '62. Il cambiamento del rito segna il passaggio da una visione più misteriosa, sacrale, riservata a pochi addetti ai lavori, ad una dimensione più partecipata, con una comprensione maggiore dei testi e una semplificazione dei riti oggi indubbiamente più lineari, eleganti, meno barocchi. In che senso meno barocchi? Con l'antico rito in una messa si arrivava a fare fino a nove segni di croce, oltre a innumerevoli genuflessioni, inchini, ritualità pesanti. Dobbiamo riconoscere però che a volte si è passati da un eccesso di rigidità ad un eccesso di fantasia e arbitrarietà: oggi il rischio della liturgia postconciliare è quello di assumere una forma sciatta, non sempre curata e sufficientemente espressiva. Intanto alcuni fedeli hanno accolto la novità con entusiasmo, altri la ritengono una sorta di concessione ai lefebvriani, altri ancora temono rappresenti un passo indietro o un rallentamento nell'applicazione del Concilio Vaticano II. Come giudica questi umori? Avrei paura sia dei grandi entusiasmi che possono far supporre una posizione ideologica, sia di proteste vibranti e scandalizzate. In una realtà composita e articolata come la Chiesa occorre riconoscere il giusto spazio a coloro che vogliono costruire e hanno il diritto di farlo secondo una loro preferenza, ma senza spirito di avversione. Del resto in segno di accoglienza di cattolici orientali, ad esempio, non è raro che si celebrino messe secondo il loro particolare rito. Non dimentichiamo che l'intento espresso da Benedetto XVI, sia nel documento Motu proprio che nella lettera di presentazione, sottolinea soprattutto l'aspirazione alla riconciliazione e all'unità in seno alla Chiesa. Nella diocesi di Como e Sondrio cosa accadrà in proposito? Non ho la sfera di cristallo. L'auspicio è che nessuno cavalchi questo Motu proprio per creare contrapposizioni fuori luogo. E non si pensi che la forma rituale preconciliare diventi pane quotidiano da concedere a chiunque lo richieda, magari mosso da un semplice senso di curiosità, quasi da un capriccio, o peggio da un'avversione al Vaticano II. Là dove invece viene presentata una richiesta motivata è giusto che sia presa in considerazione, in prima istanza dal parroco e, se questi non l'accogliesse, dal vescovo. Ma se il vescovo dovesse verificare che la domanda non è opportuna o che non vi siano le condizioni previste nello stesso documento Motu prorio, può anche negare il suo consenso e avvisare la apposita Commissione vaticana Ecclesia Dei. E quando il vescovo Coletti celebrerà la prima la prima messa con l'antico rito? Quando mi verrà chiesto da chi ha il diritto di farlo e solo se le condizioni del Motu proprio saranno tutte verificate. Per me comunque l'occasione potrebbe avere il gusto di una rentrée nei miei primi anni di messa».
Laura d'Incalci
© Copyright La Provincia di Como, 11 luglio 2007
Francamente starei molto attenta ad affermare che la richiesta di celebrare la Messa tridentina debba essere motivata. Non mi pare che il motu proprio parli di questa condizione, ma solo di gruppo stabile di fedeli. Ricorrendo alla categoria della stabilita' si evitano sia i capricci sia le mere curiosita'.
Inoltre non mi pare proprio che la richiesta di celebrazione di Messe tridentine provenga solo dagli anziani. Attenzione a non cadere in questi luoghi comuni...
Raffaella
MESSA E POLITICA
MA L’USO DEL LATINO NON SIGNIFICA PASSATO
Il papa permette che, dal 14 settembre, la messa si possa celebrare anche in latino. Basta che un certo numero di fedeli lo chiedano. Già la vedo, l’Italia cattolica dopo la metà di settembre: sulle porte delle chiese ci saranno i cartelli: “Qui messa in latino” o “Messa in italiano”. Le chiese del centro città, dell’alta borghesia, le cappelle universitarie, avranno la messa in latino. Le parrocchie delle periferie e delle campagne continueranno con la messa in italiano. Avremo un’Italia cattolica non più unitaria, ma a pelle di leopardo.
La messa in latino rappresenta un passo indietro. Ma “passo indietro” non significa “errore”. Il problema è: ciò che la Chiesa chiama”verità” ci sta davanti o dietro? Noi andiamo verso la verità o veniamo dalla verità? Se andiamo verso la verità, la messa ha senso solo nelle lingue volgari. La parlata volgare segna il punto in cui siamo nel cammino lungo la vita e la storia. Ma se la verità è stata rivelata, e compito della Chiesa è custodirla, la messa ha senso soltanto in latino. Una verità detta in latino e una verità detta in francese o in inglese non sono la stessa verità. Mi sorprendo ogni volta che, sostando in una chiesa inglese, sento chiamare Lord chi noi chiamiamo Signore. Nel passaggio da una lingua a un’altra cambiano i nomi, con i nomi le cose, con le cose il mondo. Una lingua è un mondo, un’altra lingua è un altro mondo. Lungo i secoli, noi siamo andati verso una messa in italiano che non è la traduzione della messa in latino, ma la sua sostituzione, con altri concetti. Il “Deus sabaoth” è il Dio degli eserciti. Nella traduzione italiana diventa il”Dio dell’universo”. Nel testo greco Gesù offre corpo e sangue”perì pollòn”, per molti. In latino, “pro multis”. In italiano oggi è “per tutti”. Dunque, in greco e latino Gesù viene per una salvezza mirata: offerta ad alcuni e non ad altri. Qui s’innesta un problema enorme: se la salvezza è offerta a molti ma non a tutti, agli altri cosa resta, la perdizione? Immancabilmente, il “pro multis” si lega al “perfidis Judaeis”, quelli che a suo tempo han chiesto (in Matteo) che il sangue di chi era venuto per salvare l’umanità ricadesse su di loro e sui loro figli. Ogni tanto qualche scrittore o regista cattolico s’interroga sul rispetto dei testi originari. In Italia, la domanda va da Dante fino a Papini, Fellini, Pasolini, Testori, Luzi. Nel cinema, l’ultimo a porsi la questione è stato Mel Gibson. Ha girato “La Passione” a Matera, sul greto del fiume e tra i Sassi, e alla sera andava a cena (mezza pizza a testa) col parroco di sant’Agnese e gli chiedeva: “Cosa dite voi preti, quando alzate il calice?”,”Offerto a voi e a tutti...”, “No no no!”, protestava Gibson, e tirava fuori i testi greci e latini. I testi gli davan ragione. Ma quella ragione non è più dicibile. Neanche per Gibson. Lui fa parlare Gesù e il popolo in aramaico e traduce l’aramaico nelle didascalie, ma quando il popolo urla: “Il sangue suo ricada su di noi e sui nostri figli”, non mette la didascalia. Non vuole che il suo pubblico senta e capisca. Anche per lui, quelle parole sono oggi impronunciabili.
E allora, il ritorno alla messa in latino non può essere un ritorno ai testi originari. Il “perfidis Judaeis” non ci sarà. Il “pro multis” nemmeno. Non solo non tornerà, ma il Cattolicesimo di oggi lo sente come non-cattolico: chi viene per salvare alcuni uomini ma non tutti non può essere il salvatore dell’umanità. E allora rispondiamo, alla domanda iniziale: la Chiesa si ritiene custode della verità (Ratzinger lo confermava proprio ieri: l’unica Chiesa voluta da Cristo è quella cattolica), ma ha due compiti verso la verità: aggiornarla continuamente e non perderla mai di vista. Il ritorno al latino serve al secondo compito.
Ferdinando Camon
© Copyright Corriere delle Alpi, 11 luglio 2007
Un po' semplicistico trattare la Messa tridentina come qualcosa di "snob".
R.
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10 commenti:
Cara Raffaella mi sembra che qui si diano risposte fatte in serie...... pare che siano stati fatti dei ciclostili o se vogliamo delle fotocopie, che poi a turno ognuno recita.......gli argomenti sono sempre gli stessi e le osservazioni, peraltro ormai vecchie, perchè sono in giro prima che uscisse il Motu Proprio, sono di una retorica impressionante e contengono dei luoghi comuni che ormai hanno sinceramente stancato; perdipiù, come avevo pensato, si distorcono le disposizioni del Motu Proprio .......... povero Papa Benedetto dovrà fare un'ulteriore lettera esplicativa perchè temo che la prima non sia stata capita o per disattenzione o per volontà a non voler capire.
Non so perchè ma ho come l`impressione che per gli abitanti di Como, ..."ce n`est pas gagné d`avance"......!
Vorrei, per ora, riferirmi solo al secondo articolo.
E' un fatto arcinoto che la sottotitolatura al film The Passion, non è stata voluta da Gibson, ma dalle società che hanno distribuito la pellicola nelle sale, e il "buco" nei sottotitoli, relativo al momento in cui il popolo chiede che il sangue di N.S. ricada su di loro, è dovuto alle proteste (non sta a me dire se giuste o sbagliate) di alcune frange del mondo ebraico americano, precedenti l'uscita del film.
Chiedere che S.R.C. si adegui al comportamento di società di distribuzione cinamatografiche è francamente ridicolo.
E' anche stupefacente, che si pretenda una traduzione filologica, solo nel caso in cui questa dia risultati politicamente corretti. La verità, specialmente in questo genere di cose, è sempre necessaria, "opportune et importune".
Il redattore del secondo articolo è un sobillatore!!!
Qualcuno gli spieghi che la corretta dicitura PRO MULTIS (per molti) nella consacrazione è già stata ripristinata ANCHE per il novus ordo!
Il documento che stabilisce ciò è la "circolare della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti del 17.10.2006".
Il provvedimento entrerà in vigore nel 2008.
Non è vero che "lungo i secoli, noi siamo andati verso una messa in italiano che non è la traduzione della messa in latino, ma la sua sostituzione..." come afferma con la sua retorica faziosa il pessimo articolista!L'unica vera messa, gli unici atti ufficiali della Santa Sede etc. sono sempre stati è saranno sempre in latino.
Anche il novus ordo è in latino.
Le conferenze episcopali locali che curano le traduzioni ad uso dei fedeli fortunatamente non impiegano secoli ma pochi anni.
Le traduzioni sono filologicamente e teologicamente corrette, per quanto possibile.
Chi è in grado può sempre usare il latino, che è e resta la lingua della cristianità.
Il seminatore di discordia che ha scritto il secondo articolo non sa quello che dice.
Egli scrive: "noi andiamo verso la verità o veniamo dalla verità? Se andiamo verso la verità, la messa ha senso solo nelle lingue volgari[...] Ma se la verità è stata rivelata, e compito della Chiesa è custodirla, la messa ha senso soltanto in latino".
E'ovvio che noi veniamo dalla verità che è Cristo.
La Chiesa ha il compito di custodire la Verità rivelata.
Nessuno nella Chiesa ha detto che la traduzione in volgare della liturgìa sia un progresso, o un passo in più verso la verità.
E'semplicemente un adattamento alle esigenze di alcuni fedeli.
La verità della lettera rimane infatti immutata perchè la lingua ufficiale della chiesa è sempre il latino.
Chi attribuisce all'uso del volgare il valore di un progresso, come il nostro autore, e non di un adattamento temporaneo, non conosce la mente della Chiesa e non sa quello che dice!!!
Parole di saggezza, caro anonimo. Ma ti sembrano tempi in cui si è disposti a discutere liberamente opportune ed importune, questi?
C'è un 'enorme paura delle parole. E' un segno tremendo della mancanza di libertà intellettuale. Certe cose non si possono dire, sennò finisci nei titoli grandi dei giornali e negli inevitabili commenti che il solito gruppone di avvoltoi prepara alla bisogna, magari per guadagnarsi lo stipendio, ma è così.
E' questo secondo me il segnale più brutto dell'epoca odierna, la paura del pensiero, dell'argomentare, lo smussare ad ogni costo, per, alla fine, non dire niente. Niente che soprattutto interessi alle giovani generazioni.
Una elite che si trincera sempre dietro alle solite argomentazioni, che crea tabu, che non ha niente da proporre oltre alle solite cose da 40 anni, ma di che aiuto può essere a chi è giovane? Non mi meraviglia che siano i giovani i più disponibili alla Messa in latino, ho letto testimonianze in questo senso anche sulla stampa francese, che è tutto dire. E' invece la generazione del 68 come dice Luisa o del 77 che non si smuove da lì e da tempo immemorabile continua ad andare agli stessi convegni da decenni, dal titolo: "Dove va la sinistra?"
Ma rispondete un po' voi a questa domanda.
Poi un giorno che ho tempo vi dirò dove penso che vada la destra, perchè quello che giusto è giusto.
Se non si riesce a parlare alto e forte di che libertà stiamo parlando? Ma non solo per papa Benedetto, per tutto quello che riguarda le nostre vite?
Mi sono lasciata un po' andare, abbiate pazienza, ma è perchè qui mi sento a mio agio.
Grazie Mariateresa, per il tuo post, ma soprattutto per averci detto che qui ti trovi a tuo agio. Penso che dovremmo riflettere tutti sul fatto che sempre piu' giovani chiedono risposte sincere ed oneste (anche scomode) e sono attratti dalla Messa tridentina quasi fosse la risposta ad una crisi di valori.
Perche'? Perche' chi e' nato dopo il Concilio (io sono fra questi) sente la necessita' di approfondire certi argomenti, di leggere le fonti (i documenti del Concilio e non le interpretazioni) ed e' attratto, direi in modo irresistibile, dalla tradizione? Come mai le risposte che ci vengono propinate non ci bastano? Sono domande su cui tutti (destra, sinistra, centro, estrema destra, estrema sinistra, centrodestra, centrosinistra) dovrebbero riflettere...
Grazie anonimo per il mtuo commento, solo ora leggo il tuo post. sono pienamente d'accordo con te quando dici che la traduzione in volgare della liturgia non è un passo verso il progresso ma, soltanto l'adattamento alle esigenze di alcuni fedeli.... tutto questo rientra a mio parere, nella famosa religione fai da te che si adatta a seconda dei propri comodi e ai desideri della società in cui viviamo!!!!!!
Eugenia
Intendiamoci Euge... io non gli assegno una valenza molto negativa a questo fatto.
Certo, anche il Card. Ratzinger disse che era sbagliato credere che una traduzione della "lettera" avvicinasse allo "spirito" i fedeli...
Comunque se l'uso del volgare è servito o serve per portare Gesù fra la gente... ben venga!!!
Anche se la sua efficacia è piuttosto illusoria...
Infatti, anonimo è illusoria!!!!!!!!!!
eugenia
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