17 luglio 2007
Rusconi: elogio della ragionevolezza (e del relativismo)
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GIAN ENRICO RUSCONI
Nel suo «discorso pubblico» un cardinale afferma che la Chiesa è rimasta l’unica istituzione in Italia in grado di difendere la famiglia. Raccoglie l’applauso del pubblico.
Applaudono in prima fila anche quelli che la Conferenza episcopale italiana certifica come i «veri laici», includendovi pure gli agnostici che di Dio, di Cristo o della storia della Chiesa non sanno quasi nulla, ma stanno dalla parte della Chiesa contro la (presunta) deriva lassista e illuministica della società contemporanea e contro l’islamismo strisciante.
In effetti, oggi il consenso alla Chiesa può fare a meno di qualunque informazione e competenza teologica. L’età post-secolare si presenta anche come l’età dell’impoverimento del quadro teologico, quantomeno nell’ambito del discorso pubblico che sta a cuore alla Chiesa di oggi. Conosco le seccate obiezioni di quanti mi accusano di essere disinformato non solo del fervore delle nicchie teologiche specializzate, ma anche dei libri che ogni anno escono in Italia e che sono esposti nelle vetrine delle grandi librerie laiche. In realtà si tratta per lo più di opere di dottrina morale o di esegesi biblico-evangelica, dove i riferimenti teologici sono soltanto di supporto e funzionali alle raccomandazioni morali. Si confonde la letteratura religiosa edificante con la riflessione teologica. Un sintomo grottesco è stato quello di uno zelante cardinale che in occasione della festa di Natale (evento fondante della teologia dell’incarnazione) non ha trovato di meglio - nel clima dell’offensiva contro «le coppie di fatto» - che parlare della grotta di Betlemme come del luogo in cui c’era la «vera famiglia».
Nell’attuale ritorno del classico tema «ragione e fede», che rimette in circolazione i non meno classici motivi contrapposti, chi esce perdente è la ragionevolezza. È sconfitto cioè chi non vuol «vincere», chi non intende imporre le sue convinzioni ma vuole creare una comunità di cittadini che si parlano seriamente, partendo dalla constatazione che su alcune «verità» importanti non c’è possibilità di convergenza tra differenti convinzioni. Eppure è necessario creare un ragionevole modo di vivere insieme. Solo la ragionevolezza (che viene diffamata come relativismo) può costruire una società di cittadini maturi.
In questo contesto va collocato anche uno dei motivi-guida del pensiero di Papa Ratzinger: la razionalità della fede. La strategia ratzingeriana conferma e insieme tenta di controbattere l’impoverimento teologico nella comunicazione pubblica della Chiesa, di cui parlavo sopra. Quello della razionalità della fede è il tema centrale nella complessa attività espressiva del Pontefice, che pure spazia negli ambiti più diversi. Oggi polarizza l’opinione pubblica soprattutto attorno al recupero delle forme della traditio cristiana. Ma anche la reinvenzione della tradizione (tale è la Messa in latino) rientra nello sforzo di trovare attraverso le antiche radici greco-latine la ratio cristiana. Questa tematica lascia con discrezione sullo sfondo i grandi temi teologici della redenzione, della colpa originale, della salvezza o della dottrina trinitaria, che sono diventati troppo ostici e difficili da spiegare a un pubblico religiosamente deculturalizzato come l’attuale. Si concentra su argomenti apparentemente più accessibili e universali come la «natura /natura umana» e appunto «la razionalità».
Parte decisiva dell’operazione ratzingeriana che declina il discorso religioso con le categorie del logos e della ragione, è il richiamo all’originaria ellenizzazione del cristianesimo. Con questo concetto si intende l’operazione culturale con la quale, tra il II e il IV secolo, gli esponenti più qualificati della Chiesa in formazione hanno strutturato, tramite categorie prese dalla tradizione platonica, i dogmi originari del cristianesimo - non senza profondi traumi e laceranti conflitti. Ma Ratzinger non si cura di quei conflitti: a lui preme presentare l’ellenizzazione come riuscito e insuperabile modello del rapporto tra ragione e fede.
Il tema dell’ellenizzazione / disellenizzazione del messaggio cristiano - fortemente sviluppato nella lezione di Ratisbona - ha colto di sorpresa e impreparati i commentatori cattolici nostrani. Ha provocato invece una vivace reazione polemica nel mondo protestante tedesco e americano e, in generale, là dove esiste ancora una cultura storica e religiosa degna di questo nome.
Da noi invece i commentatori del discorso papale continuano a elogiare soltanto l’argomento (certamente centrale) che l’autentica ragione religiosa è nemica della violenza, non solo della violenza maldestramente attribuita all’Islam con l’infelice citazione dell’imperatore bizantino poi chiarita, ma anche della violenza del nichilismo contemporaneo e dello scientismo, da cui discenderebbe il disprezzo dei valori dell’uomo.
Ma se si esamina attentamente l’argomentazione di Ratzinger si arriva presto alla conclusione che il suo bersaglio non è lo scientismo, bensì la razionalità scientifica stessa, vista come riduzione dell’orizzonte della vera ragione che si proietta verso il trascendente. Insomma la vera ragione per il Papa è «la ragione della fede», quella «che s’interroga su Dio».
A questo punto viene il dubbio se Ratzinger, nonostante la sua dichiarata ammirazione per la conoscenza scientifica, non ne disconosca di fatto l’essenziale. Che la ragione sia limitata lo sappiamo da sempre, in modo sistematico nell’età moderna a partire da Kant, verso il quale Ratzinger invece formula un giudizio sorprendentemente negativo. Ma se Ratzinger accetta l’autonomia della logica e della ricerca scientifica soltanto in una logica di subalternità alla ragione religiosa, se nega alla scienza la capacità autonoma di conoscenza sull’uomo e sulla natura, nega di fatto l’essenza stessa della ragione moderna.
Non sono io a dirlo, ma Jürgen Habermas, che i cattolici additano volentieri come il partner laico ideale del discorso religioso, fraintendendo e trasfigurando il suo colloquio con l’allora cardinale Ratzinger (in realtà si è trattato di un dialogo finto, dettato da reciproca cortesia intellettuale). Ebbene il Pontefice - ha scritto Habermas - «ha dato al vecchio dibattito sulla ellenizzazione e disellenizzazione del cristianesimo una svolta inattesa nel senso di una critica alla modernità.
Con questo, ha fornito anche una risposta negativa alla domanda se la teologia cristiana deve tenere conto delle sfide della ragione moderna, post-metafisica». Ogni possibilità di dialogo viene annientato alla radice.
© Copyright La Stampa, 17 luglio 2007
Innanzitutto chi ha maldestramente attribuito la violenza solo all'islam non e' certo il Papa, ma, appunto, certi "maldestri commentatori" nostrani, e non solo, che hanno interpretato la citazione "con i piedi" non cogliendo (la cosa grave e' che non colgono nemmeno oggi) la portata storica della lectio di Ratisbona.
Caro Rusconi, scenda a terra: scoprira' che il dibattito teologico si sta rinverdendo proprio grazie ai discorsi di Benedetto XVI.
Ci vorra' molto tempo, siamo solo all'inizio...
Raffaella
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2 commenti:
mah, tutto il ragionamento mi sembra un po' tirato per i capelli. Ricordo una puntata di 8 e 1/2 dopo il convegno di Verona, ospite Rusconi e manco a dirlo Melloni. Anche li', Rusconi disse la stessa cosa, che Benedetto aveva dei pregiudizi sulla scienza e alle obieioni di Ferrara, piuttosto energiche perchè non è certo timido, oppose un vago "ma si, sembra accettare la scienza , però..." non arrivando poi a nessuna conclusione.
Comunque il dilogo c'è per la buona volontà delle due parti, non c'è proprio niente di "annientato alla radice".
E' il secondo articolo di Rusconi negli ultimi tempi in cui mi sembra assumere un tono da cane bastonato. E' vero che diversi cattolici sono rimasti spiazzati dalle questioni poste da Benedetto su fede e ragione, si vede. E lui mi sembra uno di questi spiazzati.
Per quanto tempo molti intellettuali hanno parlato di GPII come di uno sprovveduto, almeno 10 anni, incapace di capire l'Europa, l'occidente, un rozzo slavo imbevuto di devozione mariana, ah se avessi conservato quegli articoli.....
Adesso dire che Benedetto è rozzo è un po' troppo grossa, anche Rusconi ammette che ha un pensiero complesso e allora si tira fuori che non capisce la modernità.
Ma ci fosse qualcuno che spiega in modo sensato cos'è la modernità.
Grazie Mariateresa, evidentemente anche Giovanni Paolo II veniva attaccato sul piano personale.
Evidentemente non si puo' dire che Benedetto e' rozzo e nemmeno che non capisce l'Europa. Cosi' lo si accusa di essere un tradizionalista retrogrado, salvo poi rimanere spiazzati quando il Papa parla di ecologia, tangenti e quando manda lettere alla Cina. Che cosa fanno i grandi giornali e i sedicenti intellettuali quando Benedetto XVI li spiazza? Semplice: o lo ignorano o fanno strani ragionamenti per dimostrare che e' un nemico della cosiddetta modernita', come se questa fosse la panacea di tutti i mali...
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