16 luglio 2007
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La novità nella celebrazione della messa decisa da papa Benedetto XVI con “motu proprio”
Latino, parroci soddisfatti
A S. Gordiano un gruppo di fedeli pronto a chiedere il vecchio rito
di STEFANIA MANGIA
Parroci soddisfatti per il “Motu proprio” deciso da papa Benedetto XVI col quale si introduce la possibilità di celebrare la messa col vecchio rito latino (in base al “Messale romano” di Pio V riformato da Giovanni XXIII nel 1959). I parroci sottolineano come il latino non fosse mai stato abolito e il senso ecumenico della novità che entrerà in vigore il 14 settembre. A S.Gordiano un gruppo di fedeli già pronto a chiedere il ritorno al vecchio rito.
Il latino nella messa cattolica: né vezzo elitario, né presuntuoso intimismo e nemmeno nostalgico ritorno al passato.
Un giro in alcune parrocchie è stato quanto mai utile per capire cosa ne pensano i parroci e per approfondire il significato della recente decisione papale che “entrerà in vigore” il 14 settembre prossimo.
«Quella di Papa Benedetto XVI non suona affatto come una restaurazione - spiega don Franco Fronti, in questi giorni sostituto di don Vito Passantino, a San Liborio - da sempre il latino è la lingua della Chiesa e da sempre c’è la possibilità di celebrare in latino: prima serviva l’autorizzazione del Vescovo, adesso, se richiesta da un gruppo di fedeli, la messa più facilmente potrà essere celebrata nell’antica lingua. E non necessariamente ogni giorno - conclude - ma in momenti liturgicamente rilevanti o solenni, o in contesti eccezionalmente multiculturali: il latino unirà cattolici “divisi” da lingue volgari diverse».
Anche per don Giuseppe Verdecchia, dei Salesiani, tale provvedimento va letto nell’ottica dell’ecumenismo: «L’unità della chiesa è molto importante, anche e soprattutto alla luce di scismi come quello del vescovo Marcel Lefebvre».
Padre Appio Rosi, dei Cappuccini, afferma: «Nessun cambiamento sconvolgente. Quello apportato dal Concilio Vaticano II lo fu realmente: rivoluzionò il modo di celebrare con il sacerdote che, da una posizione di “portavoce” del popolo verso Dio (spalle ai fedeli), si “aprì” verso la platea, ricordando il vero significato della parola “ecclesia”, assemblea. E poi la rivoluzione copernicana della lingua volgare, accessibile a tutti, non solo nell’omelia. Già allora si poteva celebrare in latino. Certo, per una serie di non semplici passaggi burocrativi non lo si faceva spesso ma ora come allora il latino, un po’ come nella giurisprudenza, esprime con forza concetti teologici chiari, non soggetti ad ambigue interpretazioni post traduzione. Questa decisione si applicherà in contesti particolari, come la chiesa di San Pietro, dove coesitono quotidianamente lingue diversissime o quando un grupo di fedeli ne esprimerà il desiderio. Certo - conclude - il celebrante come i fedeli richiedenti dovranno “masticare” bene il latino, altrimenti si ridurrà a vuota esteriorità il valore della celebrazione stessa.
« La polemica è solo italiana – afferma deciso don Giuseppe Lamanna, parroco di Campo dell’Oro – nessuno vuole imporre il latino a chi non lo conosce! Il Papa dà un’opportunità in più di sottolineare che il latino è stato, è e sarà la lingua ufficiale della religione cattolica. In questo modo, soprattutto in momenti particolarmente solenni o multietnici non esisteranno problemi di comunicazione».
E don Franco Nardin, parroco a San Gordiano, aggiunge: «Ho apprezzato questo tentativo di ricomporre l’unità, sempre più minata, della Chiesa. Nella mia realtà parrocchiale, appena appresa questa novità, alcuni fedeli mi hanno chiesto di organizzarmi subito per la prima messa in latino…».
© Copyright Il Messaggero, 16 luglio 2007
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