10 settembre 2007

Il Rapporto fede-scienza: lo speciale di Avvenire


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Il messaggio di Mariazell

In cammino con ben chiara la meta

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L'omelia che il Papa ha pronunciato nella mattinata di sabato a Mariazell ha un impianto fortemente cristologico. Guardare a Cristo è il tema che la struttura tutta: a Cristo raffigurato nel santuario come un bambino tra le braccia di Maria, a Cristo raffigurato sopra l'altare maggiore come un crocifisso che apre e stende le braccia verso il mondo. In ambedue queste immagini, quella del bambino protetto dalla Madre e quella del morente che affida se stesso e il mondo intero a Dio, si riassume tutto ciò che il cristianesimo ha da dire sulla verità del mondo e dell'uomo. La verità non è arrogante, ma è umile; la verità non si manifesta a chi si chiude in se stesso, ma solo a chi sa aprirsi all'altro e aprirsi fino al limite estremo del sacrificio di sé.
A chi è rivolta questa omelia? Ai cristiani, certamente. Ma non a loro soltanto: essa è rivolta altrettanto certamente a tutti gli uomini "di buona volontà", a tutti coloro cioè che non si chiudono pregiudizialmente all'ascolto di qualunque messaggio che li riguardi. E il messaggio che proviene da Mariazell riguarda tutti gli uomini, perché è un messaggio cristiano, perché - come ogni messaggio cristiano - annuncia la verità di Cristo e assieme, e indissolubilmente, annuncia la verità dell'uomo. Basterà, per meglio rendere ragione di quanto detto, portare l'attenzione su due punti soltanto dell'omelia. Il primo riguarda il tema del pellegrinaggio e non a caso, dato che Mariazell è il più celebre santuario austriaco. Porsi in pellegrinaggio, spiega il Papa, significa individuare prima e camminare poi verso una meta. Il pellegrino, colui che ha scoperto che la vita non può ridursi a un vagabondaggio insensato, non è l'uomo che ha la certezza di arrivare alla meta, ma l'uomo che sa che la vita ha un senso solo se ci si prefigge una meta. La crisi spirituale del nostro tempo, spiega il Papa con parole tanto rapide quanto incisive, dipende in fondo solo da questo: ritenendosi incapaci di orientarsi alla verità, mo lti uomini d'oggi si rassegnano a vagabondare, rischiando di perdere definitivamente il senso stesso della differenza tra bene e male. Lo si vede in modo esemplare nelle vicende della scienza di oggi, sempre più potente a livello funzionale e sempre più miope (per non dire addirittura cieca) per quel che riguarda il bene dell'uomo.
Ma anche ad un secondo livello il tema del pellegrinaggio si rivela istruttivo per tutti. Mariazell è un santuario mariano: ed è all'amore che unisce la Vergine e il suo bambino che si rivolgono i pellegrini, che ben sanno in cuor loro come in questa immagine si riassuma tutto il fascino e il mistero dell'amore. L'amore infatti è ciò di cui tutti abbiamo bisogno, ma che nessuno può produrre con le proprie forze: l'amore lo si può solo ricevere come dono e solo come dono trasmettere agli altri. La crisi demografica che colpisce l'Europa, sostiene in Papa con parole delicate ma inequivocabili («l'Europa è divenuta povera di bambini»), è segno di una tragica crisi di amore e insieme di crisi di fiducia verso il futuro. E quando il futuro diviene non più credibile, perde forza ogni impegno sociale e morale. Non dalla ragione strutturata tecnologicamente, ma dalla ragione "illuminata dal cuore" dipendono la possibilità e la credibilità di ogni precetto morale e di ogni impegno sociale. È per questo che a tutti, proprio a tutti, il Papa rivolge l'invito a «guardare a Cristo» - a Cristo come Gesù bambino, a Cristo come al Crocifisso. Un invito ad ogni uomo perché guardi dentro di sé e scopra quello spazio, che è intollerabile che rimanga "vuoto", ma che da solo l'uomo non è in grado di riempire.

© Copyright Avvenire, 9 settembre 2007


L’INTERVISTA

«Un no alla scienza oltre la natura»

Il genetista Dallapiccola: dal Pontefice richiamo importante, ci deve guidare il bene dell’uomo. Ciò che è tecnicamente possibile non sempre è lecito

Da Roma Gianni Santamaria

C'è oggi una scienza che si vuole sostituire a Dio, che non accetta i limiti della natura umana. Succube di interessi economici e di sensazionalismo. A lasciarsi provocare dalle parole del Papa è uno scienziato di fama internazionale, il genetista Bruno Dallapiccola, direttore dell'Istituto Mendel e copresidente dell'associazione Scienza&Vita. Da uomo che spende la sua vita tra laboratori, congressi e pubblicazioni su riviste internazionali, commenta il richiamo a mettere al centro la verità se non si vuole che la scienza diventi una minaccia.

Quale posto ha nell'attività scientifica l'ancoraggio alla verità, non intesa come coerenza del metodo, ma come orizzonte più ampio?

Credo sia uno dei valori più alti ai quali il ricercatore si deve ispirare. Se non si ha questo riferimento, penso che i risultati e le aspirazioni della scienza vengano vanificati. La verità va ovviamente cercata anche attraverso un metodo scientifico. Senza lasciarsi guidare dalla ricerca di risultati precostituiti. Nel dibattito attuale attorno ai settori critici che riguardano la vita umana mi pare, invece, che vi sia tale attesa di risultati precostituiti. Il ricercatore chiede di avere una libertà assoluta, senza rendersi conto dei limiti insiti nella natura umana, che non possono essere oltrepassati.

Il Papa parla anche di possibili ambiguità della scienza. C'è questo tarlo che rode la conoscenza?

L'ambiguità la vedo soprattutto nella ricerca guidata da interessi secondari. In molti aspetti della scienza attuale la si trova nel condizionamento di motivazioni economiche. Si attua una ricerca a tutti i costi per obiettivi che abbiano ricadute legate al profitto. Certi tipi di manipolazione nascono da questo. Poi c'è anche la cieca ricerca del successo personale, che fa andare in prima pagina.

In questi giorni sulle prime pagine campeggiano gli embrioni chimera. Il Papa parla di minacce all'uomo e al mondo. Lei quali identifica?

I punti critici oggi riguardano l'origine della vita. Ad esempio, la manipolazione o la selezione per finalità eugenetiche degli embrioni. Sul fenomeno della chimera direi che dal punto di vista teorico non si tratta di niente di nuovo. Già trent'anni fa un antropologo italiano pensava di fare esperimenti di fusione tra uomo e scimmia, il cosiddetto scimpanzuomo. Strada che fu subito considerata raccapricciante e da non percorrere. E a quel tempo non era neppure pensabile una sua realizzazione. Ora, siccome io ritengo che la morale non sia una fisarmonica che va e che viene, ma qualcosa di assoluto, mi domando perché riproporre quell'idea. Io non la ritengo neppure una strada utile. Può dare conoscenze di tipo biologico, che, però, non sono spendibili sul letto del paziente. Data la sua enormità, mi sembra uno dei classici esempi in cui la scienza si deve fermare.

Quali altri pericoli intravede?

L'uomo che vuole diventare arbitro del destino dell'uomo. Qualche giorno fa Craig Venter, uno dei padri della ricerca sul genoma umano, ha riunito nella sua fattoria americana un gruppo di amici filosofi e scienziati. Hanno discusso di «come farsi imitatori di Dio». È l'idea di onnipotenza della scienza, che vuole di mettersi al posto del Creatore.

Può esistere una scienza asettica, che si disinteressi del bene e del male?

La ricerca deve aspirare - penso soprattutto a biologia e medicina - alla ricerca di un bene, per un obiettivo finale, che è l'uomo. Senza scavalcare i limiti che dicevo prima. È un concetto antichissimo: non è lecito fare tutto ciò che è tecnicamente possibile.

© Copyright Avvenire, 9 settembre 2007

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