20 settembre 2007

Messa tridentina: la splendida ed argomentata presentazione del vescovo di Imperia-Albenga


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SPECIALE: IL MOTU PROPRIO "SUMMORUM PONTIFICUM"

Cari amici, grazie ad un/a nostro/a amico/a, di cui non conosciamo il nome ma che ringraziamo di cuore, possiamo leggere la presentazione del motu proprio Summorum Pontificum da parte di Mons. Mario Oliveri, Vescovo di Albenga - Imperia. Si tratta di indicazioni preziose che tutti dovremmo leggere con attenzione.
Prego tutti di segnalare interventi vescovili tratti da siti e/o da settimanali diocesani
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Raffaella


Presentazione del Motu Proprio “Summorum Pontificum”

Indicazioni per l’applicazione in Diocesi

La riflessione che abbiamo compiuto questa mattina sulla natura immutabile della Liturgia rende facile ed agevole la comprensione del significato e del valore del Motu Proprio “Summorum Pontificum” circa la celebrazione della Santa Messa in forma ordinaria secondo la riforma del Messale promulgata dal Papa Paolo VI, ed in forma straordinaria secondo il Messale del 1962 di Giovanni XXIII, che ha apportato semplici variazioni rispetto al Messale di San Pio V, o meglio, che ha introdotto le variazioni avvenute sotto il Pontificato di Pio XII.

Il significato ed il valore – a mio giudizio di fondamentale importanza – del Motu Proprio di Benedetto XVI consiste nell’aver ricordato, implicitamente e sebbene “non expressis verbis” che la riforma liturgica, voluta e chiesta dalla Costituzione Conciliare Sacrosanctum Concilium, e quindi attuata sotto il Pontificato di Papa Paolo VI, non ha mutato la natura o la sostanza della Divina Liturgia, non ha toccato – non ha voluto farlo né lo poteva fare – ciò che appartiene all’essenza del Divin Sacrificio della Santa Messa: intatta è rimasta la Santa Messa in ciò che essa è per istituzione divina, intatta è rimasta la sua natura sacrificale (di vero Sacrificio, di vera ri-presentazione sacramentale del Sacrificio del Calvario, come anticipato da Cristo stesso nell’Ultima Cena, della Santa Cena sacrificale di Cristo con i suoi Discepoli, con quelli che Egli aveva scelti perché fossero i suoi Apostoli, con coloro che per sua volontà aveva chiamati a diventare capaci di rendere presente il Mistero di Cristo Salvatore, nel tempo e nello spazio, “donec veniat”, fino al compimento del Regno.

Intatto dunque, e del tutto indispensabile affinché si realizzi sacramentalmente il Sacrificio di Cristo, è rimasto il ministero voluto dal Signore Gesù, il ministero del Sacerdozio santo, partecipazione del suo Sacerdozio, attraverso il quale soltanto può rendersi presente il Mistero di Cristo, può costituirsi la Nuova ed Eterna Alleanza, può costituirsi il Popolo della Nuova ed Eterna Alleanza, può attuarsi il culto spirituale gradito a Dio.

Intatta, la riforma liturgica, ha lasciato la necessità che tutti i riti ed i segni liturgici manifestino il vero contenuto e la vera natura di ogni autentica azione liturgica, manifestino cioè che la Liturgia, ed in maniera eminente e suprema la Santa Messa, è azione di Cristo, è azione che avviene per mezzo del ministero sacerdotale, è azione tutta rivolta a Dio, alla Trinità Santissima, è azione che prende tutti coloro che rigenerati dalla Grazia della Redenzione diventano capaci di diventare, in Cristo, offerta gradita al Padre, diventano addirittura oggetto del compiacimento del Padre (il Quale pone nel Figlio tutto il suo compiacimento, compiacimento che si riversa su tutti quelli che sono del Figlio, che sono di Cristo).

Chi potrebbe ragionevolmente negare che tutte queste caratteristiche emergevano con evidenza nella Celebrazione della Divina Liturgia prima della riforma liturgica?

Sono esse diventate meno evidenti con la riforma liturgica? Se qui e là è, ahimè, avvenuto non è certamente in forza della volontà del Concilio e dell’Autorità della Sede di Pietro che ha approvato la riforma liturgica, ma è perché l’interpretazione e l’applicazione concreta delle variazioni generate dalla riforma liturgica, qui e là, da parte di non pochi, non sono state attuate secondo la lettera, né secondo la “mens” della Costituzione Conciliare, sono avvenute sotto l’influsso e la spinta di una visione liturgica incompleta e talvolta anche errata (quasi come se si fosse davvero cambiata la concezione di che cosa è la Liturgia, di che cosa è la Santa Messa).

Non ha forse dovuto il Papa Giovanni Paolo II, con l’Enciclica “Ecclesia de Eucharistia” richiamare con forza il carattere sacrificale della Santa Messa, la verità della mirabile “transustanziazione”, e quindi della verità della presenza nell’Eucaristia, vera, reale e sostanziale del vero Corpo e del vero Sangue di Cristo, dunque di Gesù Cristo vivo e vero, dunque del suo vero Sacrificio, dunque del vero Pane di Vita eterna?

Per quale ragione, secondo la vera riforma liturgica, sarebbe - per esempio - diventato necessario celebrare anche la parte più specificamente eucaristica della Santa Messa, cioè la parte consacratoria e sacrificale, in modo che il Sacerdote celebrante abbia il volto verso l’assemblea? In base a quale giustificazione, di testi conciliari e post-conciliari, chi avesse continuato a celebrare quella parte della Messa non rivolto al popolo veniva considerato di agire contro la riforma del Concilio? Contro il Concilio?

Se pertanto la riforma liturgica non può essere espressiva di cambiamento di fede e di dottrina (circa il Sacrificio della Messa, circa la vera natura della Liturgia, circa la differenza essenziale del Sacerdozio ministeriale dal sacerdozio battesimale o comune a tutti i fedeli, a tutto il Popolo di Dio, circa l’adorazione dovuta all’Eucaristia nella celebrazione e fuori della celebrazione, circa – in una parola – a tutto ciò che la Chiesa ha creduto, professato ed insegnato sino al Concilio Vaticano II), se la riforma liturgica non può non essere espressiva di cambiamento radicale e sostanziale (NB. Che il Concilio Vaticano II non abbia voluto mutare, né abbia di fatto mutato, la Dottrina della Chiesa sulla Chiesa, e perciò su tutto ciò che appartiene alla sua vera realtà, è stato ribadito dalle risposte ai quesiti, riguardanti soprattutto la giusta interpretazione dell’espressione della Costituzione “Lumen Gentium”: “Ecclesia Christi subsistit in Ecclesia catholica”, pubblicati in data 29 Giugno 2007 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede), allora è legittimo e doveroso chiedersi e ben comprendere qual è il fine per cui il Concilio Vaticano II ha voluto la riforma liturgica, ha voluto che ai riti, all’insieme dei segni e delle azioni liturgiche, fossero apportate delle variazioni (variazioni non sostanziali, non tali da toccare il contenuto immutabile della Divina Liturgia).

Le variazioni e gli adattamenti voluti dal Concilio dovevano essere idonei a favorire la comprensione di ciò che veramente avviene nella Liturgia e la fruttuosa partecipazione di tutti i fedeli ai frutti sacramentali, spirituali e divini, della Liturgia. Dovevano, le correzioni, essere tali da raggiungere e muovere l’animo dei fedeli cosicché potessero accogliere con tutto l’animo l’azione divina che si attua nella Liturgia per mezzo dei segni sacramentali, per mezzo del mistero sacro, “per mano dei ministri” (come dice una bella delle espressioni della Tradizione Liturgica della Chiesa).

Era certamente opportuno che le variazioni mostrassero alcune caratteristiche dell’azione liturgica, (soprattutto della Santa Messa), in verità non cancellate dal modo con cui la Liturgia era celebrata sino allora, ma che erano divenute meno percepibili, se non con l’ausilio di buona catechesi e di accorgimenti adeguati (come quello di provvedere messalini tradotti nella lingua parlata dal popolo). Soprattutto era opportuno che le variazioni sottolineassero che l’azione liturgica, azione divina che si rende presente attraverso il ministero sacerdotale, deve coinvolgere e rendere partecipi la mente e il cuore di tutta l’assemblea, che diventa non solo spiritualmente, ma anche visibilmente attiva.

La riforma liturgica non ha avuto altra vera intenzione se non quella di avvicinare il più possibile tutti i fedeli alla ricchezza soprannaturale, immutabile, della Divina Liturgia, della celebrazione dei Divini Misteri, come la Chiesa l’aveva sempre custodita e proposta per la salvezza eterna di chi per mezzo della fede e dei sacramenti può davvero divenire nuova creatura in Cristo, membro del Popolo della Nuova ed Eterna Alleanza, figlio adottivo di Dio, erede della vita eterna.

Ma è ovvio che tale processo di vera partecipazione ai Divini Misteri non si raggiunge soltanto per mezzo delle variazioni al rito liturgico, ma richiede catechesi adeguata, richiede il ricorso a tutto ciò che favorisce la fede e la consapevolezza nel popolo cristiano circa quello che veramente si realizza nella celebrazione della Divina Liturgia.

L’avvicinamento della Liturgia alla vita del Popolo di Dio non avviene se essa sposa gesti e parole e modi di espressione più simili a quanto è in uso nella vita profana dell’uomo, nella sua vita nel secolo, ma se il Popolo coglie meglio che il vero contenuto di essa è tale da rendere nuova la sua vita, da rendere santa la sua vita, da rendere la sua vita conforme al disegno salvifico di Dio, da renderlo dunque capace di trascendere la vita nel tempo e nello spazio, immettendolo all’interno dell’adempimento dell’Eterno Mistero della Volontà di Dio. La Liturgia, e dunque la Chiesa stessa, è viva quando fa vivere i fedeli della vita divina, quando trasmette i doni soprannaturali della Grazia Divina, quando attraverso i suoi segni e parole (segni e parole desunti dalla Divina Rivelazione e dalla vita della Chiesa e dalla sua saggezza soprannaturale) raggiunge l’animo dell’uomo, lo afferra, lo possiede elevandolo sì che egli raggiunga il compimento della sua divina vocazione.

Le variazioni in materia così grave e così vitale per la fede e per la vita cristiana, da sostenere e da nutrire, vanno sempre introdotte ed applicate con timore e tremore, mai alla leggera, mai superficialmente, mai dando la benché minima impressione di voler imitare ciò che avviene nella vita del mondo, ciò che appartiene alla vita profana.

Albenga 19 settembre 2008

+ Mario Oliveri

Vescovo di Albenga - Imperia

3 commenti:

brustef1 ha detto...

Premere il link "inoltra a Nogaro".

Anonimo ha detto...

Ecco il comunicato di mons. Miglio:

da http://www.webdiocesi.chiesacattolica.it/cci_new/PagineDiocesi/index.jsp?idPagina=19712&rifi=&rifp=

(Summorum Pontificum)
Considerazioni del Vescovo



Considerazioni sul Motu Proprio di Benedetto XVI “Summorum Pontificum”.

È stato pubblicato sabato 7 luglio scorso il documento di Benedetto XVI, una Lettera Apostolica “motu proprio data”, relativa all’uso del Messale Romano nell’edizione del 1962, data dell’ultima riforma della liturgia eucaristica, voluta da Giovanni XXIII, che precedette la pubblicazione, nel 1970, del Messale Romano approvato da Paolo VI, a seguito del Concilio Vaticano II che nella Costituzione sulla Liturgia chiedeva la revisione di tutti i libri liturgici secondo i principi ed i criteri contenuti nella medesima Costituzione. Il Concilio si era svolto dall’ottobre ’62 al dicembre ’65; la Costituzione sulla Liturgia era stata approvata nel ’63, e nel marzo ‘65 c’era stata una prima parziale riforma liturgica con la traduzione di parti del Messale allora in vigore, cioè quello del ’62, e con la generalizzazione della celebrazione con il sacerdote rivolto verso l’assemblea. Una situazione provvisoria, quella del Messale, che durò fino al ’70, e che perdura tuttora per quanto riguarda la sistemazione di molti altari rivolti al popolo.
Il documento di Benedetto XVI è accompagnato da una sua lettera indirizzata ai vescovi, nella quale spiega le ragioni ed il percorso che lo hanno portato alla pubblicazione del Motu Proprio, ampliando quanto già disposto da Giovanni Paolo II nell’ ’84 e nell’ ’88. Ambedue i testi sono stati pubblicati domenica 8 luglio su Avvenire, e sono inoltre reperibili sul sito web diocesano o presso la Curia diocesana, in attesa di trovarli in libreria.
Le disposizioni andranno in vigore il prossimo 14 settembre e riguardano sia l’uso del Messale ed. ’62 sia il Rituale per i Sacramenti precedente la riforma di Paolo VI. Non è inutile forse precisare che tali disposizioni non mettono alcun limite all’uso del Messale promulgato da Paolo VI nel ’70 e riconfermato in due edizioni successive da Giovanni Paolo II: questo messale rimane la forma ordinaria della celebrazione eucaristica per la chiesa latina. Così pure non è questione di lingua latina o italiana: il testo ufficiale del Messale pubblicato dopo il Concilio è in latino, è disponibile ed è utilizzabile quando ve ne siano le condizioni. Quello del ’62 è ora utilizzabile su autorizzazione del parroco o del rettore di una chiesa non parrocchiale, per venire incontro a gruppi stabili di fedeli rimasti legati alla tradizione liturgica precedente; il sacerdote celebrante dev’essere in piena comunione con la Chiesa Cattolica, quindi l’iniziativa del Papa non cancella la divisione con le comunità del defunto vescovo Lèfèvre, anche se vuol essere una porta aperta nella speranza che tale divisione venga superata. In modo particolare però Benedetto XVI ci invita tutti ad una riconciliazione interna nel seno della Chiesa.
Per la mia generazione, e per quella già più avanti, può sembrare un ritorno a prima del Concilio, e così hanno scritto molti giornali; per le generazioni più giovani, che non hanno vissuto la liturgia pre conciliare, c’è piuttosto una comprensibile curiosità, che forse alla prova dei fatti resterà alquanto delusa, perché, come precisa il Papa, non si tratta di un altro Rito, ma di una forma, oggi lasciata in uso come straordinaria, dell’unico Rito Romano. Non dimentichiamo poi che nella chiesa latina esistono anche altri Riti: vicino a noi il Rito Ambrosiano, a Toledo il Rito Mozarabico; senza fermarci sulle peculiarità celebrative che alcuni ordini religiosi hanno conservato, o che alcune realtà ecclesiali più recenti hanno ottenuto. È bene ricordare che l’uso del Messale più antico viene permesso non per soddisfare curiosità o altre esigenze personali ma per il bene spirituale dei fedeli, come precisa in più punti Benedetto XVI. Non vuole dunque essere, e non deve diventare, una sconfessione del Concilio Vaticano II e delle riforma liturgica approvata da Paolo VI, e io vorrei aggiungere che dobbiamo grande rispetto per tutti coloro che si sono impegnati con entusiasmo, e non senza fatica, all’attuazione della riforma post conciliare. Non sono mancate le esagerazioni e le deformazioni, ma non possiamo trascurare le motivazioni che hanno ispirato sia la costituzione conciliare sulla liturgia sia la riforma liturgica successiva. Piuttosto è questa l’occasione per un serio esame di coscienza su come viviamo la nostra fedeltà alla riforma liturgica, superando approssimazioni, pigrizie e abitudini, o visioni privatistiche della liturgia.
Invito dunque a conoscere direttamente i testi, sia il Concilio, sia le indicazioni successive, sia questo documento di Benedetto XVI, non accontentandoci dei titoli giornalistici o dei “sentito dire”. A questo scopo sono disponibile, nel prossimo mese di settembre, in data da precisare, per un incontro con quanti sono interessati a questi problemi, valutando insieme le esigenze che emergeranno e anche offrendo, perché no, a qualcuno dei più giovani la possibilità di conoscere meglio la forma della celebrazione della S. Messa che ha alimentato la vita spirituale di coloro che oggi hanno superato almeno la cinquantina.

+Arrigo Miglio

Anonimo ha detto...

E-email di Monsignor Raffaele Nogaro:
vescovo@diocesicaserta.it