2 dicembre 2007

"Libero" profetico: le parole del Papa alle Ong appariranno sui giornali come l'ennesima "crociata"


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Se anche il Papa si vergogna dell'Onu

di FAUSTO CARIOTI

Il copione è già scritto. Le cose dette ieri da Joseph Ratzinger appariranno sulla gran parte dei giornali di oggi come l'enne sima puntata della crociata del papa: "contro" le Nazioni unite, "contro" il relativismo, insomma "contro" tutto quello che sembra essere un giusto e inevitabile progredire della storia e delle relazioni tra gli uomini.

Utile a mantenere viva l'immagine di un pontefice oscurantista, che i più furbi insistono a contrapporre a un Karol Wojtyla "illuminato" e quasi "progressista" (Fausto Bertinotti riuscì a definire Giovanni Paolo II «il primo papa no global della storia», mentre il quotidiano del suo partito, Liberazione, paragona l'attuale pontificato all'«islam estremo»).

Un Ratzinger che piace dipingere impegnato in una dura battaglia di retroguardia, destinata comunque ad essere persa. Peccato, perché quella proseguita ieri da Benedetto XVI non è una sfida "contro", ma una sfida "per" qualcosa. Per il rispetto della vita umana e per la difesa della libertà di religione, che in teoria dovrebbero stare a cuore anche al di fuori delle mura vaticane. Parlando davanti al forum delle organizzazioni non governative di ispirazione cattolica, Ratzinger ha denunciato che «spesso il dibattito internazionale appare segnato da una logica relativistica che pare ritenere, come unica garanzia di una convivenza pacifica tra i popoli, il negare cittadinanza alla verità sull'uomo e sulla sua dignità». Quindi ha invitato i partecipanti ad opporre a questo relativismo «la grande creatività della verità circa l'innata dignità dell'uomo e dei diritti che ne conseguono».

Quello dei diritti «innati» non è un tema nuovo né per Ratzinger, né nei rapporti tra la Chiesa di Roma e le grandi organizzazioni internazionali. E, come sempre accade con questo pontefice, le sue parole "alte" hanno implicazioni molto concrete.

I diritti dell'uomo

Il ruolo dell'Onu ha iniziato a sovrapporsi a quello della Chiesa cattolica nel 1948, quando l'assemblea generale delle Nazioni unite emanò la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Un documento che la Chiesa dapprima ha appoggiato, anche perché basato su una definizione forte di questi diritti. All'articolo 18 della dichiarazione, ad esempio, è stabilito il diritto dell'individuo a «cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione».
L'enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII, nel 1963, e la costituzione pastorale Gaudium et Spes di Paolo VI, nel 1965, sanciscono che la difesa dei diritti dell'uomo è parte del ministero dei vescovi. Questa coincidenza di intenti, però, dura poco. Ben presto le organizzazioni internazionali cambiano la defini- zione di diritti dell'uomo. Da un lato questa si restringe, lasciando scoperti diritti che la Chiesa ritiene fondamentali, come quello a cambiare religione. Dall'altro si allarga, andando a coprire una serie di «diritti riproduttivi» che si traducono nel riconoscimento dell'aborto come diritto inviolabile della donna e, talvolta, nell'appoggio esplicito a politiche demografiche condotte a colpi di aborti forzati. Un primo segnale arriva nel 1966, quando l'assemblea dell'Onu, di fatto, sostituisce la dichiarazione dei diritti dell'uomo con due "patti internazionali", che entrano in vigore dieci anni dopo. Il diritto di «cambiare religione» è scom- parso, sostituito da un assai più flebile diritto «di avere o di adottare una religione». La nuova formulazione serve ad essere accettata da tutti quei paesi islamici nei quali l'apostasia è punita con la morte. Allo stesso tempo, l'insegnamento della religione è consentito solo se esercitato in modo neutrale, cioè presentando tutte le religioni come equivalenti. Disposizione peraltro inapplicabile ai paesi musulmani, perché lì nulla impedisce che le leggi dello Stato si confondano con la sharia. Eugenia Roccella e Lucetta Scaraffia, nel loro libro "Contro il cristianesimo", sostengono che queste regole sembrano frutto di una «sorta di alleanza» tra i paesi islamici e i tanti paesi laici contrari a ogni forma di "missione" religiosa al loro interno. Il culto di Gea

L'Onu diventa così una sorta di tempio interreligioso, in cui tutte le fedi sono uguali. Anche le più strambe: al palazzo di vetro è facile trovare alti funzionari che non fanno mistero dei loro culti pagani e panteisti. E proprio il culto di Gea, la dea Terra minacciata dall'uomo, spiega parte delle smanie antinataliste e delle iniziative sul cosiddetto "effetto serra" adottate dall'Onu e dalle organizzazioni satellite. L'ossessione per il controllo delle nascite, da attuare a qualunque costo, è ormai quarantennale: l'Unfpa, l'agen zia creata nel 1969 dalle Nazioni unite per affrontare la questione demografica, per decenni ha finanziato le politiche con cui il governo cinese ha imposto l'aborto alle donne che avevano già avuto un figlio. La paura di Ratzinger dinanzi all'Onu, dunque, è quella che Fëdor Dostoevskij mette in bocca all'ateo Ivan Karamazov: «Se Dio non esiste, tutto è permesso». E la cosa strana non è che il papa sia sceso in polemica con le Nazioni unite. Ma è il fatto si senta solo lui difendere certi diritti. È il grande silenzio dei laici di oggi. È il fatto che in Occidente organismi e trattati internazionali garantiscano tutti i diritti imposti dall'agenda del politicamente corretto, ma non tutelino l'elementare diritto a cambiare la propria fede nei paesi in cui questo diritto non esiste. Quanto al tema dell'aborto e della difesa della vita, un santone laico come Norberto Bobbio aveva già spiegato che l'errore più grande sarebbe proprio quello di darlo in monopolio al Vaticano: «Mi stupisco che i laici lascino ai credenti il privilegio e l'onore di affermare che non si deve uccidere».

© Copyright Libero, 2 dicembre 2007

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