1 dicembre 2007

Enciclica "Spe salvi": lo speciale di "Avvenire"


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Enciclica "Spe salvi": lo speciale dell'agenzia Sir

ENCICLICA/ PAPA: FEDE E RAGIONE NON SONO IN CONTRADDIZIONE

CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELL’ENCICLICA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI "SPE SALVI"

LA SECONDA ENCICLICA

Il Pontefice aveva iniziato a scriverla dopo Pasqua e vi ha dedicato gran parte della scorsa estate «Ora sta preparando un documento dedicato ai temi sociali», riferisce padre Federico Lombardi

«Nell’adesione a Cristo la speranza che salva»

Presentato ieri il nuovo testo di Benedetto XVI

DA ROMA MIMMO MUOLO

La firma del Papa alle 11 di ie­ri mattina nella Biblioteca del Palazzo Apostolico. E la presentazione ai giornalisti solo mezz’ora più tardi nella Sala Stampa della Santa Sede. Non e­ra mai avvenuto, per un’encicli­ca, che tra i due momenti ci fos­se un così breve lasso di tempo.
E dunque questo è il primo record della Spe salvi di Benedetto XVI. Un record che si spiega – ha ri­cordato padre Federico Lombar­di, aprendo l’incontro con i rap­presentanti dei media – con il fat­to che siamo alla vigilia dell’Av­vento, tempo dell’attesa e della speranza».

Il direttore della Sala Stampa va­ticana ha fatto anche rilevare che si tratta di un documento che re­ca la personalissima impronta di Papa Ratzinger. «È inequivocabil­mente suo, assolutamente suo, scritto interamente di suo pu­gno », ha detto. E non è difficile ve­rificare l’esattezza della notazio­ne, come hanno sottolineato an­che i due cardinali presenti alla conferenza stampa: il biblista Al­bert Vanhoye e il teologo emerito della Casa Pontifica, Georges Cot­tier.

Lo stile personalissimo di Pa­pa Ratzinger emerge, infatti, fin dalle prime pagine di questa en­ciclica sulla speranza, alla quale il Pontefice (come ha ricordato lo stesso padre Lombardi) ha co­minciato a lavorare subito dopo Pasqua, dedicandovi poi gran parte dell’estate, e che dopo quel­la sulla carità potrebbe essere se­guita da una sulla fede (comple­tando così la trilogia sulle virtù teologali). «Una simile ipotesi – ha detto il gesuita, ricordando an­che l’altro testo sui temi sociali, attualmente in preparazione – non è da escludere, ma non è an­cora in programma. Per ora go­diamoci questo documento sulla speranza».
«In questo nuovo documento – ha ricordato, infatti Vanhoye – ritro­viamo il Papa profondo teologo e nel contempo pastore attento al­le necessità del suo gregge». E Cottier ha aggiunto: «Benedetto XVI non ha voluto scrivere un’en­ciclica anti millenarista né 'anti' qualcos’altro. Sua intenzione è in­vece quella di proporre una vi­sione positiva». E questa visione, ha spiegato Vanhoye, si può rias­sumere così: «La speranza cri­stiana non consiste anzitutto nel­l’accettare un certo numero di ve­rità astratte, ma nel dare la pro­pria adesione personale alla per­sona di Cristo, per essere da lui salvati e introdotti nella comu­nione divina». Molte domande hanno riguarda­to, naturalmente, la parte in cui il Papa analizza e mostra i limiti del pensiero di Carlo Marx, pur rico­noscendone «l’acutezza delle a­nalisi ». «In effetti è quasi un elo­gio, e sottolineo il 'quasi'», ha detto con un sorriso il cardinale Cottier rispondendo a uno speci­fico quesito. «Benedetto XVI rico­nosce la grandezza del pensatore – ha ricordato il teologo emerito della Casa Pontificia– ma questo non lo esime dall’indicarne chia­ramente gli errori. L’enciclica spiega che la promessa di Marx non è stata mantenuta perché il filosofo tedesco ha dimenticato che l’uomo rimane sempre uomo e che la libertà rimane sempre li­bertà, anche per il male. Egli, in­fatti, pensava che una volta siste­mata l’economia, tutto sarebbe stato a posto».
Più in generale, ha fatto notare Cottier, il documento vuole di­mostrare la sconfitta di quelle po­sizioni filosofiche e politiche che limitano la speranza alle cose del mondo. «La speranza umana, senza Dio, finisce al contrario per ridurre l’uomo in schiavitù».
I due cardinali teologi, infine, hanno respinto la critica di chi ha definito la Spe salvi un’enciclica solo per l’Europa. «Non ci si limi­ta alla prospettiva continentale. Ma il Papa vuole ridare ai Paesi di antica cristianità un orizzonte di speranza».

© Copyright Avvenire, 1° dicembre 2007


La vera rivoluzione? L’incontro col «Dio Vivente» I «luoghi» per imparare e vivere questa virtù

il documento

La crisi della fede come «crisi della speranza cristiana» La critica dell’Illuminismo, del marxismo, dell’idolatria del progresso. Nell’enciclica sfide e nodi della modernità

(M.Mu.)

DA ROMA

Ci sono tante piccole, umane speranze, da scrivere rigoro­samente con la 's' minusco­la. Ma c’è anche e soprattutto la Spe­ranza,
quella con la 'S' maiuscola, che dà fondamento e orizzonte an­che alle altre. Di questa Speranza parla Benedetto XVI nella Spe salvi, la seconda enciclica del suo Pontifi­cato presentata ieri. Un documento di 78 pagine (nella versione italiana) che si articola in una introduzione, sette capitoli e un epilogo, intitolato «Maria stella della speranza».
Il Papa cita innanzitutto un passo della Lettera di san Paolo ai Roma­ni: Spe salvi facti sumus (che è poi quello da cui è tratto il titolo del­l’enciclica) e che ricorda come «nel­la speranza siamo stati salvati». In sostanza «ci è stata donata una spe­ranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente», anche quando questo presente è faticoso.

La fede è speranza.

«Elemento di­stintivo dei cristiani – afferma il Pon­tefice – è il fatto che essi hanno un futuro». E non un futuro qualsiasi. Sanno, cioè, «che la loro vita non fi­nisce nel vuoto». Questo significa che «il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che posso sa­pere », ma qualcosa che «produce fat­ti e cambia la vita». «La porta oscu­ra del tempo, del futuro, è stata spa­lancata. Chi ha speranza vive diver­samente; gli è stata donata una vita nuova». Perciò Benedetto XVI affer­ma che «ricevere speranza» signifi­ca «giungere a conoscere Dio, il ve­ro Dio», quello che ha il volto di Ge­sù Cristo. Notazione importante, da­to che per i cristiani di antica data, spiega il Pontefice, «la speranza che proviene dall’incontro reale con Dio quasi non è più percepibile». E qui Benedetto XVI cita invece l’esempio di santa Giuseppina Bakhita, «che può aiutarci a capire che cosa signi­fica incontrare per la prima volta e realmente questo Dio» (l’ex schiava sudanese è uno dei testimoni di spe­ranza citati dall’enciclica; di lei par­liamo più diffusamente a pagina tre).

Gesù speranza 'rivoluzionaria'?

Il Papa ricorda dunque che Cristo «non ha portato un messaggio sociale-ri­voluzionario » come Spartaco (che capeggiò la rivolta degli schiavi nel­l’antica Roma), e «non era un com­battente per una liberazione politi­ca come Barabba».
Ha portato, scri­ve Benedetto XVI, «qualcosa di to­talmente diverso: l’incontro con il Dio vivente», cioè «con una speran­za che era più forte delle sofferenze della schiavitù e che per questo tra­sformava dal di dentro la vita e il mondo, anche se le strutture ester­ne rimanevano le stesse». È Cristo dunque che ci rende veramente li­beri. «Non siamo schiavi dell’uni­verso » e delle «leggi della materia e dell’evoluzione». Non siamo schiavi neanche dell’astrologia (finita con i Magi, anche oggi «nuovamente in auge», come afferma il Papa). In so­stanza «non sono gli elementi del co­smo che governano il mondo e l’uo­mo, ma un Dio personale governa le stelle, cioè l’universo». Siamo liberi, afferma il Papa, perché «il cielo non è vuoto», perché il Signore dell’uni­verso è Dio che «in Gesù si è rivela­to come Amore».

Cristo, il «vero filosofo».

Egli, infat­ti, «ci dice chi in realtà è l’uomo e che cosa deve fare per essere veramente uomo». «Egli indica anche la via ol­tre la morte; solo chi è in grado di fa­re questo è un vero maestro di vita». La speranza, perciò, è insieme atte­sa e presenza. «Per la fede sono già presenti in noi», ad uno stato inizia­le, «le cose che si sperano: il tutto, la vita vera». Il futuro è attirato «dentro il presente» e noi lo possiamo già per­cepire e «questa presenza di ciò che verrà crea anche certezza», «costi­tuisce per noi una prova delle cose che ancora non si vedono». Questa speranza permette quindi a tanti cri­stiani di affrontare le persecuzioni e il martirio opponendosi «allo stra­potere dell’ideologia e dei suoi orga­ni di informazione» e li rende capaci di rinnovare il mondo.

L’età moderna, la ri­voluzione francese e Marx.

Al centro del­l’enciclica Benedet­to XVI pone l’analisi sulla «trasformazio­ne della fede-spe­ranza cristiana nel tempo moderno».
«L’attuale crisi della fede – scrive – è so­prattutto una crisi della speranza cri­stiana ». Molte persone «rifiutano la fede semplicemente perché la vita e­terna non sembra loro una cosa de­siderabile. Non vogliono affatto la vi­ta eterna, ma quella presente, e la fe­de nella vita eterna sembra, per que­sto scopo, piuttosto un ostacolo». Questa involuzione è stata determi­nata dal fatto che «la restaurazione del paradiso perduto, non si attende più dalla fede», ma dal progresso tec­nico- scientifico. E questa fede nel progresso si fonda su due colonne: la ragione e la libertà. «Due tappe es­senziali della concretizzazione poli­tica di questa speranza», ricorda il Papa, sono state la Rivoluzione fran­cese e quella marxista. Mentre di fronte agli sviluppi della prima, «l’Eu­ropa dell’Illuminismo ha dovuto ri­flettere in modo nuovo su ragione e libertà», la rivoluzione proletaria ha lasciato «dietro di sé una distruzione desolante». «L’errore fondamentale di Marx» è stato l’aver «dimenticato l’uomo e la sua libertà. Credeva che una volta messa a posto l’economia tutto sarebbe stato a posto. Il suo ve­ro errore è il materialismo».

Il bisogno di Dio.

«Diciamolo ora in modo molto semplice: l’uomo ha bi­sogno di Dio, altrimenti resta privo di speranza». Egli non può mai essere redento semplicemente da una strut­tura esterna. «Chi promette il mon­do migliore che durerebbe irrevoca­bilmente per sempre fa una pro­messa falsa». Così sbagliano quanti credono che l’uomo possa essere re­dento mediante la scienza. «La scien­za può anche distruggere l’uomo e il mondo». Non è la scienza che redi­me l’uomo. L’uomo viene redento mediante l’amore». Un amore in­condizionato, assoluto: «La vera grande speranza dell’uomo, che re­siste nonostante tut­te le delusioni, può essere solo Dio, il Dio che ci ha amati e ci ama tuttora sino alla fine».

I luoghi della spe­ranza ».

Il Papa ne indica quattro. Luo­ghi in cui la speran­za si può apprende­re ed esercitare. Il primo è la preghiera.
«Se non c’è più nes­suno che possa aiu­tarmi », Dio può far­lo. E qui viene citata l’esperienza del cardinale vietnamita Van Thuan, 13 anni in carcere, di cui 9 in isolamen­to. C’è poi l’agire. «La speranza cri­stiana è attiva, affinché il mondo di­venti più luminoso e umano». Ma anche la sofferenza è un luogo di ap­prendimento della speranza, come insegna il martire vietnamita Paolo Le-Bao-Thin, morto nel 1857. Infine Benedetto XVI cita il Giudizio di Dio, ribadendo la dottrina sull’esistenza del purgatorio e dell’inferno. Ma il Giudizio non è solo pura giustizia (in questo caso «potrebbe essere per tut­ti noi solo motivo di paura»). Invece è anche grazia e questo «consente a noi tutti di sperare e di andare pieni di fiducia incontro al Giudice che co­nosciamo come nostro 'avvocato'».

© Copyright Avvenire, 1° dicembre 2007


La prima fu di Benedetto XIV Il titolo dalle prime due parole

Fabrizio Mastrofini

Enciclica, cioè lettera «circolare», «circularis» in latino, «enkyklosis» in greco, indica un testo che è destinato alla Chiesa in tutto il mondo. Il nome venne usato per la prima volta da papa Benedetto XIV, al primo documento del suo Pontificato: era il 3 dicembre 1740 e in quel testo era definito «Epistola encyclica (et commonitoria)». Quanto al titolo, prevale l’uso di utilizzare le prime due parole del testo latino, che per la Chiesa rappresenta la versione originale. Così nel caso di Benedetto XIV il titolo era «Ubi primum» ed esaminava il ministero del vescovo e come doveva svolgersi. Lettere encicliche esistono anche nelle altre confessioni cristiane. Encicliche sono dette dagli anglicani le lettere circolari del loro primate, mentre nelle Chiese orientali il patriarca le indirizza al Patriarcato su cui ha giurisdizione.
Secondo le statistiche, quest’ultima enciclica di Benedetto XVI, è la 295ª della serie che ha avuto inizio in epoca moderna appunto con Benedetto XIV.

© Copyright Avvenire, 1° dicembre 2007


Dal catechismo di Pio X alla «Lumen gentium»: le «cose ultime», luci per l’esistenza quotidiana

È forse uno dei capitoli più affascinanti che riguardano non solo la riflessione sulla fede ma tutto il pensiero sull’uomo e sulla sua vita. Eppure oggi i «novissimi», ovvero «le cose ultime che accadranno all’uomo», appaiono sempre più spesso come un tabù della cultura contemporanea. Per questo l’ultima parte dell’enciclica «Spe salvi» appare come un richiamo quanto mai attuale su questi temi. Ai novissimi era dedicato il Capo VII della parte V del Catechismo maggiore di Pio X.
«Morte, giudizio, inferno e paradiso» in quel testo venivano definiti in modo schematico, in linea con l’intento e la cultura che avevano dato origine allo strumento voluto da Papa Sarto. Nel tempo, poi, per indicare la riflessione sulle «cose ultime» si è sempre più diffuso il termine «escatologia». Merito anche del capitolo VII della «Lumen gentium» che parla della «natura escatologica della nostra vocazione». In questo modo si suggeriva l’idea che queste realtà non sono entità esterne all’esistenza, ma dimensioni ad essa intrinseche, sulle quali la fede cristiana è in grado di gettare una luce nuova, orientando, così, anche la vita quotidiana. (M.Liut)

© Copyright Avvenire, 1° dicembre 2007

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