15 dicembre 2007

«Nota» della Congregazione per la dottrina della fede: Ogni uomo ha il diritto di conoscere la Verità


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«Ogni uomo ha il diritto di conoscere la Verità»

«Nota» della Congregazione per la dottrina della fede

DA ROMA SALVATORE MAZZA

Non solo «un dovere», ma an­che «un diritto irrinuncia­bile ». È questo legame in­scindibile, tra la risposta al «manda­to missionario» e la «espressione propria della libertà religiosa», che deve fondare l’impegno per l’evan­gelizzazione. Un «annuncio» che de- ve sempre accompagnare la testi­monianza, e «necessario» per evita­re il rischio del relativismo, che e­salta il semplice invito a «vivere se­condo coscienza», e dell’indifferen­tismo religioso che afferma la prete­sa uguaglianza di tutte le fedi per condurre alla salvezza.
È quanto afferma la «Nota dottrina­le su alcuni aspetti dell’evangelizza­zione» , pubblicata ieri dalla Congre­gazione per la dottrina della fede.
Approvato dal Papa lo scorso otto­bre, e firmato il 3 dicembre, festa di San Francesco Saverio, patrono del­le missioni, il nuovo documento è naturalmente collegato con la Do­minus Iesus, la Dichiarazione della stessa Congregazione che, nel 2000, aveva riaffermato l’universalità della rivelazione cristiana, ribadendo che Cristo è l’unico salvatore, anche se Dio può donare la grazia a chiun­que, «per vie a Lui note». Rispetto a quel testo, la Nota di oggi è tuttavia destinata a chiarire alcune questio­ni dottrinali e a ribadire la centralità dell’annuncio di Gesù. Per questo il punto di partenza dichiarato è la ne­cessità di eliminare la «crescente confusione» sulla missione stessa. Da un lato infatti ci sono coloro che giudicano «ogni tentativo di con­vincere altri in questioni religiose» come «un limite posto alla libertà» e ritengono quindi sufficiente «invi­tare le persone ad agire secondo co­scienza », «aiutare gli uomini ad es­sere più uomini o più fedeli alla pro­pria religione». Dall’altro lato ci so­no coloro che ritengono possibile la salvezza senza che sia necessaria «u­na conoscenza esplicita di Cristo e senza una incorporazione formale alla Chiesa».
Tendenze, per la Nota, entrambe er­rate, e nell’evidenziare le implica­zioni «antropologiche», «ecclesiolo­giche » ed «ecumeniche» del rappor­to tra mandato missionario, rispet­to della coscienza e libertà di reli­gione, stigmatizza le «diverse forme di agnosticismo e relativismo pre­senti nel pensiero contemporaneo», per le quali la «verità» non è cono­scibile dall’uomo e la proposta cri­stiana rappresenta «un attentato al­la libertà altrui». Ma la libertà uma­na non può essere svincolata dal suo riferimento alla verità e «Dio ha do­nato agli uomini l’intelligenza e la volontà perché lo potessero libera­mene cercare, conoscere e amare».
Nell’incontro con culture diverse si evidenzia la caratteristica del dialo­go, presente nella evangelizzazione. Ma, «come in ogni campo dell’atti­vità umana», anche qui «può su­bentrare il peccato». Ciò accade quando si cede «all’inganno, a inte­ressi egoistici o all’arroganza», e per questo «la Chiesa proibisce severa­mente di costringere o di indurre e attirare qualcuno con inopportuni raggiri ad abbracciare la fede».
Dal punto di vista ecclesiologico, la Nota osserva come oggi «l’annuncio missionario della Chiesa viene mes­so in pericolo da teorie che inten­dono giustificare il pluralismo reli­gioso » non solo di fatto, ma di prin­cipio. «Si afferma addirittura che la pretesa di aver ricevuto in dono la pienezza della Rivelazione di Dio na­sconde un atteggiamento di intolle­ranza ed un pericolo per la pace». In realtà, «il rispetto della libertà reli­giosa e la sua promozione non de­vono in alcun modo renderci indif­ferenti verso la verità e il bene. Anzi lo stesso amore spinge i discepoli di Cristo ad annunciare a tutti gli uo­mini la verità che salva».
Di qui allora «l’urgenza dell’invito di Cristo ad evangelizzare e come la missione, affidata dal Signore agli a­postoli, riguardi tutti i battezzati». Un «impegno apostolico che è un dovere ed anche un diritto irrinun­ciabile, espressione propria della li­bertà religiosa, che ha le sue corri­spondenti dimensioni etico-sociali ed etico-politiche. Un diritto che purtroppo in alcune parti del mon­do non è ancora legalmente ricono­sciuto e in altre non è rispettato nei fatti». Quanto alle «implicazioni e­cumeniche », affermato che «l’unità è il sigillo della credibilità della mis­sione », nei Paesi «dove vivono cri­stiani non cattolici, soprattutto in Paesi di antica tradizione e cultura cristiana» viene richiesto «un vero rispetto per la loro tradizione e le lo­ro ricchezze che un sincero spirito di cooperazione», in un dialogo «che non è soltanto uno scambio di idee, ma di doni». Tuttavia «se un cristia­no non cattolico, per ragioni di co­scienza e convinto della verità cat­tolica, chiede di entrare nella piena comunione della Chiesa cattolica, ciò va rispettato come opera dello Spirito Santo e come espressione della libertà di coscienza e di reli­gione. In questo caso non si tratta di proselitismo, nel senso negativo at­tribuito a questo termine».

© Copyright Avvenire, 15 dicembre 2007


Levada: una guida per costruire la fratellanza Amato: l’annuncio non è estensione di potere

DA ROMA

Grande «fiducia» nella spinta che il documento può dare alla «comprensione recipro­ca » nel dialogo tra le fedi e in quello ecumenico. E se «permangono si­tuazioni di difficoltà nell’annuncio del Vangelo», come «in Cina o in Pae­si islamici, dove non c’è la libertà di parlare e di evangelizzare», tuttavia «siamo fiduciosi che il dialogo e il ri­spetto reciproco, possano portare a positive evolu­zioni ». Lo ha detto il cardinale Wil­liam J. Levada, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, nella conferenza stampa di pre­sentazione della Nota dottrinale su alcuni aspetti del­l’evangelizzazione.
In particolare, a proposito di come il testo possa es­sere accolto dagli ebrei, il porporato ha osservato che «nel dialogo con gli ebrei occorre tenere presente che es­si sono coloro che hanno ricevuto per primi la 'promessa', i nostri 'fratel­li maggiori' nella fede nell’unico Dio. Noi cristiani sappiamo che tale pro­messa è giunta a compimento con la venuta di Cristo e quindi il dialogo con l’ebraismo è molto particolare, in quanto si tratta di condividere la nostra eredità che è molto vicina al­la loro storia».
Quanto al versante ecumenico, Le­vada ha auspicato che la Nota «sia strumento di rinnovamento nell’o­pera di evangelizzazione dei cattoli- ci e di tutti i cristiani, e linea guida verso l’unità e la fratellanza di tutta la famiglia umana». La conversione a Cristo e l’adesione alla Chiesa cat­tolica, ha aggiunto monsignor Ange­lo Amato, segretario dello stesso di­castero, non devono essere intese co­me «l’estensione di un gruppo di po­tere », ma piuttosto come «l’ingresso nella rete di amicizia con Cristo, che collega cielo e terra, continenti ed e­poche diverse». «Si comprende dun­que – ha aggiunto – come questo o­rizzonte, fatto di verità e di libertà, debba determi­nare anche l’am­bito ecumenico. Anche qui, il ne­cessario rispetto delle diverse sensibilità e del­le rispettive tra­dizioni, non può eludere né l’esi­genza della libertà né quella della ve­rità, presupposti insostituibili di ogni forma di dialogo».
Alla presentazione sono intervenuti anche i cardinali Francis Arinze, ni­geriano, e l’indiano Ivan Dias, pre­fetti rispettivamente della Congrega­zione per il culto divino e la discipli­na dei sacramenti, e di quella per l’e­vangelizzazione dei popoli. Parlan­do della situazione in Africa, Arinze ha sottolineato come «nonostante il permanere di alcune difficoltà, si re­gistra un progresso nell’annuncio del Vangelo e anche nel cammino della società». Non solo, «si vanno norma­lizzando situazioni fino a poco fa molto difficili, quali quella dei Gran­di Laghi, ma anche in diversi Paesi il dibattito democratico progredisce». E l’Africa, ha concluso, «è il conti­nente con il maggiore incremento percentuale di cristiani anno su an­no, una crescita che lascia ben spe­rare ».
Dias ha infine fatto notare come «la maggioranza della popolazione in­diana, che all’80 per cento è indui­sta, è aperta al dialogo e ci chiede di presentare la nostra identità di cri­stiani. La componente di induisti fa­natici è decisamente minoritaria ma, come è tipico, trova molto spazio nei media prendendo i titoli dei giorna­li. Gli induisti in realtà chiedono ai cristiani di non annacquare l’imma­gine del nostro 'fondatore', cioè il Cristo». (S.M.)

© Copyright Avvenire, 15 dicembre 2007

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