5 dicembre 2007

"Gesù di Nazaret": un libro difficile da recensire (Il Giornale)


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di Luca Doninelli

Ci sono libri profondamente refrattari alle recensioni: libri il cui valore non è condensabile in una recensione, perché le recensioni sono in grado di circoscrivere solo alcuni dei caratteri di un libro, i caratteri libreschi (sia pure in senso alto), mentre la forza di un libro sta anche in tutto ciò che va oltre quei caratteri. A me sono occorsi mesi per apprezzare sempre più in profondità il senso del titolo del libro di Benedetto XVI su Gesù: Gesù di Nazaret (Rizzoli).

In quel «di Nazaret» è infatti contenuto tutto il senso della fede cristiana e, parimenti, della speranza, cui il papa ha dedicato recentemente la sua seconda lettera enciclica. «Di Nazaret», con la sua connotazione anagrafica, ci ricorda infatti il fattore centrale del cristianesimo: l’umanità di Cristo. Ma «umanità» può a sua volta risuonare, detto così, come il più astratto dei concetti. Non è dunque l’anagrafe a salvarci dall’astrazione. È una dinamica umana, la dinamica dell’umano, che - come tutto ciò che è umano - l’uomo deve imparare.
Nel capitolo settimo, dedicato alle parabole, leggiamo che Gesù, mediante le parabole, «vuole mostrare \ come in una realtà che fa parte del loro campo di esperienza traspaia qualcosa che prima non avevano ancora percepito». Questo procedimento però non viene attribuito dal Papa unicamente a Gesù, ma a qualunque maestro scrupoloso. Gesù usa, dunque, una dinamica propria dell’uomo. Delle parole citate, la parola «esperienza» è quella fondamentale. Esiste un modo cristiano di raccontare il cristianesimo ed esiste anche un modo non cristiano. Il modo cristiano è quello che si rivolge sempre, costantemente, all’esperienza umana, e lo fa non per ragioni strategiche ma perché il cristianesimo stesso è un’esperienza umana, ossia perché chi racconta fa questa esperienza.
Il tema è acuto in un tempo in cui la persona acquista credito nella misura in cui ha qualcosa da vendere, specialmente sui giornali o in tv. E si può anche trattare il cristianesimo come un prodotto da vendere. Non è necessario essere eretici, si può benissimo essere perfettamente ortodossi dal punto di vista dottrinale, ma se le nostre parole non permangono - come origine e come destinazione - dentro il campo di un’esperienza reale e condivisa, il rischio di una riduzione mercantile è altissimo. Con questo, ben venga chiunque ha il coraggio di parlare di Gesù Cristo in tv!

© Copyright Il Giornale, 5 dicembre 2007

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