5 dicembre 2007
"Spe salvi", Brescia Oggi: quell’enciclica non vuole demolire scienza e ragione
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Ma quell’enciclica non vuole demolire scienza e ragione
Il testo ridisegna il loro confine, che consente all’una e all’altra di essere al meglio ciò che sono
Nei giorni scorsi, noti personaggi hanno reagito con asprezza all’enciclica di Benedetto XVI «Spe salvi»: si è letta la lettera del Papa come una contestazione del valore della ragione e come una negazione della capacità positiva della scienza e del progresso umano. È stato detto che la Chiesa nella persona del Papa sta ripristinando vecchi schematismi della fede cristiana che a partire dal secolo XVI vedevano di malocchio i progressi della modernità.
Prescindendo dal fatto di essere credenti o meno, per una lettura serena il testo papale va compreso per ciò che dice secondo l’interpretazione che ogni testo letterario esige. Si deve tenere presente chi scrive, a chi scrive e quale scopo l’autore vuole raggiungere. La critica letteraria lo fa anche per un sonetto, per un poema o per un trattato di storia.
L’intestazione dell’enciclica dichiara che i destinatari sono tutti i credenti, ciascuno nella propria condizione all’interno della Chiesa. Con ciò già si profila il contenuto che verrà svolto e lo scopo di esso: si tratta di uno scritto che mira all’approfondimento della fede di coloro che in forme diverse già credono e già si riconoscono nella tradizione cristiana. Non si tratta pertanto di uno scritto polemico che voglia attaccare qualcuno o qualcosa, ma di una rinnovata comprensione, attenta al tempo attuale e radicata in ciò che i cristiani hanno da sempre creduto.
In effetti neppure il Papa può aggiungere o togliere alcunché di ciò che sta nel deposito di fede originario: egli si limita a ribadirlo.
Tra ciò che il pontefice mette in luce vi è la considerazione della domanda di vita di ogni essere umano, domanda che non si limita al desiderio di allungare i giorni dell’esistenza, ma chiede la vita «speciale» che si assapora solo in certi istanti: ad esempio, tutti vorrebbero che la vita fosse sempre com’è nei momenti in cui si vive un amore. La vita desiderata quindi è di una qualità che nessun essere umano possiede o può prodursi.
In questo solco si pone la considerazione inoppugnabile che non sono le strategie storiche, le ideologie, le scelte politiche o la scienza (dimensioni senza dubbio importanti) a dare le risposte che il cuore umano cerca o a liberare dalle svariate forme di male da cui l’umanità è perennemente afflitta.
Tutto quanto è prodotto dall’ingegno umano e dalla ragione stessa è buono, ma resta sempre risposta provvisoria e insufficiente rispetto al desiderio di una felicità stabile e perenne che gli uomini non si stancano mai di chiedere e di cercare.
Con buona pace di Piegiorgio Odifreddi e di Margherita Hack, il Papa non accantona la capacità della ragione scientifica, ma ne mostra gli indiscutibili limiti, sia perché i suoi guadagni non saziano ciò che gli uomini chiedono (la pienezza della vita) sia perché i suoi frutti non garantiscono un esito sicuramente positivo (si pensi alla scoperta dell’energia nucleare).
Ciò che Benedetto XVI addita, com’è comprensibile, è una speranza generata dalla fede che rende la ragione più «umana» in quanto volta al bene di tutti e di ciascuno. Si tratta di una speranza teologica che genera rinnovamento della persona e nuova energia storica proprio perché non cede a un pessimismo radicale circa la storia.
Si può anche non acconsentire, ma l’onestà intellettuale deve portare ad accettare che la storia recente stessa dà ragione al Papa: dalle ideologie non è nato il sole dell’avvenire, dalle scoperte della scienza non arriva la liberazione dalla sofferenza.
Con questo non si buttano nel cestino né la ragione né la scienza, ma si ridisegna il loro confine che consente all’una e all’altra di essere al meglio ciò che sono.
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