18 febbraio 2008

Una sfida analoga per i cattolici dei 3 poli (Tarquinio per "Avvenire")


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LA NOVITÀ: AL CENTRO CASINI,MASTELLA E PEZZOTTA

Una sfida analoga per i cattolici dei 3 poli

MARCO TARQUINIO

L’ esplosione di tensioni che ha fatto seguito allo scioglimento delle Camere ha prodotto quella che appare un’autentica deflagrazione del vecchio quadro politico. E, in effetti, sono tante le novità che si propongono nella campagna elettorale che sta prendendo il via. Sarebbe però quantomeno frettoloso giudicarle il frutto di un superamento o, addirittura, di un’archiviazione delle questioni politiche emerse pesantemente nella legislatura appena conclusa. A ben vedere, anzi, queste novità sono la conseguenza di quei problemi e ne rappresentano – certamente fino ai verdetti delle urne – la 'continuazione con altri mezzi'.
Le tradizioni e le contraddizioni (verrebbe da dire i risentimenti) interne ai vecchi poli si sono fatte lista elettorale, esattamente come le ambizioni e i progetti tesi a far evolvere il nostro bipolarismo in sostanziale bipartitismo. Ed è per questo che stavolta, anche se le regole elettorali sono sempre le stesse, gli schieramenti che si proporranno agli italiani non saranno due, ma almeno sei.

Si contenderanno il primato il centrosinistra di Veltroni apparentato al partito dipietrista (nonché in trattativa coi radicali) e il centrodestra di Berlusconi alleato alla Lega Nord. Chiederanno voti la sinistra massimalista di Bertinotti, la sinistra socialista di Boselli e la destra identitaria di Storace. E si batterà sotto il proprio simbolo, avendo definitivamente scelto di non sciogliersi nel Pdl, il centro moderato di Casini; vedremo se assieme al centro 'autonomo' di Pezzotta-Tabacci e al centro 'regionale' di Mastella.

Un’offerta ampia. Sotto la quale si cela – ma non troppo – un’ancora più ampia diversificazione di soggetti e di riferimenti ideali. E dentro alla quale – venendo a un problema che non può non interessarci – la presenza di esponenti o gruppi che proclamano la propria ispirazione cristiana è esplicita in almeno tre formazioni con una storia politica e parlamentare consolidata: il Pd a sinistra, il Pdl a destra e l’Udc (e Pezzotta, e Mastella) al centro.

In ognuno di questi partiti ci sono, insomma, politici che motivano il loro laico impegno pubblico con richiami – più o meno diretti, più o meno coerenti – alla dottrina sociale della Chiesa.

Una situazione – lo sottolineiamo, tornando a riflessioni già fatte – che, nella condizione data, rappresenta soprattutto una sfida. La sfida a essere significativi, attendibili e utili là dove si è scelto di stare e nel rapporto con la comunità civile. La sfida a dimostrarsi – da cattolici – politicamente conseguenti ed efficaci, senza slittare in una rischiosa e contraddittoria irrilevanza.
È chiaro che tale sfida è analoga per tutti i politici d’ispirazione cristiana e in tutti i contesti di partito in cui essi hanno prevalentemente scelto di agire. Ma è altrettanto evidente che, nelle varie situazioni, si pone anche in modo diverso.

A sinistra, nell’attuale Partito democratico, c’è soprattutto un problema di compatibilità tra visioni antropologiche e, dunque, nella concreta progettazione del futuro della nostra società. Un nodo che negli ultimi anni è emerso a più ripre­se (si pensi solo ai temi della famiglia e della tutela della vi­ta), fino a farsi stringente. Che rischia di diventare soffocan­te se davvero si realizzasse un ulteriore e definitivo avvicina­mento con il gruppo di Pannella e Bonino.

E che in una for­za con grandi ambizioni di rappresentanza della realtà ita­liana non può essere sciolto affidandosi speranzosamente alla sola capacità di sintesi e di mediazione di questo o quel leader pro-tempore.

A destra, nel neonato Popolo della libertà, si propone prin­cipalmente – e in un doppio senso – un problema di omolo­gazione: da un lato crea interrogativi il subitaneo assem­blaggio di soggetti differenti e di storie politiche distinte (dal grosso della destra postmissina a settori del socialismo ita­liano, passando per una vasta area liberaldemocratica), dal­l’altro non può non colpire che il solo connotato ben defini­to di una formazione che punta a essere 'la sezione italiana del Ppe' appaia, per ora, il profilo del suo ideatore e capo.

Al centro, nell’area in cui si colloca l’Udc, il problema chiave appare, infine, quello della qualità degli uomini che incar­neranno il progetto. Da una forza che si richiama sin dal no­me (Unione dei democratici cristiani e di centro) a una vi­cenda politica importante e a una precisa ispirazione non ci si attendono scelte residuali e di comodo, ma lungimiranza e serietà.

E, dunque, opzioni adeguate: linearità di obiettivi, attenzione a non incrementare l’increscioso frazionismo postdc e candidature adeguate.

© Copyright Avvenire, 17 febbraio 2008

1 commento:

Anonimo ha detto...

Cara Raffaella,
dalla redazione di Korazym un articolo pienamente codivisibile.
Alessia

Aborto, donne in piazza. E se chiedessimo tutte la libertà di non abortire?
di Redazione/ 16/02/2008

“Giù le mani dalle donne”, lo slogan di questi giorni. Già: “giù le mani”, perché le manifestanti non rappresentano affatto l’intero genere femminile. Lettera aperta: “E se pensassimo alle donne che non vogliono abortire e nei fatti ci sono costrette?”

Giù le mani dalle donne. Giù le mani. Come una cartolina recapitata trent’anni dopo, come un ricordo ingiallito del passato, si sono materializzate manifestazioni, proteste, striscioni, slogan e tutto l’armamentario delle antiche lotte di quel femminismo che persino da tante protagoniste di allora è stato ora abbandonato, dopo essere stato analizzato e scandagliato nel dettaglio. Giù le mani dalle donne però lo diciamo anche noi, ragazze che “donne” si sentono in pieno (insieme a ragazzi che alle donne - coetanee o meno - guardano con tutto il rispetto e l’attenzione dovuta quando si tratta di temi così complessi e importanti come la maternità). Giù le “mani dalle donne” lo diciamo noi tutti, e a voce chiara, perché voi tutte che siete scese in piazza non rappresentate “le donne”, ma al più voi stesse, e solo voi stesse. Checché ne dicano le televisioni, checché ne scrivano i giornali, infatti, non avete alcuna facoltà di presentarvi come le sole e uniche rappresentanti del genere femminile, e la vostra battaglia non ci appartiene affatto.

Non ci appartiene perché l’aborto non è affatto, per noi che come voi siamo donne, né una conquista di civiltà né una prova di libertà. Amiamo i nostri corpi e i nostri diritti tanto quanto li amate voi, amiche che siete scese in piazza, ma sappiamo anche guardare ai fatti, senza chiusure ideologiche di sorta: e sappiamo vedere che quello che neanche avete il coraggio di nominare, o che chiamate in modo vagamente dispregiativo “feto”, è un essere umano che cresce. Anzi, è nostro figlio che cresce. Non abbiamo i paraocchi, noi altre: sappiamo che la gravidanza è un evento straordinario e particolare, che la condizione di un essere umano che vive e si sviluppa dentro un altro essere umano è così unica che non si ritrova in nessun altra situazione nella vita di una persona.

Sappiamo che talvolta - purtroppo - una gravidanza porta disperazione, che scava ferite e combattimenti interiori che scarnificano il cuore. E proprio per questo sappiamo che quella libertà che tanto disinvoltamente andate propagandando è assai spesso portatrice di ulteriore dolore e solitudine, che la responsabilità di una scelta così tragica e così solitaria, quella di un eventuale aborto, pesa - e pesa molto - sul cuore delle donne. Sì, possiamo essere fragili anche noi, sì: noi donne possiamo anche confessarlo di essere fragili, in alcune situazioni, e la gran parte delle volte (su questo sarete d’accordo con noi, amiche manifestanti) continuiamo ad essere comunque più forti dei nostri uomini senza spina dorsale.

Insomma, noi non diciamo che quel figlio è una parte del nostro corpo; noi diciamo che è un figlio. Nostro figlio. Abbiamo il coraggio di dirlo, e abbiamo il coraggio di dire che mentre stiamo qui a discutere, nelle strade e nelle case del nostro paese ci sono donne che provano paura per una gravidanza imprevista o inattesa, e che invece di ricevere sostegno e aiuto, invece di trovare una società solidale che offra alternative, possibilità, soluzioni, si ritrovano davanti la prospettiva del figlio irta di difficoltà e quella dell’interruzione della gravidanza facile e in discesa. Un colloquio, un certificato e l’intervento: sette giorni e tutto si risolve. Sulla carta. Ma, amiche che manifestate in piazza in nome della “libertà”, diteci: dov’è la “libertà di non abortire”, dov’è quella libertà, se la prospettiva di far nascere un bambino si rivela praticamente impraticabile nei fatti? Che razza di libertà è, se esiste sulla carta ma non nel concreto?

Vedete, amiche donne: il fatto è proprio questo. Parliamo della realtà. Non degli slogan ingialliti né delle rivendicazioni ideologiche. Parliamo della realtà, di singole donne che vorrebbero portare a termine una gravidanza ma con sofferenza, perché di fatto costrette, scelgono l’aborto. Cosa dite a loro? Cosa facciamo per loro? Anche quelle sono donne, e l’interruzione della gravidanza la eviterebbero volentieri. Come le giudicate? Come le aiutate? Avete coscienza del fatto che una donna può essere aiutata anche evitandole un aborto, e non rivendicandolo in piazza? Ah, la piazza... A proposito, ma di cosa avete paura se non c’è praticamente un solo partito, uno solo, neppure la ormai celebre lista pro-life di Giuliano Ferrara, che chieda la modifica della legge 194/78? Ma di cosa avete paura, ma perché scendete in piazza se nessuno ha minacciato di cambiare quel testo di legge che tanto vi piace, ma solamente di applicarlo interamente, anche nella sua parte preventiva?

E poi, ma perché scendete in piazza se la vicenda da cui tutto questo clamore ha preso il via è stata montata ad arte, visto che all’ospedale di Napoli (dove le forze dell'ordine si sono presentate a seguito di una telefonata che parlava di un aborto illegale) non c’è stato nessun “blitz” della polizia, niente sirene spiegate, niente tintinnar di manette, e nessun interrogatorio nei corridoi dell’ospedale? Tutto questo lo testimoniano ora anche i medici della struttura e l’intera inchiesta della magistratura, che ha chiarito come l’intero fatto sia stato amplificato in modo isterico dai media e dalla politica. Ma perché, dunque, se la 194 non la vuol toccare nessuno e se il blitz è stato un semplice controllo doveroso in presenza di una denuncia, perché siete scese in piazza? E soprattutto, provate a dirci che ne dite: ma se, la prossima volta, andassimo tutte insieme a manifestare, per chiedere però di pensare alle donne, dando loro, a chi lo volesse, davvero e non per finta, ogni possibile alternativa all’aborto? Se chiedessimo questo, scendereste in piazza con noi?