13 agosto 2008

Da san Bernardino a oggi la difficoltà di parlare ai fedeli: «Il predicatore parli chiarozzo chiarozzo» (Osservatore Romano)


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Da san Bernardino a oggi la difficoltà di parlare ai fedeli

«Il predicatore parli chiarozzo chiarozzo»

di Dario Edoardo Viganò

L'attuale profilo della contemporaneità, il muoversi frenetico della nostra storia sempre pronta a passare il testimone alla velocità di una comunicazione "da staffetta", ha suggerito di intraprendere un avvicinamento alla questione omelia dal punto di vista comunicativo.
L'omelia stessa è un vero e proprio gioco d'azione comunicativo, un gioco mai concluso tra le parole e i significati. Il linguaggio - ricorda Ludwig Wittgenstein nella sua opera postuma Ricerche filosofiche (1953) - è un insieme di giochi di lingua.
Riflettere sull'omelia dal punto di vista comunicativo non significa però intraprendere semplicemente la strada dell'adeguamento contestuale che può portare a tipologie di omelia tra le più svariate: dalle omelie spot alle omelie blog (nella forma del diario), dalle omelie ipertestuali (con collegamenti audaci di argomenti distanti tra loro) a omelie chackra (ovvero racconti new age di forte suggestioni e dal significato vago).
Non si tratta cioè di avvitarsi in processi di adattamento e clonazione delle forme maggiormente diffuse nel panorama mediale. Nella prassi omiletica non ci sono in gioco anzitutto e primariamente coefficienti di strumentalità quanto piuttosto il profilo di una comunicazione che è sacramentale e che è rispettata, oltre che rispettosa, solo se nel dire omiletico si possa udire Dio che parla.
Occuparsi dell'omelia dunque significa assumere la consapevolezza che essa è fatta di complessità e di bellezza. Emarginata, bistrattata, a volte complicata o clericalizzata, oppure avvincente e azzeccata, l'omelia rappresenta comunque un vero e proprio fulcro essenziale e irrinunciabile della liturgia.
Ci viene in aiuto per comprenderne la sua ineludibile complessità e la sua costitutiva problematicità, il filosofo Ludwig Wittgenstein che così si esprimeva in un dialogo con un suo discepolo che gli aveva confidato di voler intraprendere il cammino verso il sacerdozio: "Se una persona decide di farsi prete, non sarò certo io a prenderlo in giro. Chi si diverte a prendere in giro certe cose è un ciarlatano o anche peggio. Per contro non posso neppure approvare la sua scelta, no, proprio non posso". Il perché di tale disappunto lo dirà più oltre: "Provi solamente a pensare cosa significhi dover fare una predica ogni domenica".
Il gioco omiletico si presenta dunque dotato di affascinante complessità e insieme di accattivante eccentricità. In questa prospettiva un elemento di confronto con il quale l'omelia deve fare i conti è il sistema di rappresentazione dei media. La prassi omiletica deve fare i conti con alcune criticità che sarebbe troppo semplicistico e immediato ridurre alla tipologia del linguaggio. Al contrario il modificarsi dei profili antropologici dice proprio quella complessità di ripensamento e di rinnovata coscienza per una prassi tanto antica quanto decisamente feconda.
Non mancano nel vasto panorama culturale ed ecclesiale studi e pubblicazioni prettamente impegnati nello sviluppo di una sistematica, quasi di una metodologia, dell'omelia. Roberto Beretta, in una recente pubblicazione traccia una sorta di cartina tornasole per tutti quei fedeli alle prese con la complicata foresta dell'"ecclesialese", ovvero di quello che lui stesso definisce come un vero e proprio stile linguistico dei nostri pastori, proponendo appunto una sorta di vocabolario di questa strana lingua: "Sono molte le vie attraverso cui i nostri discorsi si intasano di formule che suonano forse altisonanti, ma sono vuote e comunque inefficaci dal punto di vista del farsi capire".
Ma lo studio di questo specifico momento comunicativo all'interno dell'azione liturgica si perde nella storia. Non sono mancati e non mancano dizionari di omiletica - ricordiamo quello di Manlio Sodi - testi che suggeriscono metodiche di preparazione a partire da differenti modelli di omelie e di omileti, addirittura griglie già preparate di omelie domenicali. Ciò nonostante l'omelia rimane un testo complesso e un difficile oggetto di analisi proprio per la mancanza di un modello unitario di omileta e per la mancanza di modelli di omelia.
L'omelia, testo misto tra oralità e scrittura, non sopporta adattamenti di registri linguistici a seconda dei pubblici differenti; piuttosto il gioco comunicativo dell'omelia deve essere concepito come guidato dall'ascolto comune e condiviso della Rivelazione che avviene attraverso la Parola e la storia. È il tempo e l'occasione per elaborare in maniera condivisa il senso. Ma ancora di più: si tratta di una grande occasione di ricomposizione e un riconoscimento della memoria, delle identità personali e collettive da una lato, e, dall'altro, orientamento di progetti e di percorsi dell'azione sociale. Ricostruire quadri di orientamento e di senso è una grande sfida per l'omileta oggi!
In questa pennellata di criticità circa l'omelia, ancora la segnalazione di due aspetti: quello dell'adeguamento delle parole alla vita e quello della brevità.
Anzitutto il problema della concretezza e della coerenza: ha tenuto impegnati pensatori e teologi in continua ricerca di sintesi tra le parole dette e la vita vissuta. Søren Kierkegaard ricorda come "la differenza fra un pastore e un attore è proprio il momento esistenziale, che il pastore sia povero quando predica sulla povertà, che sia schernito quando predica di sopportare gli scherni (...); mentre l'attore ha precisamente il compito d'ingannare eliminando il momento esistenziale, il pastore ha precisamente il compito nel senso più profondo di predicare con la sua vita".
Altro nodo critico è quello della durata delle omelie: si passa da omelie inesistenti a omelie senza fine.
Un ulteriore elemento di discussione, più spesso presente nel dibattito su questo tema, è quello relativo alla chiarezza e alla brevità del discorso. San Bernardino da Siena, non a caso patrono dei pubblicitari per la sua spiccata predisposizione oratoria, era solito dire: "Il predicatore parli chiarozzo chiarozzo acciò che chi ode ne vada contento e illuminato e non imbarbagliato". Oppure pensiamo a come Francesco d'Assisi esortava i suoi frati: "Ammonisco ed esorto gli stessi frati che nella loro predicazione le loro parole siano ponderate e caste a utilità ed edificazione del popolo, annunciando ai fedeli i vizi e le virtù, la pena e la gloria con brevità di discorso poiché il Signore disse sulla terra parole brevi".

(©L'Osservatore Romano - 13 agosto 2008)

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