8 agosto 2008
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Su segnalazione di Eufemia leggiamo:
Un santo dal Tirolo alla Cina
ALDO MARIA VALLI
BRESSANONE
La visita che Benedetto XVI ha fatto in Val Badia, al villaggio di Oies, non è forse destinata a passare alla storia. Nessun discorso ufficiale, nessun gesto eclatante. Eppure ha detto molto a proposito della fede cattolica e di questo pontificato. A Oies, terra ladina di antica e radicata tradizione religiosa, nel 1852 nasce Giuseppe Freinademetz, che viene battezzato lo stesso giorno della nascita e incomincia subito a respirare la fede della sua famiglia. Giuseppe diventa missionario servita e nel 1879 parte per la Cina. Si può immaginare l’impresa, a quei tempi. Nelle sue lettere, scritte in italiano anche se lui si sente profondamente ladino, c’è tutta la tensione di un uomo di Dio che avverte con prepotenza il desiderio di portare il Vangelo agli estremi confini della terra e nello stesso tempo si sente legatissimo alla propria regione, a quella Val Badia che dipinge come il luogo più bello del mondo. È la realtà del cristiano, per il quale radicamento e missionarietà non sono in contrapposizione ma sono connessi. «Chi non è chiamato dal Signore non abbandoni la bella Badia», scrive lui stesso, consapevole che la strada scelta ha un che di pazzesco sul piano strettamente umano.
A quest’uomo il papa ha voluto rendere omaggio recandosi nel suo paesello d’origine. E lo ha fatto lasciandosi immergere fisicamente nella festa dei ladini e dei turisti arrivati a Oies per salutarlo. La stradina in discesa percorsa da Benedetto al suo arrivo si è trasformata in una specie di pellegrinaggio del padre tra i figli. Benedetto ha stretto mille mani, ha sorriso a tutti, ha preso in braccio bambini e li ha abbracciati. Gli uomini della vigilanza, pur sempre attentissimi, hanno capito che il clima era speciale e si sono perfino prestati a fare da “trasportatori” dei bambini dalle braccia delle madri a quelle del pontefice.
È stato bello, anche perché a Bressanone, dove il papa risiede durante queste vacanze altoatesine, la sua casa, il seminario, è stata circondato da una barriera nera un po’ inquietante, e vederla ogni mattina, con le pattuglie che controllano la situazione, dà un po’ un senso di oppressione. A Oies invece è stata davvero una festa, durante la quale il papa, che anche nelle circostanze meno ufficiali quando parla esprime sempre concetti molto precisi, ha preso spunto dalla figura di Giuseppe Freinademetz per chiedere alla Cina di aprirsi a Cristo e di non avere paura del Vangelo che non è alienazione in quanto in Gesù tutte le culture giungono a compimento. Messaggio missionario in un luogo permeato di missionarietà, un luogo che conservando gelosamente e semplicemente la memoria del sacerdote ladino custodisce un piccolo grande tesoro di fede.
Leggendo il bel libro che Divo Barsotti dedicò a Giuseppe e che i missionari verbiti hanno giustamente ristampato, colpisce come il sacerdote ladino seppe trasformare l’amore per Oies e la Val Badia in amore sovrabbondante da donare ai più lontani. Benedetto XVI nella Deus caritas est ha messo a tema e spiegato con parole ciò che Giuseppe visse e che per il missionario ladino volle dire sacrificio tonale. Giuseppe infatti non tornò mai più nel suo “bel Tirolo”, non vide più i prati di Oies e le cime delle Dolomiti. Se lo portò via un’epidemia di tifo.
Giuseppe si vestiva alla cinese e così appare nelle foto, con la barbetta lunga a punta. Uno stravagante, si direbbe. Ma non lo era. Anzi, rilette oggi le sue analisi colpiscono per la lucidità.
Nei primi del Novecento, dopo aver vissuto sulla sua pelle le persecuzioni del movimento xenofobo dei Boxer che fa strage di missionari e cinesi convertiti al cristianesimo, avvertiva che la Cina rischiava di passare dalle «rovine del vecchio paganesimo» all’indifferenza religiosa, così che «l’irreligione raggiungerà tutte le classi e il più grande popolo della terra andrà perduto per sempre per la Chiesa». E attribuiva questa responsabilità a un’Europa che non viveva autenticamente la propria cristianità.
Giuseppe Freinademetz muore il 28 gennaio 1908. Nel 1975 Paolo VI lo proclama beato e nel 2003 Giovanni Paolo II lo dichiara santo. La sua eredità spirituale è contenuta in una frase. Per lui, ladino che scriveva in italiano e che si trovò a combattere con le difficoltà del cinese, «la lingua che tutti comprendono è l’amore».
© Copyright Europa, 7 agosto 2008 consultabile online anche qui.
La visita che Benedetto XVI ha fatto in Val Badia, al villaggio di Oies, non è forse destinata a passare alla storia. Nessun discorso ufficiale, nessun gesto eclatante.
Eh certo! Decidono i giornalisti che cosa deve passare alla storia o meno? Ecco perche' pare che nulla di cio' che fa Benedetto XVI sia destinato a subire questa evoluzione...
È stato bello, anche perché a Bressanone, dove il papa risiede durante queste vacanze altoatesine, la sua casa, il seminario, è stata circondato da una barriera nera un po’ inquietante, e vederla ogni mattina, con le pattuglie che controllano la situazione, dà un po’ un senso di oppressione
Di occasioni di vedere il Papa ce ne sono state molte. Il telo (verde e non presidiato nel mio caso) e' steso anche lungo la linea di confine che separe il mio giardino dalla strada e non mi da' alcun senso di oppressione, anzi...
Del resto il Papa non e' una "velina" ed e' giusto che lo si lasci in pace almeno in vacanza.
Chissa' quante volte e' uscito in tutta segretezza :-)
R.
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