20 settembre 2008

Il Papa domani ad Albano. Mons. Semeraro: «Siamo la diocesi in cui si trova Castel Gandolfo. Un privilegio? No, un invito a essere esemplari» (Muolo)


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Il Papa domani ad Albano

«Chiamati alla fedeltà»

Il vescovo Semeraro: «Siamo la diocesi in cui si trova Castel Gandolfo. Un privilegio? No, un invito a essere esemplari»

DA ROMA MIMMO MUOLO

Quella di Albano è una Cattedrale abituata alle visite dei Pontefici. Paolo VI e soprattutto Giovanni Paolo II, solo per citare i più recenti, erano di casa.
Ma la consuetudine non rende meno speciale l’arrivo di Benedetto XVI, che concluderà domani, nel centro della diocesi in cui si trova la residenza estiva di Castel Gandolfo, un significativo trittico di viaggi compiuti nel mese di settembre.
Dopo Cagliari, Parigi e Lourdes, Albano è lo spostamento sicuramente più breve (anche tra tutti quelli compiuti nel Pontificato), com’è testimoniato da una circostanza singolare. Il Papa , infatti, giungerà a piedi, uscendo dal cancello delle Ville Pontificie a poche centinaia di metri dalla Cattedrale.
Di questa dedicherà l’altare maggiore dopo i recenti lavori di restauro ai quali ha contribuito in prima persona. Ma l’entusiasmo della gente, nella cittadina dei Castelli romani, non si misura in chilometri e perciò l’attesa è grandissima. Come sottolinea in questa intervista il vescovo di Albano, Marcello Semeraro.

Eccellenza, la sua è geograficamente parlando una Chiesa particolare. Che cosa significa avere per tre mesi all’anno il Papa come «diocesano»?

Lo sa che cosa mi ha detto con un gran sorriso, quando sono andato ad accoglierlo di ritorno dalla Francia? «Adesso sono di nuovo sotto la sua giurisdizione». E spesso, scherzando, il Santo Padre mi definisce il suo vescovo.
Noi tutti, in diocesi, ci sentiamo molto vicini a lui e cerchiamo in tutti i modi di dimostrargli il nostro affetto. Ma non consideriamo questa prossimità anche fisica al Successore di Pietro come un privilegio, quanto come un impegno di esemplarità e uno stimolo di fedeltà nell’azione pastorale. In questo senso ci siamo preparati e vogliamo vivere anche la sua visita.

Il Papa viene a dedicare l’altare maggiore della Cattedrale. Spesso parla della dignità della liturgia. È questa una delle piste di «fedeltà nell’azione pastorale» che volete seguire?

Esattamente. Quando il 31 agosto di due anni fa Benedetto XVI incontrò il clero di Albano impostò anche una riflessione sull’ars celebrandi. Noi abbiamo fatto tesoro dei suoi insegnamenti e ci siamo impegnati per promuovere in tutte le parrocchie una liturgia seria, semplice e bella. La Cattedrale deve essere un modello anche da questo punto di vista. Ecco perché i restauri ed ecco perché abbiamo invitato il Papa a dedicare il nuovo altare maggiore. La sua presenza tra noi si pone, infatti, come punto di arrivo di un vero e proprio itinerario di catechesi.

Ce lo può illustrare nei suoi elementi fondamentali?

Ho scritto una Lettera pastorale Sulla via di Emmaus che ha guidato la riflessione.
Quindi abbiamo deciso i lavori di restauro (di cui si parla più ampiamente nel box in basso, ndr) e ho indirizzato a tutta la diocesi un messaggio dal titolo Facciamo bella la nostra Cattedrale. La chiesa che custodisce la cattedra del vescovo è infatti il segno del suo magistero e dell’unità della diocesi. E sappiamo che la più alta manifestazione della Chiesa locale si ha quando il popolo è raccolto intorno al vescovo che celebra l’Eucaristia. Da questa visita del Papa mi aspetto, dunque, un incremento del senso della diocesanità, attraverso la valorizzazione del segno visibile della Cattedrale.

Quali sono le sfide pastorali più urgenti per la diocesi di Albano?

Per una Chiesa locale come la nostra, anche a motivo della sua conformazione geografica, è sempre più urgente mettere in atto la pastorale integrata.
Parrocchie, gruppi, associazioni e movimenti non sono isole di un arcipelago, ma realtà in comunione che devono interagire tra loro. In questo senso la Nota dei vescovi sul volto missionario della parrocchia ci offre già diversi spunti. E ora attendiamo la parola e l’incoraggiamento del Papa .

Qual è il volto sociologico della diocesi?

Negli anni ’50 la popolazione diocesana era di 80mila persone. Oggi siamo più di mezzo milione. La nostra Chiesa, infatti, è situata su un territorio di forte immigrazione. A quella storica legata alla colonizzazione dell’Agro pontino, è seguita negli ultimi decenni, quella dai Paesi dell’est. Vi è poi il fenomeno dell’industrializzazione di alcune aree (Aprilia e Pomezia soprattutto). E di recente anche l’arrivo di giovani coppie dalla vicina Roma. Naturalmente questo volto multiforme, che va dal nucleo antico dei castelli al litorale a vocazione turistica fino agli insediamenti produttivi, è una sfida. A partire dal Giubileo abbiamo avviato percorsi di primo annuncio per l’iniziazione cristiana degli adulti (negli ultimi tre anni ne ho battezzati 40). Nel campo dell’assistenza sociale, tramite la Caritas, facciamo una lettura costante del territorio per porre segni di speranza (ad esempio una casa per le ragazze madri). E poi attenzione alle famiglie, specie a quelle in difficoltà, e ai giovani, soprattutto in chiave missionaria. Anche le vocazioni sono in ripresa. Un segnale che ci incoraggia a camminare più speditamente sulla via dell’evangelizzazione.

© Copyright Avvenire, 20 settembre 2008

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