17 luglio 2007

Maria Laura Rodota', una donna "antica" e per nulla anticonformista


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Un commento fuori bersaglio di Maria Laura Rodotà

Se manca il coraggio si accusano i cattolici

Domenico Delle Foglie

C'è del metodo oltre che dell'ostinazione nel trattamento "di favore" che certi giornalisti italiani iscritti al partito del "politicamente corretto" e del "glamour" riservano ad alcuni esponenti del mondo cattolico rei, a ben guardare, di aver alzato un po' troppo la testa. E magari di nuotare controcorrente, oltre che di lanciarsi in affermazioni che non assecondano né il buonismo imperante né la ricerca di consenso a buon mercato. L'ultimo episodio della serie che vede protagonisti alcuni dei più impalpabili commentatori di costume dei principali quotidiani italiani ci è capitato sotto gli occhi domenica scorsa. Il tema sarebbe di quelli seri, sparato con tanto di titolone («Processo all'Italia, il Paese delle donne nude») sulla prima pagina del Corriere della Sera.
La notizia è presto detta: il Financial Times, quotidiano della City londinese, denuncia la «nuda ambizione» delle ragazze italiane che sognano di fare le veline e magari compaiono dappertutto (in particolare nella pubblicità e negli show) più nude che vestite. Ci avventuriamo nella lettura dell'articolo che vorrebbe essere di denuncia. E sinceramente non riusciamo né a scandalizzarci né a drammatizzare. Consapevoli come siamo che, da normali cittadini, dobbiamo fare i conti tutti i giorni con i giganteschi cartelloni che invadono le nostre città, offrendo ogni tipo di mercanzia attraverso l'esibizione-dono dei corpi femminili. Ma se le donne continuano a star zitte, qualche problema di educazione, al femminile come al maschile, ci sarà nelle famiglie italiane. Queste però sono preoccupazioni da bacchettoni cattolici. Dunque, avanti con le forzature e le mistificazioni.
Il vero stupore ci assale quando leggiamo il commento di Maria Laura Rodotà che, espertissima nel non fare male alla pubblicità e alla televisione (anche lei "tiene famiglia"), va per campi. E visto che si trova, impallina nell'ordine tre cattolici che calcano la scena pubblica, ma che non c'entrano proprio nulla con quelle donnine-do nnone. Prima se la prende con Savino Pezzotta accusato di «familismo ipocrita» alla David Cameron, leader dei conservatori inglesi («certo più chic» del portavoce del Family Day). Poi fustiga il governatore della Lombardia (Roberto Formigoni), colpevole di aver affermato che occorrono aiuti finanziari per aiutare le mamme che vogliano restare più a lungo a casa per aiutare i bimbi nei primi anni di vita. E per finire la solita senatrice teodem Paola Binetti (lei non manca mai nella lista dei reprobi), tirata in ballo perché «nell'Europa civile i diritti riproduttivi sono acquisiti e non a rischio, per non dire dei Pacs». E per non farsi mancare niente, la Rodotà cita anche la «banalissima epidurale» che a suo avviso qualcuno (i soliti cattolici?) vieterebbe negli ospedali italiani. La commentatrice, però, è a dir poco disinformata. A che serve informarsi però, se ogni stupidaggine viene buona per ridicolizzare i cattolici "integralisti"? La «banalissima epidurale» - glielo facciamo sapere senza rancore - viene normalmente praticata in tutti i reparti di ostetricia italiani, compresi naturalmente quelli degli ospedali "cattolici". La giornalista sarà convinta che i cattolici nei loro consultori facciano la predica sul partorire nel dolore. Vaglielo a spiegare che il mondo cambia e lei sta ferma. In ogni caso, non siamo stati noi a sollevare il problema delle donne nude. E se l'avessimo fatto, chissà quante urla all'ingerenza nel costume italiano. Lo ricordiamo: è stato il Financial Times. Non sarà che anche quello è un covo di cattolici "poco chic"?

© Copyright Avvenire, 17 luglio 2007


TUTTE NELLA TRAPPOLA

di MARIA LAURA RODOTA'

Il Financial Times è ingeneroso. Non vuole ammettere quanto siamo avanti; quanto da noi siano radicati dei fenomeni che nel Regno Unito sono solo nuove mode: il familismo ipocrita alla David Cameron (certo più chic di Pezzotta); le yummy mummies
(fanno figli e non parlano d'altro, sono una versione più magra delle nostre Signore Mie); l'invasione delle bonone (lì relegate a tabloid popolari, riviste per ragazzotti, programmi tv sui giovani ubriaconi o sulle mogli dei calciatori).
Detto questo, tanto per cambiare, che figura. Non tanto per i maschi italiani, o per le ragazze ben fisicate che facendo foto o mostrando il gluteo in tv guadagnano — per il momento — assai di più che con una laurea e una via crucis di contratti a termine. Per le donne italiane riprese in bikini solo da familiari affettuosi, per il resto affaticate, o rassegnate, o ambedue. Affaticate perché è vero quel che scrive Adrian Michaels sul FT: chi lavora non è aiutata dalle istituzioni (anche chi per miracolo trova un posto al nido pubblico, con uno stipendio normalissimo schizza nella fascia alta e paga 450 euro al mese), non dagli orari dei negozi (geniali; a Milano gli alimentari sono chiusi il lunedì pomeriggio, i figli di chi lavora rischiano settimanalmente la sana pizza take away); soprattutto, non dalla mentalità dominante, per cui di cucinabambini casa si deve occupare la donna, oppure la colf. Gli inglesi saranno pure odiosi quando parlano di noi; ma loro, nei bagni per uomini, da tempo trovano dei fasciatoi. Lì per un padre è naturale cambiare i pannolini al pupo. Da noi meno.
E non si vedono cambiamenti. Nel delirio di calcoli sull'età pensionabile viene sempre tenuto conto che il lavoro delle donne è più faticoso, include un destino da pulitrici e badanti anche da vecchie. Il governatore della regione economicamente più importante, la Lombardia, interrogato in tv sugli asili nido, risponde che ci vogliono aiuti finanziari per far restare le donne «a càààsa» (detto come il Ranzani quando lascia l'Anna a Cantù).
E poi, problema per il futuro: le donne visibili in Italia sono quasi tutte bellone (anche le nuove leve minigonnate della politica) o astrologhe o cose del genere; per le più giovani ci sono pochi modelli. A molte ragazzine piace Emma Bonino, parla chiaro e ha una mobilità da Cartoonia, ma non basta.
Perché è inutile aspettarsi cambiamenti dai maschi, la questione sono le femmine. E le mamme italiane; di femmine stavolta. Molte si preoccupano perché le figlie tengono troppo ai voti; e si preoccupano di più se non hanno un fisico impeccabile (garantito autentico, sentito dire in spiaggia a una tredicenne carina e smilza: «Amore, guarda qui, sei a rischio cellulite, lascia perdere il gelato e prendi un'acqua naturale»; se poi la figlia privata dell'onesto piacere del Cucciolone decide di sfruttare il fisico e va a fare la cubista la colpa non è sua, francamente). Non sono segnali di ambizione estetica nell'ex Paese della Bellezza, come ipotizza il FT; sono segni di rassegnazione, a un pensiero unico sull'aspetto fisico e sul valore di mercato delle donne che sull'aspetto, principalmente, è ancora basato.
Per cui: è vero, in una giornata media siamo massmediaticamente bombardate da diecimila modelle- letterine-attricine, più casomai una Binetti (a proposito di Binetti: nell'Europa civile i diritti riproduttivi sono acquisiti e non a rischio, per non dire dei Pacs, per non dire della banalissima epidurale; anche questo rende le italiane meno libere). Ed è vero, per le donne c'è una Trappola Italiana fatta di costrizioni pratiche e familiari, ossessione per l'aspetto, frustrazioni lavorative. Però è riduttivo, come fa il FT, dire che la riscossa delle italiane può essere la lettera di Veronica Lario a Berlusconi. Va bene, tante mogli sono nella sua situazione (altrove mollano i mariti). Ma serve qualcosa di più. Forse dovrebbero cominciare i media, i giornali per primi, a parlare di donne interessanti, che ce ne sono tante. Le ragazze troverebbero più interessanti i giornali, tra l'altro. Forse anche gli uomini, o sennò possono guardare le figure (bellone nelle pubblicità ce n'è tantissime, non lo notano solo gli inglesi).

Corriere della sera, 15 luglio 2007

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