14 settembre 2007

Messa tridentina, le interviste che i giornaloni non fanno: la parola a Mons. Ranjith


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LE ASPETTATIVE E LE POLEMICHE. PARLA L’ARCIVESCOVO RANJITH, SEGRETARIO DELLA CONGREGAZIONE VATICANA PER IL CULTO

Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro

Roma. Oggi, 14 settembre, entra in vigore il motu proprio di Papa Benedetto che “liberalizza” la Messa tridentina, permette cioè ai fedeli che lo desiderano di partecipare, in ogni parrocchia, a celebrazioni in latino secondo il messale di san Pio V. Sino ad ora per farlo occorreva una particolare dispensa
del vescovo diocesano.
L’arcivescovo Malcolm Ranjith è il segretario della congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti, il viceministro vaticano della liturgia.
In questa intervista esprime le aspettative e le preoccupazioni del suo dicastero di fronte all’accoglienza che il motu proprio Summorum Pontificum ha avuto nella chiesa cattolica. Il documento con cui Benedetto XVI ha liberalizzato la messa tridentina ha, infatti, suscitato grande interesse. Però sembra che molti lo giudichino solo in chiave ideologica alla luce del cosiddetto spirito del Concilio Vaticano II.
Per monsignor Ranjith, invece, “il Papa ha valutato profondamente le crescenti richieste dei fedeli favorevoli al ritorno del rito tridentino e considerando anche i risultati attuali delle riforme liturgiche post conciliari ha preso la sua decisione.
Ora non si tratta di vedere fantasmi di divisioni o teologie retrograde dietro questa decisione ma di mettersi in ascolto e obbedire con lealtà. Non è vero che la riforma di Paolo VI viene sottovalutata.
Il Papa la chiama l’espressione ordinaria della messa. Credo che a causa di questa decisione alcuni valori essenziali della liturgia torneranno a essere più accentuati sia nell’uno che nell’altro modo di celebrare.

Sono sicuro che soprattutto i vescovi, che nel momento dell’assunzione del loro ministero episcopale hanno professato la loro piena lealtà e obbedienza al Sommo Pontefice, accetteranno questa decisione con sentimenti di generosa collaborazione e assicureranno la fedele attuazione delle indicazioni del motu proprio nel modo con cui viene indicato loro, rispettando le identità specifiche dei due modi di celebrare.

Vedo che in genere il motu proprio è stato accolto bene. In ogni caso, parlare di questa come una mossa contro il Concilio Vaticano II sarebbe non solo un totale malinteso ma anche un tentativo di creare divisioni nella chiesa. Non vedo nessuna ragione per questi allarmismi”.
Il Papa sembra aver fatto della questione liturgica uno dei temi fondamentali del suo pontificato. “Già dal tempo del suo ministero
episcopale a Monaco di Baviera aveva mostrato un grande interesse per la questione liturgica. Ciò su cui lui, ora da Papa, continua a insistere è la centralità del principio perenne lex orandi, lex credendi e la necessità assoluta di conoscere, celebrare e vivere profondamente il mistero della liturgia come principio vivificante
della chiesa.

Il Papa vuole che tutti i fedeli godano di quel senso nobile e trascendente come anche profondamente trasformante della liturgia. La liturgia non è tanto ciò che si studia quanto ciò che si celebra, si crede e si vive”.

I sacerdoti giovani

Sono molti i sacerdoti giovani, al di sotto dei quarant’anni, a essere interessati alla liturgia tradizionale. “E’ un fenomeno interessante, questa richiesta dei giovani sacerdoti.
Per me è un segno dei tempi e il Concilio Vaticano II raccomandava a noi di essere sempre attenti a questi segni. Vedo una forte sete tra loro, di essere autentici alle esigenze della loro vocazione. I giovani di oggi che decidono di diventare sacerdoti fanno una scelta che forse comporta più sacrifici di quelli di ieri. Quando noi siamo entrati in seminario, per esempio, l’ambiente era più religioso di oggi. Vedo che in alcuni casi questa ricerca li porta a scegliere un senso più tradizionale della liturgia, nel portare la veste talare o qualche insegna sacerdotale o religiosa e ad essere pronti a intraprendere altre scelte indicative della loro vocazione.
Questa non dovrebbe significare una condanna di altri che forse hanno pensato di non insistere tanto su questi aspetti esterni della loro identità. Ma i tempi cambiano.

I giovani vogliono più coerenza.
L’entusiasmo dei giovani va sempre incoraggiato, non disprezzato”.
In questi anni molte celebrazioni liturgiche hanno mostrato la tendenza a un abbassamento del divino verso l’umano invece che l’innalzamento dell’umano verso il soprannaturale.

Crede che la liturgia tradizionale contribuirà al rimedio di questo fatto?

“Non solo la liturgia tradizionale ma anche quella del Novus Ordo, se viene celebrata con fede, devozione, decoro, senso di fedeltà alle norme e rigore spirituale è capace di innalzare il cuore umano verso una vera adorazione di Dio. Come dice il Papa, ‘la liturgia… è veritatis splendor’.
Essa non è ciò che noi facciamo, ma piuttosto qualcosa di celeste alla quale siamo chiamati ad adeguarci anche negli aspetti esterni. Dall’altra parte è la chiesa che celebra la liturgia: adorazione e lode del suo Signore come suo popolo.
Per questa dimensione ecclesiale come dice il Concilio nella ‘Sacrosanctum Concilium’: ‘nessun altro assolutamente, anche se sacerdote, aggiunga, tolga o muti alcunché di sua iniziativa in materia liturgica’.
Il problema attuale è uno spirito di disordine sulla disciplina liturgica, largamente diffusa in diverse parti del mondo. Tale situazione è il risultato d’una formazione liturgica difettosa a diversi livelli. Diversi sacerdoti non conoscono il vero senso di ciò che si celebra e portano avanti una liturgia ‘fai da te’.
Per sfortuna, in alcuni casi anche gli stessi vescovi sono diventati immobili e inconsistenti tollerando questa situazione passivamente o magari, in qualche caso raro, incoraggiando tali atteggiamenti. E poi ci sono atteggiamenti piuttosto pedantici di alcuni teorici, i quali hanno purtroppo dimenticato che la liturgia non è tanto un atto intellettuale quanto un atto di adorazione, perciò di profonda spiritualità e fede”.

Si assiste a una fuga dei fedeli verso due estremi opposti: la ricerca del misticismo a tutti i costi o la banalizzazione.

“Ciò che è successo nel nome d’un cosiddetto ‘spirito del Concilio’ il quale non è stato neanche fedele alle indicazioni dei suoi vari documenti ha causato gravi danni alla chiesa soprattutto a causa d’un certo avventurismo liturgico.
Questa constatazione non deve essere interpretata come una critica del Concilio ma come una proposta di riaggancio a ciò che aveva veramente stabilito. Alcuni dei maggiori cambiamenti in liturgia non sono mai stati auspicati dal Concilio. La banalizzazione dei misteri eterni della liturgia conseguita e giustificata da alcuni liturgisti ora sta creando una crescente richiesta per abbandonare totalmente gli aspetti terrestri e entrare in una fase di misticismo distaccato.
Un sano senso di equilibrio fra i due aspetti, cioè quello discendente e quello ascendente come anche un vero apprezzamento del valore eterno di ciò che si realizza nella liturgia è importante. I costanti chiarimenti di Papa Benedetto sulla vera natura della liturgia sono delle indicazioni alla chiesa e soprattutto a vescovi e clero su quell’equilibrio necessario. Senza un tale atteggiamento si rischia di cadere nella superficialità e nel formalismo da un lato e dall’altro lato in uno spiritualismo che non ispira alla realizzazione
delle scelte cristiane nella vita”.

Attraverso gli errori liturgici sono passati anche errori dottrinali. Sarà possibile mettervi rimedio anche grazie alla liturgia tridentina?

“Credo di sì, ma la parola ‘anche’ qui è importante. Non dobbiamo abbandonare i tentativi di far conoscere a tutti il valore eterno di ogni forma di celebrazione liturgica, soprattutto quella del Novus Ordo.
Attraverso la correzione di alcune di queste esagerazioni liturgiche che probabilmente la messa tridentina faciliterà negli anni futuri, ci sarà un miglioramento ulteriore del Novus Ordo e così anche un superamento delle crisi teologiche causate da quelle tendenze banalizzanti della liturgia”.

Molti sacerdoti e molti fedeli sembrano timorosi di chiedere di applicare ciò che il Papa ha stabilito che sia un loro diritto. Forse c’è bisogno di un incoraggiamento.

“Non vedo, di chi dobbiamo avere timore perché timore significa mancanza di fede.

D’altronde, in un mondo che abbandona il senso della disciplina e soffre a causa di essa, sarebbe grave se qualche pastore della chiesa donasse un esempio negativo in questo senso disobbedendo al Papa. Ciò comporterebbe una controtestimonianza per Cristo che spogliò se stesso è ubbidì al Padre fino alla morte sulla croce”.

© Copyright Il Foglio, 14 settembre 2007

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao Raffaella.
Tu dove andrai ad assistere alla Messa Preconciliare?

Anonimo ha detto...

Da nessuna parte...faccio parte della diocesi di Milano...

francesco ha detto...

certo... che le domande erano proprio esemplari! quanto a tendenziosità...
questa intervista potrebbe essere usata in un corso di giornalismo per insegnare come fare domande che siano già risposte!
queste cose (il foglio / socci / magister - inarrivabile! - ) sono il frutto più cattivo della Summorum
meno male che ci saranno frutti migliori di cui i giornali non parleranno...

Petrus M ha detto...

Ciao Raffaella,

anch'io faccio parte dell'arcidiocesi di Milano (VA) e domani in parrocchia comincio a raccogliere firme per un'applicazione analoga del Motu Proprio al rito tradizionale Ambrosiano. Suppongo che se il parrocco mi dovesse dire di no, la Curia di sicuro risponderebbe positivamente concedendo uno speciale indulto ad hoc - e in caso contrario c'è sempre la commissione Ecclesia Dei! Forza, diamoci da fare, Duc in altum! Grazie dello stupendo lavoro che fai in questo blog!

Anonimo ha detto...

Ciao Petrus, tienimi aggiornata...

Anonimo ha detto...

Raffaella,
tieni anche presente che anche nella dicoesi di Milano è consentito al sacerdote celebrare una Messa sine populo in Rito romano, e che nel Rito romano chi celebra sine populo può usare il Messale di san Pio V e può ammettere fedeli alla celebrazione.