3 settembre 2007

Santa Messa del Papa a Loreto: lo speciale de "Il Tempo"


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La carica degli oltre 400mila, la grandezza del Papa, la commozione dei giovani e lo stupore incredulo dei media

In 500 mila a Loreto per ascoltare la parola del Pontefice che sceglie preghiera e non spettacolo

di GIUSEPPE DE CARLI

UN GRANDE successo mediatico per Papa Benedetto anche in TV, ma anche per il nuovo presidente della CEI, l'arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco, al primo vero bagno di folla, alla prima prova del fuoco; per il segretario della Conferenza Episcopale Italiana, Giuseppe Betori e per la sua equipe, riuscita ad organizzare l'evento più importante dell'estate 2007 quanto a numero di partecipanti (ieri domenica sulla spianata di Montorso i giovani sono arrivati a quota cinquecentomila), quanto, soprattutto, a qualità e serietà di proposta. «Woodstock cattolica» l'ha definita impropriamente qualcuno, come se bastasse un po' di incenso e qualche parola buona per fare la differenza. In realtà, Loreto ha marcato anche la differenza fra i mega-raduni alla Wojtyla e i mega-raduni (perché sempre di questo si tratta) alla Ratzinger. I papaboys sono sempre gli stessi, ma c'è una consapevolezza diversa, quasi ci fosse ormai continuità fra la ribalta, l'essere protagonisti di un avvenimento illuminato dai riflettori e la vita di ogni giorno, la vita privata. Papa Ratzinger non ama le grandi kermesse, il frastuono del mondo, la musica a tutto volume, le danze da discoteca, l'ola o il karaoke. Sempre di più, col Papa bavarese, gli appuntamenti coi giovani si sono trasformati finendo per privilegiare la preghiera allo spettacolo. Lo si è visto a Colonia con quel lunghissimo momento di adorazione eucaristica e con un milione di giovani adoranti in silenzio, che ha mandato in tilt le riprese televisive; lo si è visto quest'anno coi giovani romani in preparazione alla Pasqua. Non più festa e giocolieri, danzatori volanti, luccicanti coreografie in Piazza San Pietro, bensì liturgia penitenziale nella Basilica Vaticana con tanto di sacramento della riconciliazione. Così è stato per Loreto. Il Papa è andato per parlare e per dare un messaggio. La festa, se c'è stata, è rimasta ai margini, ha fatto da cornice, non è diventata l'elemento essenziale dell'incontro. Papa Ratzinger, un timido di carattere, impone così, con gradualità, il suo personalissimo «stile».


Non tuona ma ragiona in modo pacato, non vuole sentenziare bensì convincere, è refrattario allo scontro e cerca con pazienza il dialogo, non presenta una Chiesa dal volto arcigno che predica un cristianesimo fatto di rinunce e divieti, bensì descrive il volto di una Chiesa amica.

Che cosa rende davvero «giovani» in senso evangelico? Attorno a questa domanda è ruotata ieri, sulla spianata di Montorso, l'omelia di Benedetto XVI. La risposta il Papa la trova in Maria, nell'umiltà di Maria, nella Santa Casa di Nazaret che è il santuario dell'umiltà. L'umiltà oggi è una virtù provocatoria. L'umile è percepito come rinunciatario, uno sconfitto, uno che non ha più nulla da dire. «Invece - spiega Papa Ratzinger - l'umiltà è la via scelta da Cristo; l'umiltà è il modo di agire di Dio stesso». Ed ecco l'identikit del giovane del duemila, il suo profilo, o, se vogliamo, il «decalogo» comportamentale, il «vademecum» dell'anima. È il cuore del messaggio che Papa Ratzinger lascia ai papaboys e che, di rimbalzo, ricorda il mandato che Papa Wojtyla ha lasciato a Tor Vergata ai giovani durante il Giubileo del 2000. È un modello di vita che fa a pugni con quello strombazzato in queste settimane di fuoco e di incendi, di pettegolezzi e di tragedie trasformate nelle puntate di una fiction. Intanto, non bisogna seguire la via dell'orgoglio, bensì dell'umiltà; per far questo occorre andare controcorrente: «Non ascoltate le voci interessate e suadenti che oggi da molte parti propagandano modelli di vita improntati all'arroganza e alla violenza, alla prepotenza e al successo ad ogni costo, all'apparire e all'avere, a scapito dell'essere. Di quanti messaggi, che vi giungono attraverso i massmedia, voi siete destinatari! Siate vigilanti! Siate critici! Non andate dietro l'onda prodotta da questa potente azione di di persuasione. Non abbiate paura, cari amici, di preferire le vie alternative indicate dall'amore vero: uno stile di vita sobrio e solidale; relazioni affettive sincere e pure; un impegno onesto nello studio e nel lavoro; l'interesse profondo per il bene comune». Insomma, non bisogna avere paura, secondo il Papa, di apparire diversi, di venire criticati, di essere «fuori moda». L'umiltà, dunque, non è la via della rinuncia è la via del coraggio, non è l'esito di una sconfitta ma il risultato di una vittoria dell'amore sull'egoismo e della grazia sul peccato. Papa Benedetto vuole «giovani dal cuore grande», come Papa Giovanni Paolo II li voleva «sentinelle del mattino»; Benedetto li vuole uniti a Cristo «perchè ciò che rende uniti non è il successo ma il bene, un bene che è tanto più autentico quanto più è condiviso e che non consiste prima di tutto nell'avere o nel potere ma nell'essere». È il sogno del Papa-teologo della «città di Dio con gli uomini», che cresce e germina dalla terra e scende dal Cielo. Una città che è rispettosa del creato, tutela i delicati equilibri della natura, inverte le tendenze che rischiano di portare a situazioni di degrado irreversibile. Il rito che si consuma attorno al santuario della Santa Casa a Loreto è quanto di più lontano la penna di un cronista possa immaginare. Ragazzi e ragazze che si alzano all'alba per raggiungere la città murata e recitare il rosario; veglie notturne con la Bibbia in mano; canti dedicati a Maria che evaporano sotto un cielo trapunto di stelle. L'immagine di un cattolicesimo che ha radici profonde persino fra i giovani, saldo e sereno, irrequieto ma non ansiogeno, problematico senza essere cupo o disperante. Un cristianesimo legato al Successore di Pietro e a una generazione di vescovi sempre più popolari, leader spirituali di tante comunità. Settantadue giovani salgono sul palco, come i discepoli di cui racconta il Vangelo di Luca, per raccogliere il mandato di andare missionari da Benedetto XVI. Un gesto semplice e spontaneo. La consegna della bisaccia di San Paolo, il cappellino e le parole impegnative del Papa ad «annunciare in ogni ambiente la novità di Cristo». Tutto sembra così sospeso nel tempo. Familiare e gioioso con un Papa raggiante che decide di ripercorrere di nuovo la spianata per lasciarsi avvicinare dai giovani, per prolungare quasi all'infinito quell'abbraccio di amore.

© Copyright Il Tempo, 3 settembre 2007

Grazie a Giuseppe De Carli per questa meraviglia di commento :-))
Percepisco l'affetto del giornalista per il Papa e la grande sensibilita' e professionalita' che si respira in questo articolo.
Grazie

Raffaella


IL SOGNO NEL SORRISO DI ILARIA

di CLAUDIO BRACHINO

GIOVANNA e Piero da Bari, Sara da Genova, Ilaria da Roma. Non sono nomi famosi. Ma sono nomi importanti. Sono i giovani saliti sul palco di Loreto per parlare con il Papa. O meglio, hanno raccontato la loro storia individuale, e il pontefice ha risposto loro a lungo. A braccio, è stato fatto notare, a differenza dei ragazzi che invece hanno letto un testo preparato. Non è questo però il centro del problema, che Ratzinger possieda la materia che lo ha portato al soglio pontificio, che abbia qualcosa o anche molto di quello che hanno i grandi uomini, non ci sorprende. L’attenzione va invece a questi piccoli grandi uomini che sono diventati un po’ il simbolo dell’Agorà, titolo e linea guida dell’incontro nelle Marche. E scusate se con la parola inseguiamo le immagini. Quelle della tv, anch’essa agorà del contemporaneo ha ricordato Aldo Grasso. Quelle delle foto, camera chiara di barthesiana intensità che imprigiona anche nel bianco e nero della stampa, l’essere nel suo scorrere. Il primo brivido che passò per la schiena dell’uomo dell’Ottocento quando capì che sarebbe diventato l’uomo moderno. Spesso, con quelle foto che sembrano strappate dai cimiteri o dalla fotocopia sgualcita di una patente fornita da un carabiniere gentile, noi giornalisti costruiamo le cosiddette spoon river del dolore. Lo facciamo quando muoiono più di tre ragazzi in un incidente stradale. Lo abbiamo fatto quando abbiamo messo insieme le vittime di chi guida ubriaco. Non è un esercizio di voyeurismo. Lo facciamo per far per choccare, e dunque aumentare la conoscenza emotiva del problema. Quella di Loreto vuole essere invece una spoon river di segno contrario, un’antologia di volti e di gesti che guarda alla vita. Ecco allora che Giovanna, Piero, Sara e Ilaria diventano gli eroi individuali dei valori collettivi. Quei valori collettivi che hanno cementato 500.000 giovani. Ma perché eroi, e di che cosa? Diremmo, senza paura di essere giudicati moralisti, che quei ragazzi rappresentano la linea Maginot dei valori. Un argine contro una deriva angosciosa che spinge tanti ragazzi verso stereotipi vuoti. Il successo a ogni costo, l’aggressività, la mancanza di rispetto per gli altri, per la natura, soprattutto per la vita stessa. La ricerca dell’essere nelle forme sempre più vorticose dell’apparire. Benedetto XVI ha ricordato la centralità dell’umiltà. Senza questo passaggio l’io rimane ancorato a un presente morboso e ristretto. Invece si può e si deve avere un sogno. Un sogno complessivo, che vada al di là della realizzazione di desideri pur legittimi ma troppo individuali. Sì, tutto questo l’abbiamo visto in quei volti. Giovanna è bellissima e semplice. Viene dalla periferia di Bari. Tanti giovani, nessuna prospettiva, nessun gesto d’amore. Ha 27 anni, fa l’assistente sociale, lavora con anziani e immigrati. Ilaria, da Roma, ha un sorriso luminoso. Eppure confessa che la sua vita è stata segnata dalla violenza. Usa senza vergogna parole importanti di cui non sempre si capisce la portata semantica: fede, preghiera. Troppa retorica, può dire qualcuno, uno spot alla famiglia e al valore territoriale della parrocchia, servito al Papa per schiacciare sul volley di Loreto. Non è così, ma anche ammesso che lo fosse in parte, quei volti, che sono specchio e metafora di quegli altri 499.996, mi riempiono di gioia. Una cosa semplice, piccola, preziosa. Se non ricordo male, Dio si nasconde spesso proprio nelle cose piccole. E quel cannocchiale rovesciato me lo tengo stretto.

© Copyright Il Tempo, 3 settembre 2007


«Ha uno stile diverso ma ha risvegliato la fede»

Parla Quagliariello, presidente di Magna Carta: con Ratzinger più fedeli perché ricerca l’equilibrio tra ragione e spiritualità

di FABRIZIO DELL’OREFICE

SÌ, c’è un grande risveglio di fede. Ma non solo quello. Ci sono anche ragioni più profonde che portano all’esplosione di folla che stanno caratterizzando il papato di Benedetto XVI. Non vederli significa solo ricercare un’opposizione tra l’attuale papa e il suo predecessore che invece non esiste. Ne è convinto Gaetano Quagliariello, senatore di Forza Italia e presidente della fondazione Magna Carta, molto vicina alle posizioni dell’ex presidente del Senato Marcello Pera, che può a sua volta vantare un legame con l’allora cardinale Ratzinger.

Senatore, prima una manifestazione con 400mila persone. Poi una messa con 500mila partecipanti. Che succede? È un risveglio collettivo verso la Chiesa?

«Questo Papa ha scelto una maggiore riservatezza, uno stile più sobrio anche nel cerimoniale e un approccio quasi sottovoce nei confronti del suo magistero e anche delle sue apparizioni pubbliche».

Eppure sono cresciute le offerte dell’obolo di San Pietro, le udienze fanno il pienone e i libri del Papa svettano in testa alle classifiche delle vendite...

«Sì, appunto, ma proprio a causa di questo stile diverso ogni volta che c’è una manifestazione oceanica come queste ultime di Loreto ci si meraviglia. In realtà queste manifestazioni sono perfettamente in linea con il grande interesse che questo Papa ha saputo suscitare».

Tuttavia anche i media sembrano quasi negare questa esplosione di fede. Anzi, spesso si racconta quasi una maggiore freddezza rispetto al suo predecessore?

«L’azione dell’attuale papa è meno evidente, si manifesta con segnali che sembrano meno visibili. Come per esempio acquistare un libro, rileggersi dei passi del teologo o semplicemente andare a messa».

C’è chi contesta questi dati e afferma che l’aumento della folla di San Pietro è dovuta all’aumento di presenze turistiche a Roma, l’incremento delle offerte alla conversione dell donazioni da dollari a euro...

«Chi fa questo tipo di osservazioni vuole semplicemente gettare i prodromi per affermare un’opposizione tra i due papi. È un errore, e non sempre compiuto in buona fede».

Ma la differenza c'è o no?

«C'è una differenza di stile ma i messaggi evangelici riflettono una continuità sostanziale».

Forse Wojtila ha svolto più il ruolo del «grande convertitore», guardando maggiormente all'esterno?

«Non penso sia falso sostenere che Wojtila ha avuto una maggiore proiezioni verso l’esterno dettata anche dalle condizioni storiche in cui ha agito. Benedetto XVI raccoglie quanto il suo predecessore ha seminato e si rivolge più all’interno della Chiesa perché è questo che richiede il suo tempo».

Ma perché assistiamo a questo fenomeno di grandiosa ricerca di fede?

«Se dovessi dare una risposta immediata direi che sono venute meno le grandi ideologie e dunque le false certezze che esse veicolavano. Il vuoto che si è creato ha spinto naturalmente verso la religione. Ma penso che questa sia una spiegazione probabilmente valida, un po’ ovvia e forse banale. Vi sono delle ragioni più profonde».

Quali?

«Papa Benedetto XVI sta cercando un nuovo equilibrio tra ragione e spiritualità, immaginando una razionalità che accetta, anzi ricerca la spiritualità. Guardi, è questo il vero filo rosso del suo papato. È questo il senso del discorso di Ratisbona, di Verona e anche di tutti gli ultimi suoi interventi».

E la reazione qual è stata?

«Ha aperto un nuovo scenario per i credenti proponendo una concezione della razionalità che metta in comunicazione le ragioni della scienza con la più profonda essenza dell’uomo».

Il risveglio di fede nasce da questo nuovo equilibrio?

«Non solo, ma questo nuovo equilibrio risponde a uno dei bisogni più avvertiti dall’uomo del nostro tempo».

© Copyright Il Tempo, 3 settembre 2007

Solo una precisazione che ritengo necessaria perche' colgo una contraddizione in una domanda, non per colpa del giornalista del Tempo ma di altri suoi colleghi.
E' ridicolo affermare che ci sono piu' presenze in Vaticano perche' sono aumentati i turisti a Roma. I dati di tutte le agenzie turistiche segnalano un calo di interesse degli stranieri verso l'Italia. Diciamo, allora, che sono aumentati i turisti a Roma perche' moltissimi pellegrini si recano in Vaticano ad ascoltare il Papa.
Il bilancio della Santa Sede ha risentito del cambio euro-dollaro ma in termini negativi: se il saldo fosse stato positivo, il bilancio sarebbe stato ancora piu' in attivo.
Quindi, se l'obolo e' aumentato, il discorso e' esattamente inverso: siamo di fronte ad un gigantesco incremento (quasi il doppio) di donazioni da parte dei fedeli
.
Raffaella

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao Raffaella. Volevo chiederti se sai le motivazioni per cui sia De Carli che Zavattaro sono stati sostituiti da Aldo Maria Valli. Forse quest'ultimo è in quota Riotta?

Il mese scorso sono stato a Mariazell: prepariamoci ad un'altro meraviglioso bagno di folla per il "nostro" Papa.
Ciao,
Lorenzo

Anonimo ha detto...

Ciao Lorenzo, non conosco i meccanismi interni alla Rai. So che Zavattaro resta al tg1 (ha fatto, infatti, la "telecronaca" della Santa Messa di ieri mattina) e che De Carli rimane responsabile della struttura Rai Vaticano (poco valorizzata a mio avviso).
Una cosa pero' e' certa: Aldo Maria Valli e' un grande professionista e spesso e volentieri realizza i servizi televisivi piu' completi (insieme a Stefano Maria Paci). Non ti nascondo che mi sarebbe piaciuto vedere anche De Carli a Loreto. In compenso, pero', ha scritto un bellissimo articolo su "Il Tempo".
Ciao