15 dicembre 2007

"Spe salvi"; Gian Maria Vian a "Tempi": "Il tono dell'enciclica è immediato e diretto


Vedi anche:

TESTO INTEGRALE DELLA "NOTA DOTTRINALE SU ALCUNI ASPETTI DELL'EVANGELIZZAZIONE"

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NOTA DOTTRINALE SU ALCUNI ASPETTI DELL’EVANGELIZZAZIONE A CURA DELLA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

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L'ENCICLICA "SPE SALVI": LO SPECIALE DEL BLOG

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CONSIGLI DI LETTURA: SANTI (J. Ratzinger) e ASCESA ED AFFERMAZIONE DEL CRISTIANESIMO (Rodney Stark), Edizioni Lindau

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Il commento di padre Lombardi al documento della Congregazione per la Dottrina della Fede (Radio Vaticana)

Mons. Amato: la Nota sull'Evangelizzazione indica l'urgenza della missione (Radio Vaticana)

Primalinea

Gian Maria Vian

di Roberto Persico

«Quel che più mi ha colpito dell'enciclica? Il suo tono così immediato, diretto. Vuol parlare davvero a tutti gli uomini e le donne del nostro tempo».

Eppure qualcuno ha voluto vedere nel fatto che tra i destinatari non ci sia la formula "a tutti gli uomini di buona volontà" un arretramento, una chiusura, una mancanza di volontà di dialogo.

«Si tratta di formule canoniche. E che l'enciclica sia rivolta anche "a tutti gli uomini di buona volontà" il Santo Padre lo ha espressamente affermato nell'Angelus della prima domenica d'Avvento, dove ha riproposto l'attesa di Cristo come speranza per tutti gli uomini».

La Spe salvi è la prima enciclica per Gian Maria Vian da quando siede al timone di comando dell'Osservatore romano. Il 29 settembre scorso, infatti, Benedetto XVI ha nominato alla successione di Biagio Agnes (direttore per oltre vent'anni) questo giornalista atipico, il cui impegno nella politica culturale sta nell'album di famiglia.
È cominciato col nonno paterno, che fu uomo di spicco del movimento cattolico ai primi del Novecento; il suo matrimonio fu celebrato da Giuseppe Sarto quando era ancora patriarca di Venezia e il rapporto continuò anche quando Sarto fu eletto al soglio pontificio col nome di Pio X, e nonno Vian collaborò già allora con L'Osservatore. È proseguito col padre, amico personale di Montini, da cui tra l'altro il piccolo Gian Maria fu battezzato. Ed ereditato dal nipote, che fin dagli anni del liceo è sempre stato intelligentemente partecipe delle vicende che agitavano il mondo studentesco, partecipando per qualche tempo ai "raggi" del Virgilio, gli incontri «da cui nacquero - ricorda - Comunione e liberazione e la Comunità di sant'Egidio». Poi, all'università, la passione per la filologia e gli studi di patristica, così il suo amore per la Chiesa ha trovato espressione nell'edizione di una lunga serie di testi e di articoli e libri sulla tradizione cristiana; poi, accanto all'attività di filologo, quella di collaboratore dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, esperto di "materie ecclesiastiche", dove ebbe l'occasione tra l'altro di collaborare col prelato che allora era il canonista di riferimento dell'Istituto, Tarcisio Bertone. Ma accanto a queste due attività ha iniziato prestissimo - il primo pezzo per Avvenire è datato 1973 - a collaborare anche con diverse testate, e l'attività giornalistica ha sempre fatto parte del suo bagaglio professionale. Finché è diventato il direttore del giornale del Papa. Un "giornale difficile" anche perché - ha scritto nell'editoriale in cui ha presentato il suo lavoro - da un lato ha per orizzonte il mondo, dall'altro non può non riservare un occhio di riguardo alle cose italiane.

Il suo giornale è un punto di osservazione privilegiato su entrambi gli scenari. Cosa le sembra decisivo per il momento che sta attraversando la Chiesa nel mondo?

Quel che è stato decisivo sempre: la fedeltà al mandato di Cristo di annunciare a tutti gli uomini la speranza che lui è venuto a portare. Anche nelle condizioni drammatiche in cui talvolta i cristiani si vengono a trovare oggi. Da questo punto di vista è molto importante il recente pronunciamento del Parlamento Europeo sui cristiani perseguitati nel mondo, perché l'Ue è sembrata talvolta seguire i suggerimenti indotti da taluni esponenti del Parlamento in direzione contraria alla tradizione cristiana dell'Europa. Invece il Parlamento Europeo non cessa di essere un'istituzione simbolica importante di questa Unione che, non dimentichiamolo, già Pio XII riteneva di grande importanza, anche per dare una dimensione istituzionale alla tradizione cristiana da cui l'Europa è stata fatta.

E in Italia? Questo popolo cristiano che tutti danno per morto e invece continua a vivere e a farsi sentire, come in occasione del family day?

La realtà dei fatti è sovente diversa dall'immagine che l'informazione ne dà. È la grande legge dell'informazione, per cui fa notizia l'uomo che morde il cane e non viceversa. Ma - il presidente della Cei l'ha ripetuto spesso - in Italia c'è ancora un popolo cristiano che vive e opera, anche se non finisce sui giornali. La realtà è diversa da come alcuni amano rappresentarla.

Il suo giornale darà voce a questa realtà?

Dovrebbe essere il compito di tutti gli organi di informazione, laici o cristiani, di destra o di sinistra.

Lei ha detto che del Ratzinger della Spe salvi la colpisce la volontà di parlare agli uomini e alle donne del nostro tempo. Cosa spinge un papa così dotto a scegliere questo tono?

È sempre stato così. È il linguaggio di Joseph Ratzinger teologo, arcivescovo, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede.
Nel 1968 Introduzione al cristianesimo vendette in Germania cinquantamila copie in poche settimane proprio per questa sua capacità di parlare a tutti in modo insieme piano e preciso.
Fu allora un caso editoriale clamoroso, che per la prima volta attirò l'attenzione dei media su quel teologo relativamente giovane - aveva 41 anni -, anche se già affermato nel suo campo.

E la contrapposizione tra Wojtyla grande comunicatore e Ratzinger freddo studioso?

Quella è assolutamente artificiale. Certo, nell'enciclica ci sono alcuni passaggi più difficili, che chiedono di essere affrontati con pazienza. Ma nella vita tutto quel che vale la pena costa: se voglio bene a una persona, sono disposto a fare qualche sacrificio per farle un bel regalo.

L'enciclica condanna la modernità?

Nella Spe salvi non c'è alcuna lotta alla modernità. C'è una profonda volontà di colloquiare con il mondo moderno. Il Santo Padre sa perfettamente che tutti siamo immersi nella modernità, questo è il clima in cui vivono gli uomini e le donne di oggi. Tant'è vero che, per esempio, critica Marx a partire dalla "scuola di Francoforte", cioè riprende argomentazioni che provengono dalla modernità stessa. E anche altrove non esita a utilizzare affermazioni laiche, come nel passaggio in cui parla della giustizia e del giudizio finale, dove cita Platone e Dostoevskij, non qualche padre della Chiesa.

Benedetto XVI non risparmia una critica anche alla Chiesa moderna.

Sì, il cristianesimo nell'epoca moderna è stato ridotto individualisticamente, non è stato all'altezza della sua tradizione, occorre ricondurcelo.

Riportare il cristianesimo all'altezza della sua tradizione. Lei adesso dirige un giornale che ha un ruolo importante in questa operazione.

Sono semplicemente il direttore di un giornale, sia pure il giornale del Papa.

Però qualche cosa sta facendo per riportare perlomeno il giornale all'altezza della sua tradizione, si parla di cambiamenti. Quali?

Come ho già avuto occasione di scrivere, citando un famoso discorso dell'allora cardinal Montini, L'Osservatore «è un giornale difficile, anzi difficilissimo», ma soprattutto un «grande giornale».

Per questo ha chiuso l'edizione domenicale?

L'Osservatore della domenica era stato un grande inserto, sotto la direzione di Enrico Zoppi, nella scia dei supplementi storici del giornale, L'illustrazione vaticana pubblicata dal 1930 al '38 su iniziativa di Pio XI, che aveva subito colto il grande valore che andavano assumendo le immagini - appunto, l'"illustrazione" -, cui collaborò anche De Gasperi, ed Ecclesia, uscita nel 1942 per impulso dell'allora Segretario di Stato, Giovan Battista Montini, e proseguita fino al 1960. Abbiamo chiuso L'Osservatore della domenica in vista di una nuova rivista che possa rinverdire la stagione dei grandi illustrati vaticani. E, ancora nella tradizione della Santa Sede, sempre attenta a quel che di nuovo si muove nel mondo della comunicazione, stiamo preparando una presenza in rete più puntuale ed efficace. Sempre con l'obiettivo di realizzare quel "giornale di idee" tratteggiato da Montini nel discorso che citavo: seguendo l'esempio di Benedetto XVI e diffondendone gli insegnamenti, il giornale vuole rivolgersi con amicizia a tutti, credenti e non credenti, e con tutti confrontarsi con rispetto e chiarezza su temi come la dignità dell'essere umano e la promozione della giustizia. Per rendere sempre più evidente la testimonianza e la verità di Cristo nel mondo moderno.

E le battaglie di oggi quali sono?

Occorre tornare ai fondamenti. Come sta facendo il Santo Padre. Che ha dedicato la sua prima enciclica alla carità, che secondo san Paolo è la principale tra le virtù teologali, ora questa alla speranza, che si identifica peraltro - spiega il Papa - con la fede. Si tratta di ripartire dall'essenziale. Pochi hanno osservato l'attenzione che l'enciclica dedica ai "novissimi", inferno e paradiso. Non parla del purgatorio, è vero, ma perché si tratta di un passaggio transitorio. Meno male che c'è, il purgatorio, perché è la nostra speranza.

Forse il Papa non ne parla perché, come ha scritto uno storico importante, si tratta di un'invenzione medievale?

Ma quale invenzione medievale! L'idea del purgatorio si trova già nel giudaismo ellenistico, nel libro dei Maccabei.

© Copyright Tempi num.50 del 13/12/2007

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