22 febbraio 2008
Origini e significati della festa della Cattedra di Pietro (Osservatore Romano)
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Origini e significati della festa della Cattedra di Pietro
Una roccia come scampo tra gli sconvolgimenti del mondo
di Uwe Michael Lang
Pontificia Commissione
per i Beni Culturali della Chiesa
Praesta, quaesumus, omnipotens Deus, ut nullis nos permittas perturbationibus concuti, quos in apostolicae confessionis petra solidasti. Concedi, Dio onnipotente, che tra gli sconvolgimenti del mondo non si turbi la tua Chiesa, che hai fondato sulla roccia con la professione di fede.
La colletta nella forma ordinaria del Missale Romanum del 1970 (2002) che si ritrova proprio nel Sacramentario gelasiano (là però in occasione della vigilia della solennità dei santi Pietro e Paolo il 28 giugno, come ancora oggi nella forma straordinaria del rito romano secondo il Messale del 1962), riassume con realismo e intensità tipicamente romani l'essenza della festa della Cathedra Petri (Cattedra di Pietro) che viene celebrata il 22 febbraio.
La liturgia ci ricorda che il Signore costituì Simone, al quale diede il nome di Pietro, pietra della sua Chiesa, lo creò pastore di tutto il suo gregge, gli donò le chiavi e gli conferì il potere di sciogliere e di legare. Dunque il Papa, quale vescovo di Roma e successore di san Pietro, è "il perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli" come ha confermato il Concilio Vaticano II (Lumen gentium, 23). Quale rappresentante di Cristo il Papa ha sulla Chiesa "una potestà piena, suprema e universale, che può sempre esercitare liberamente" (Lumen gentium, 22).
L'ufficio petrino è fondato sulla fede dell'apostolo, che professò Gesù come il "Messia, il Figlio del Dio vivente" (Matteo, 16, 16), al che il Signore gli rispose: "né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (16, 17). Questa professione di Gesù, il Signore, è il centro della fede apostolica, che viene custodito e annunciato dalla Chiesa. Questo servizio alla fede è affidato in modo particolare ed eminente al successore di san Pietro.
L'origine della festa della Cathedra Petri risale alla Chiesa antica. Il Cronografo romano dell'anno 354 contiene una Depositio martyrum, un elenco dei giorni di commemorazione dei santi romani, e include anche i luoghi in cui essi erano sepolti o venerati. In questo antichissimo calendario liturgico della Chiesa romana esiste una voce per il 22 febbraio: viii Kal. Martias. Natale Petri de cathedra. Questa festa era probabilmente un adattamento delle celebrazioni dei banchetti funebri che si svolgevano di solito a febbraio. In quel mese i romani ricordavano i loro parenti defunti. Questa commemorazione si concludeva con una caristia o cara cognatio il 22 febbraio, un banchetto in onore dei defunti, a cui partecipavano i parenti. In tal modo si sottolineavano anche l'unità e l'armonia della famiglia. In questi banchetti si allestiva un seggio (cathedra) per i defunti.
La festa romana in onore dei santi Pietro e Paolo - che nel cronografo è indicata il 29 giugno e che oggi è celebrata come solennità - in origine non si riferiva al giorno della loro morte, ma, forse, alla traslazione temporanea delle loro spoglie nelle catacombe di San Sebastiano sulla via Appia nell'anno 258 (tuttavia questa ipotesi è oggi molto dibattuta fra gli studiosi).
Dopo la fine delle sanguinose persecuzioni e il riconoscimento della religione cristiana da parte dell'imperatore Costantino, nel quarto secolo le persone affluivano in massa nelle chiese, alcune di loro per motivi sospetti. Si rivelò necessario tracciare confini per escludere le abitudini pagane, che alcuni nuovi convertiti ancora mantenevano, sebbene si conciliassero difficilmente con la fede cristiana. Le autorità ecclesiali cercarono di scoraggiare le celebrazioni popolari dei banchetti dei morti.
Natale Petri de cathedra il 22 febbraio fu indicata come la commemorazione del giorno in cui l'apostolo Pietro prese possesso della cattedra episcopale romana. Cathedra era anche un'espressione corrente per indicare la sedia di un insegnante. Si pensi alla "cattedra di Mosè" nella sinagoga, di cui parlano le Sacre Scritture (Matteo, 23, 2). La cathedra rappresentava dunque il magistero e il potere pastorale del vescovo così come l'unità della Chiesa come famiglia spirituale nella fede, che i successori degli apostoli custodiscono e annunciano.
In Gallia, a partire dal sesto o dal settimo secolo, il 18 gennaio si cominciò a commemorare la chiamata dell'apostolo Pietro a detenere le chiavi e a essere il fondamento della Chiesa. Nel primo medioevo la complessa interazione fra le liturgie romana e gallicanafrancese portò a celebrare il 18 gennaio la presa di possesso romana di Pietro e il 22 febbraio la festa della sua presa di possesso antiochena. Infatti, secondo una la tradizione ecclesiale Pietro era anche il primo vescovo di Antiochia di Siria. Questo significato delle due feste fu confermato ufficialmente da Papa Paolo IV nel 1547 e assunto nel Missale Romanum del 1570. Papa Giovanni XXIII ridusse le due commemorazioni di nuovo a un'unica festa, celebrata da allora nell'antica data romana, il 22 febbraio.
La Cattedra di Pietro, che viene venerata nell'abside della basilica di san Pietro, è un trono ligneo del IX secolo, realizzato sui resti di un seggio più antico, donato al Papa da Carlo il Calvo. Fra il 1657 e il 1666 Gian Lorenzo Bernini realizzò la Cathedra Petri in marmo, ricoperto di bronzo dorato e stucco, per celebrare l'ufficio magisteriale e pastorale. Il grandioso movimento di questo capolavoro culmina nella finestra ovale, che, al contempo, è il punto focale della basilica. La colomba che la decora simboleggia l'assistenza dello Spirito Santo, che è garantita al Papa nell'esercizio del servizio petrino.
La Cathedra Petri è il magistero dell'apostolo, che è affidato al Papa, vescovo di Roma, affinché custodisca e trasmetta il patrimonio di fede e serva l'unità visibile della Chiesa. Nel corso della storia, questa verità di fede si è rivelata sempre potente contro le molteplici forze centrifughe che hanno causato tensioni e divisioni in seno al cristianesimo.
Sempre attuale è l'esempio del grande teologo inglese e venerabile servo di Dio John Henry Newman (1801-1890). Personalità guida del Movimento di Oxford, Newman sostenne inizialmente che la Chiesa anglicana aveva preservato nel modo più puro l'insegnamento e la pratica originari e che quindi rappresentava la via media fra gli eccessi e le aberrazioni della Chiesa romana e il razionalismo e l'apostasia del protestantesimo.
Secondo la visione fondamentale di Newman, che lo portò a convertirsi l'8 ottobre 1845, solo la Chiesa che è in comunione con il Papa può definirsi a ragione cattolica, perché è identica alla Chiesa degli apostoli e dei Padri della Chiesa.
Quanto annunciato nel Vangelo, si è già realizzato nei primi secoli della storia della Chiesa. Alla fine del secondo secolo, per contrastare la grande minaccia per la fede rappresentata dai movimenti gnostici, Ireneo di Lione si appellò alla viva tradizione apostolica custodita dalle Chiese locali e dai loro vescovi, i successori degli apostoli. Parla di Roma come della "più grande, più antica ed evidentemente eminente Chiesa, che sia mai stata fondata ed eretta da Pietro e da Paolo (...) Intorno ad essa devono riunirsi tutte le Chiese, ossia tutti i fedeli di ogni luogo" (Ireneo, Contro le eresie, III, 2).
Fu sempre più chiaro che la comunione con la Chiesa romana è decisiva per l'appartenenza alla Chiesa cattolica diffusa in tutto il mondo. Questo riconoscimento portò Newman alla conversione, quando ancora stava lavorando a una delle sue più note opere Lo sviluppo della dottrina cristiana.
L'ingresso nella Chiesa cattolica romana non fu facile per Newman e fu il frutto di un annoso dissidio esistenziale e intellettuale. Fu decisivo lo studio delle controversie teologiche della Chiesa antica, nelle quali trovarono una valida formulazione i contenuti essenziali della fede cristiana.
Nelle controversie cristologiche del quinto secolo Papa Leone Magno si dimostrò testimone della professione apostolica contro i monofisiti, il cui massimo rappresentante, Eutiche, sosteneva che la natura umana di Cristo fosse stata accolta completamente nella sua natura divina: "La mia roccaforte era l'antichità; ed ora, nel bel mezzo del quinto secolo, trovavo (o così mi parve) rispecchiata la cristianità del sedicesimo o del diciannovesimo secolo. Vidi il mio volto in quello specchio: era il volto di un monofisita. La Chiesa della via media occupava il posto della comunità orientale, Roma il suo posto di sempre; e i protestanti erano gli eutichiani" (Apologia pro vita sua).
Per Newman il punto di contatto fra i monofisiti del quinto secolo e gli anglicani del suo tempo non stava tanto nei contenuti degli insegnamenti quanto nel principio in base al quale le controversie venivano risolte: la verità di fede non sta nella via media. "Roma stava dov'è ora": Con queste parole Newman espresse la continuità del magistero pontificio, della cathedra Petri. Su questo fondamento si basa la fede autentica della Chiesa.
Newman spiegò questo principio nel corso delle dure controversie sul dogma dell'infallibilità del Papa alla fine del diciannovesimo secolo. Prima del Concilio Vaticano I Newman apparteneva al partito che considerava inopportuna una definizione dottrinale formale, non da ultimo perché l'estremo ultramontanismo lottava strenuamente a favore di una formulazione massimalista del dogma. La definizione contenuta nella costituzione pastorale Pastor aeternus risultò così equilibrata che Newman poté spiegarla con convinzione e difenderla nella sua Lettera al Duca di Norfolk.
Il Papa parla ex cathedra o infallibilmente, quando, come maestro di tutta la Chiesa nel nome e con l'autorità degli apostoli, parla di un tema di fede o di morale con l'intenzione di impegnare ogni membro della Chiesa ad accettare la sua decisione e a credere in essa.
Newman sottolinea che il magistero del Papa non può avere la stessa autorità dell'annuncio degli apostoli. Infatti gli apostoli hanno ricevuto la rivelazione divina. L'ufficio della Chiesa e del Papa consiste nel "vegliare su "quel nobile deposito" di verità, come dice san Paolo a Timoteo, che gli apostoli le hanno lasciato in eredità, nella sua pienezza e integrità" (Lettera al Duca di Norfolk).
Per le decisioni dottrinali ex cathedra il Papa può ricorrere all'assistenza dello Spirito Santo, non però all'ispirazione che fu degli apostoli: "Non dipende assolutamente dal capriccio del Papa né dal suo desiderio rendere l'una o l'altra dottrina oggetto di una definizione dogmatica. Egli è legato alla rivelazione divina, alle verità già esistenti in essa contenute e alle precedenti decisioni dottrinali della Chiesa e da esse limitato. Egli è legato alla legge divina e alla costituzione della Chiesa e da esse limitato" (ivi).
Il Concilio Vaticano I non ha affatto definito il Papa come monarca assoluto. La sua autorità non è assolutamente illimitata, ma legata in obbedienza alla rivelazione che si trova nelle Scritture e nella tradizione.
L'autorità del Successore di Pietro si fonda sulla confessione di Gesù Cristo, il Figlio di Dio, serbato e annunciato nella Chiesa. La Chiesa è fondata su questa pietra e le porte degli inferi non prevarranno. Questo mistero viene celebrato nella liturgia del 22 febbraio.
(©L'Osservatore Romano - 22 febbraio 2008)
Sul cardinale Newman e l'elogio della coscienza nella Lettera al Duca di Norfolk si veda:
Cardinale Ratzinger: il Papa non impone dall'esterno ma sviluppa la memoria cristiana e la difende
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