21 febbraio 2008

Mons. Sgreccia: "Con speranza e solidarietà accanto all'uomo sofferente" (Osservatore Romano)


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Il congresso della Pontificia Accademia per la vita

Con speranza e solidarietà accanto all'uomo sofferente

Elio Sgreccia
Presidente della Pontificia Accademia per la vita

"Accanto al malato inguaribile e al morente" è il tema del congresso, promosso della Pontificia Accademia per la vita, nei giorni 25-26 febbraio nella Città del Vaticano, in occasione e in collegamento con la XIV assemblea generale degli accademici che si riuniranno per l'esame delle proprie attività nel giorno seguente, il 27 febbraio.
Riflettere sul malato grave e sul morente, vuol dire, non soltanto esaminare i criteri che possono configurare un'assistenza adeguata alla dignità della persona morente, allo scopo di evitare sia l'eutanasia sia l'eccesso, o accanimento, nell'uso delle terapie, ma vuol dire, più estensivamente e qualitativamente, prendere consapevolezza del valore di questo segmento di vita, quello più fragile e frequentemente accompagnato da un elevato livello di sofferenza.

Si tratta di un congresso scientifico, pertanto non si aspettano soltanto considerazioni che tocchino il sentimento e la pietà, e neppure la comprensibile condanna della cultura di morte che oggi insidiosamente penetra la società del benessere e della produttività; in positivo la riflessione è portata sull'aspetto biblico-teologico, sulla cultura secolarizzata che scotomizza il dolore e la morte, sull'assistenza medica nei suoi momenti e criteri orientativi di tipo tecnico-etico, umanistico e religioso.

L'afflusso è già segnalato da tutti i continenti, e non soltanto di operatori sanitari o pastorali: è già prevista la presenza di circa 400 persone; il tema infatti interessa professionisti di varie discipline: medici, amministratori ospedalieri, religiosi, studiosi di etica e politici, e operatori sociali.

Peraltro, in questi ultimi decenni, sulla fragilità umana, dopo le grandi stragi e i misfatti disumani della II grande guerra, con il perdurare del terrorismo e l'insorgere di progetti autodistruttivi, quali sono quelli dell'eutanasia e del suicidio assistito, il pensiero filosofico stesso non ha mancato di richiamare l'attenzione. Questa attenzione sulla fragilità e sulla sofferenza non è sintomo di ripiegamento del soggetto su di sé, una specie di dolorismo per delusione e frustrazione, ma è ricerca di una speranza più solida.
Ormai è passata nel corteo dei ricordi retorici, messi in atto dai regimi delle ideologie totalizzanti, la youth culture, i canti obbligati alla "giovinezza": si sente il bisogno di riscoprire il valore della persona nella sua spiritualità, nella sua capacità di amare e nella sua trascendenza verso il divino. Questo si sta facendo nella cultura filosofica più attenta. Lo sballo e il frastuono dei night e delle balere, le sfrenate corse del sabato sera, o la sommersione negli affari e nei traffici della droga non riescono a far obliare del tutto la "cosa seria" che è la sofferenza e il bisogno di Dio.
Mi viene in mente quanto afferma Paul Ricoeur sulla coesistenza dialettica nella persona tra la praxis e il pathos: nella fase ultima della vita, nella malattia e di fronte alla morte, il pathos prevale sulla praxis, ma non per questo la vita della persona perde di intensità e di ricchezza. Pareyson ha valorizzato il significato positivo della sofferenza, sia pure all'interno di una sua "cristologia laica", scoprendo nella sofferenza il valore di rivelazione e di redenzione. La migliore riflessione teologica apre sempre più lo sguardo sul mistero della sofferenza e della fragilità, della morte, verso la speranza, una speranza che porta sì alla consolazione, ma una consolazione conquistata attraverso la sofferenza e accompagnata da essa fino all'ultima soglia della vita terrena.
Due sono le forze che oggi rivalutano la vita "al tramonto": la speranza escatologica e la solidarietà della comunità. La speranza escatologica ci è stata riproposta recentemente nelle sue valenze esistenziali e nei suoi fondamenti biblici e teologici nella Enciclica Spe salvi di Benedetto XVI. La solidarietà è un valore vissuto anche nella coscienza laica e sempre più invocato nella cultura attuale. Accanto alla persona gravemente malata e accanto al morente, entrambi questi valori, l'uno venendo dal cielo e l'altro dal cuore dell'uomo possono essere presenti. La speranza escatologica ha il volto della persona del Cristo risorto. "Noi abbiamo bisogno delle speranze - più piccole o più grandi - che giorno per giorno ci mantengono in cammino. Ma senza la grande speranza, che deve superare tutto il resto esse non bastano. Questa grande speranza può essere solo Dio, che abbraccia l'universo e che può proporci e donarci ciò che, da soli, non possiamo raggiungere. Proprio l'essere gratificati di un dono fa parte della speranza: Dio è il fondamento della speranza, non un qualsiasi Dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati fino alla fine: ogni singolo e l'umanità nel suo insieme. Il suo regno non è un al di là immaginario, posto in un futuro che non arriva mai, il suo regno è presente là dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge" (Spe salvi, n. 31).
Il momento della vita fragile, il momento della sofferenza e il momento stesso della morte nell'incontro con Cristo risorto portano in sé la vittoria della vita, la pienezza e l'instaurazione della speranza. Ma questa speranza cristiana, che accompagna la ricerca del bene e del meglio nella vita terrena e che garantisce la pienezza della vita al momento della morte, non dispensa nessuno dall'impegno di solidarietà, di sostegno e di accompagnamento nei confronti di chi si avvicina alla soglia dell'eternità. Per il credente la solidarietà è carità: legata alla stessa speranza, la solidarietà alimenta una vita di donazione e di fede che afferma Cristo presente e solidale con il sofferente; da parte di ogni uomo si richiede solidarietà nel lenire la sofferenza, nel rispetto della vita e dignità del sofferente, nell'accompagnamento nei momenti cruciali del passaggio da questo mondo.

L'Enciclica Spe salvi ci ricorda che in fondo ad ogni uomo esiste un appello naturale verso l'eterno e il trascendente, una fede implicita che la cultura secolarizzata raramente riesce a spiegare lucidamente. La competenza professionale dei medici consiste nel decidere sulle terapie nel rispetto della dignità del paziente e del morente, nell'offerta delle terapie palliative e delle cure, nell'offrire al paziente l'informazione insieme all'ascolto e all'accompagnamento umano e religioso.

(©L'Osservatore Romano - 22 febbraio 2008)

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