21 febbraio 2008
Se l’antropologo inciampa sul Papa...(Lucetta Scaraffia per "Avvenire")
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Se l’antropologo inciampa sul Papa
Perchè ignorare il concetto e la forma di famiglia come si sono venuti configurando nella storia dell’Occidente?
DI LUCETTA SCARAFFIA
L’antropologo Francesco Remotti, in un volume che esce oggi in libreria per i tipi di Laterza dal titolo Contro natura, ha scritto uno studio che vuole essere una pacata ma circostanziata 'lettera al Papa' e si domanda quali siano «le idee che un Papa esprime in campo antropologico».
Ascoltando le sue parole, infatti, ha il sospetto che questo tipo di sapere - che lo studioso insegna e diffonde, e cioè l’antropologia culturale - rappresenti agli occhi di Benedetto XVI «una prospettiva che occorre combattere e possibilmente debellare». I nodi del contendere stanno nell’appoggio che il Papa dà alla famiglia occidentale, considerata come unica e naturale forma di famiglia da difendere e da sostenere; come anche nella accusa di relativismo rivolta a chi sostiene che ci sono tanti tipi di famiglie, e che quindi quella affermatasi nella storia dell’Europa costituisca solo una particolare forma storica che ha assunto la società occidentale.
Naturalmente, come antropologo Remotti elenca e illustra tanti tipi di famiglie diverse - che si possono ordinare in due assi di parentalità, quello coniugale e quello consanguineo (il nostro risulterebbe un misto dei due) e all’interno di questi tipi non rintraccia un nucleo primario costitutivo, come la coppia coniugale o il rapporto tra madre e figli. Gli antropologi, nelle loro ricerche sul campo, si sono imbattuti infatti in bambini allevati dalle nonne, bambini allevati dal fratello della madre che non sapranno mai chi è il loro padre, per non parlare dei matrimoni poligamici: è impossibile quindi, secondo l’antropologo, individuare un nucleo comune nei diversi tipi di famiglia, ma piuttosto si possono rinvenire delle somiglianze che fanno capire come si tratti di forme che hanno qualcosa in comune. Si tratterebbe perciò di una rete di rapporti che appartengono a un insieme comune, che si può allargare e trasformare. Nei capitoli del libro dedicati agli aspetti religiosi, invece, egli mette in dubbio che nella tradizione cristiana ci sia mai stata - a cominciare dai Vangeli - una vera attenzione verso la famiglia. Non solo Gesù invita spesso ad abbandonarla per seguirlo, ma la storia della Chiesa può essere letta come una sovrapposizione di una rete di legami spirituali una famiglia 'superiore', dunque - su quelli naturali. Non solo manca, secondo Remotti, nella tradizione cristiana un vero sostegno alla famiglia umana, ma addirittura essa sarebbe permeata di principi e modelli 'contronaturali', come ad esempio il celibato dei preti o la verginità della Madonna. Tutto questo - chiede l’antropologo - non è forse in contraddizione con il continuo ricorrere, nei discorsi del Papa, di appelli alla famiglia naturale?
Stupisce un po’ che Remotti sembri ignorare che il Papa, quando parla di antropologia, non intende certo l’antropologia culturale, ma il significato primo del termine, cioè il discorso sull’essere umano. L’argomentare sulla famiglia di Benedetto XVI si fonda non su studi etnologici, ma su una concezione particolare di essere umano, che è quella cristiana: il Papa sa benissimo che quella che difende è una famiglia particolare, quella emersa dal cristianesimo, che considera la migliore per l’essere umano.
Criticare il relativismo non significa infatti negare che siano esistite e persistano nel mondo e nella storia esistano tante forme di famiglia - e quindi negare una realtà incontestabile ma solo non attribuire a tutte le forme lo stesso valore.
Contrastare il relativismo equivale ad affermare che esiste una forma 'naturale' di famiglia, quella nata in Occidente e consolidatasi con il cristianesimo, famiglia che del resto ha dato ottima prova di sé per secoli garantendo una società coesa ma mobile, capace di educare i giovani e far loro esprimere il meglio di sé. È su questi piani infatti che si giudica il valore di una famiglia, che comunque, in tutte le culture, è una struttura sociale creata per garantire l’allevamento, la crescita e l’educazione dei figli.
La naturalità della famiglia occidentale consiste nel rappresentare in forma sociale i rapporti naturali che permettono la nascita di un essere umano, che nasce dall’incontro fra una donna e un uomo, anche se questo avviene in provetta. E senza dubbio la famiglia monogamica è quella che corrisponde a questa realtà, non culturale ma naturale.
E per quanto riguarda gli esempi di 'innaturalità' di cui è ricca la tradizione cristiana, risponde lo stesso Remotti, ricordando come essa sia aperta alla nozione di mistero, a cui queste realtà appartengono.
Viene da pensare, alla fine della lettura, al titolo di Shakespeare 'tanto rumore per nulla': tanto affannarsi a trovare prove 'scientifiche' per smentire il Papa, quando il discorso è un altro, perché l’antropologia a cui si riferisce non è la stessa. Il Papa, pur essendo stato un professore, in questo caso non parla certo con il linguaggio di Claude Lévi-Strauss.
© Copyright Avvenire, 21 febbraio 2008
intervista
Possenti: il 'mero fatto' può diventare fondamentalismo
Commenta il filosofo: «Molte espressioni dell’antropologia culturale si basano su un equivoco. E poi smettiamola col vezzo delle lettere aperte rivolte al Pontefice»
DI ANDREA GALLI
«Pluralismo e relativismo, di per sé non sono la stessa cosa.
Pluralismo diventa relativismo quando si ritiene che ogni elemento della pluralità valga come qualunque altro, quando ad esempio ogni modello di famiglia è considerato di pari valore». Vittorio Possenti, docente di filosofia politica all’Università di Venezia – dove dirige il Centro interdipartimentale di ricerca sui diritti umani – con più di 20 volumi alle spalle su politica, metafisica ed etica, fa questa premessa nel commentare a caldo la 'lettera aperta' di Francesco Remotti a Benedetto XVI. Dove i cosiddetti «antirelativisti » vengono più meno esplicitamente accusati di soffocare la libertà umana e la varietà del reale.
Il discorso di Remotti si presenta come 'provato' da una lunga serie di dati 'scientifici'.
«L’antropologia culturale è una disciplina basata su ricerche empiriche e comparative, che vanno però interpretate ed è qui che il concetto di natura umana e di sviluppo dell’uomo diventa indispensabile. Senza questo concetto si corre il rischio di un fondamentalismo del mero fatto. È possibile che questo equivoco sia presente come tentazione di numerosi espressioni dell’antropologia culturale. In merito è essenziale che si mediti sulla natura umana, sottolineando l’aggettivo: non si parla della natura come cosmo, ma della natura dell’essere umano. I concetti di 'secondo natura' e di 'contro natura' si rendono sempre in rapporto alla nozione di natura umana, e significano che esistono azioni e inclinazioni che vanno nel senso della custodia e della promozione del- l’umano e altre che vanno contro questo».
Ma chi critica un approccio relativistico, propone automaticamente un 'fissismo' etico?
«Secondo una lunga tradizione, la natura umana è fissata nelle sue inclinazioni essenziali – tra cui spiccano quella a vivere in società, a conoscere la verità, a persistere nell’esistenza, all’unione fra l’uomo e la donna per la generazione ed educazione della prole – ma è altresì aperta nel suo sviluppo. Viene con ciò delineato un ideale di perfezione umana, non solo a livello etico, che si distingue da preferenze, desideri, bisogni, e che apre il cammino a pratiche sociali multiple ma non di pari valore, in quanto alcune conducono verso l’eccellenza, altre no».
Ciò vale anche per la famiglia?
«Certo, non possiamo accontentarci di porre uno accanto all’altro i modelli di convivenza, o i differenti costumi, se non li rapportiamo ad un’intuizione sullo sviluppo dell’essere umano. Occorre anche un delicato sondaggio della coscienza morale umana e del suo evolversi , mantenersi e precisarsi nel tempo».
Un parere da saggista: cosa ne pensa di questo vezzo di indirizzare lettere aperte a chicchessia, in particolare al Papa?
«Nel caso del Pontefice l’espediente verosimilmente aiuterà la diffusione del volume, ma andrebbe verificata meglio la conoscenza della tradizione teologica e filosofica sulla natura umana, il diritto naturale e il relativismo etico, che si esprime nelle posizioni di Joseph Ratzinger. Non basta incrociare più o meno frettolosamente alcune sue frasi con alcuni risultati dell’antropologia culturale per sentirsi arrivati in porto».
© Copyright Avvenire, 21 febbraio 2008
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