4 aprile 2008
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Esce in Italia "Juno" il discusso film su un'adolescente che decide di portare a termine una gravidanza non voluta scegliendo anche i genitori adottivi
Ha già le unghie? Lo tengo
di Giulia Galeotti
Ancora prima dell'uscita nei cinema italiani, la storia di Juno ci è già nota: una sedicenne rimasta incinta di un coetaneo decide di portare a termine la gravidanza e di dare il bambino in adozione, scegliendo i futuri genitori. Ma se conoscere la trama è un conto, vedere il film è tutt'altra cosa: durante l'ora e mezzo di proiezione, infatti, con grande maestria, la sceneggiatrice Diablo Cody (Oscar 2008) riesce davvero a far riflettere lo spettatore su tanti aspetti della vita.
Juno - scandito da allegre cartoline che ci informano delle stagioni che attraversano la gravidanza e l'anno scolastico della protagonista - è il film che inizia come Il favoloso mondo di Amelie e finisce come la vita. In mezzo, i nove mesi di questa adolescente colorata e sfrontata che tenta di vivere a suo modo, grazie anche (e, a volte, malgrado) all'umanità variopinta che la circonda, all'evento misterioso che si verifica in lei.
Nella prima itinerante scena - che è a metà tra un cartone animato e una commedia dell'assurdo - i colori, i dialoghi e perfino le inquadrature sono tra il fantastico e l'onirico. Juno tiene testa al massiccio commesso che le vende i test di gravidanza (ripetuti tre volte, non sia mai) e scopre di essere incinta. Il risultato non è affatto piacevole, la passeggiata autunnale continua e l'albero del giardino di casa sembra perfetto per provare la corda che potrebbe risolvere il guaio. Ma la suddetta è di liquirizia, e la ragazzina finirà - ovvio quasi, considerando la succulenta materia prima - per addentarla.
È invece estremamente reale una delle ultime scene della pellicola, quella che vede riposare abbracciati in un letto di ospedale - che sembra troppo stretto perfino per loro - due adolescenti stremati dalle emozioni e (soprattutto) dallo sforzo di tentare di dare un senso a ciò che è successo. Qualcosa che è decisamente più grande delle loro "imberbi" spalle.
Ecco, tutti i novantuno minuti del film - trionfatore, come noto, alla Festa del Cinema di Roma 2007 - sono in altalena tra due estremi. È chiaramente una commedia Juno, ma - altrettanto chiaramente - non lo è. Il linguaggio, diretto e onesto, è sprezzante e un po' cinico, ma insieme brillante e profondo. Le questioni sono complesse, eppure gli eventi sembrano quasi facili: sorprendentemente, però, l'equilibrio tra questi due estremi riesce. Sorprendentemente perché le questioni chiamate in causa sono davvero tante, e raramente tante idee condensate in una sola vicenda riescono a essere di proficua assimilazione per chi assiste.
Juno, tenace e incosciente, è soprattutto una sedicenne che tenta di non subire ciò che le accade. Il fatto di aver preso il nome da quella donna umiliata e instancabilmente tradita che è la moglie di Zeus, non può certo condizionarla. Dalla lingua pronta e affilata, sicura di sé in modo sano come solo le adolescenti molto amate nell'infanzia sanno essere - nonostante la madre biologica relegata in un pungente angolo di piante grasse che la donna, lontana e spiantata, spedisce alla figlia per ogni compleanno - Juno riesce a tenere il controllo della situazione, molto più del suo coetaneo, pallido e goffo nella divisa d'atleta oro-granata. Con il suo viso tra l'ingenuo e il deciso, l'attrice Ellen Page interpreta benissimo uno scricciolo panciuto in bilico tra gli sguardi innocenti e inquieti dell'adolescenza, e le responsabilità dell'essere adulti.
Il mondo di "quelli" è incarnato innanzitutto da due coppie di grandi: i suoi genitori (molto belli i personaggi del padre e della matrigna) e i futuri genitori del bimbo che Juno aspetta. Attraverso la lente di questa sedicenne "in espansione", inizialmente i primi (padre e matrigna) paiono distanti, maniacali e, tutto sommato, incapaci di comprendere; i secondi, invece - i genitori adottivi che, sogno di ogni adolescente, vengono scelti e non subiti - risultano bellissimi, perfetti e sorridenti. Finirà però che la ragazzina fuggirà sconvolta dalla dimora immacolata dei ricchi per tornarsene rasserenata nella sua confusa e caotica casa (il resto non lo diciamo...).
È un film sicuramente divertente e ben fatto Juno. Ma è decisamente un bel film per il modo in cui solleva tantissimi temi attuali - le famiglie allargate, i ragazzini che crescono troppo in fretta, i padri in fuga, la scelta degli adottandi, l'interazione tra ricchi e meno ricchi (v'è persino l'analisi "sociologica" della figura femminile: la tripartizione anagrafico-esistenziale tra la matrigna Allison, la madre adottiva Vanessa e Juno scandisce un'interessante genealogia).
E poi v'è anche il grande tema, l'aborto. O forse, proprio quello che è il grande item di tutta la pellicola (tenerlo o non tenerlo), in realtà quasi non c'è. E qui, proprio qui, il film è davvero interessante.
Liberarsi dell'intruso è la prima idea di Juno, ma poi l'ufficio-ambulatorio in cui si reca per abortire è troppo brutto e squallido; le donne che vi si incontrano troppo stressate, nervose e tristi. La notizia che il cosino nella sua pancia ha già le unghie è una sorta di rivelazione: è qui, e non controllando il risultato del kit di gravidanza, che Juno decide da sola che il fagiolino nascerà.
Così, con quell'atteggiamento di serenità relativa (o di relativa inquietudine) tipicamente adolescenziale per cui si minimizza il grande e si esaspera il marginale, la ricerca per Juno di un centro che pratichi l'interruzione di gravidanza si trasforma nella ricerca dei genitori ideali a cui scodellare il fagotto. Sedute al parco, lei e l'amica del cuore selezionano, scartano e scelgono, ma il giornale-catalogo restituisce un mondo patinato che, per quanto splendente, anche in questo caso non sarà la realtà. Accorgersi di quest'ennesima delusione richiederà a Juno un'ulteriore prova di maturità. È anche interessante il rapporto tra lei e Vanessa Loring, la futura madre adottiva, che inizialmente si presenta malino: Vanessa appare esaltata e isterica, l'instabile upper class, la post-femminista che accumula straordinari e shopping bag per il bimbo in arrivo che desidera più di ogni altra cosa, esattamente come potrebbe anelare all'ultimo modello dell'ultima borsa super trendy. Compra-compra, vorrebbe comprare anche un figlio (Juno e papà trasecolano). Lentamente, però, Vanessa riesce a essere la madre che vorrebbe diventare - e che Juno desidera per il bimbo. Anche questa volta, però, il passaggio nel film è dato da un semplice fatto: "la Vanessa" sempre perfetta, compita e impeccabilmente vestita, viene sorpresa (non vista) da Juno in un centro commerciale mentre gioca rilassata e divertita con la figlia di un'amica. Ed è solo ora, solo dopo che la stessa Juno l'ha riconosciuta come madre, che il feto - prima ostinatamente immobile sotto la mano di Vanessa - si fa finalmente sentire anche da lei. Un processo esattamente contrario lo compie Mark Loring, il mancato padre adottivo: se dapprincipio piace moltissimo a Juno, lentamente si rivelerà invece pavido e immaturo, decisamente il personaggio più negativo della compagnia.
V'è coraggio e speranza, dunque, in questo film - non v'è, invece, un radioso happy end. Ma non sono le leggi di Amelie, è la vita con le sue ambivalenze.
(©L'Osservatore Romano - 4 aprile 2008)
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