26 agosto 2008
India, orrore nell’assalto anti-cristiano (Avvenire)
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India, orrore nell’assalto anti-cristiano
La giovane è stata avvolta della fiamme mentre eroicamente cercava di mettere in salvo trenta bambini, ora rifugiatisi nella foresta. Solo pochi poliziotti disarmati a contenere i raid di massa
DI GIORGIO BERNARDELLI
Una missionaria laica di 22 anni, Rajnie Majihie, arsa viva e un prete gravemente ferito nell’incendio dell’orfanotrofio di cui erano responsabili nel distretto di Bargarh. Un secondo fedele, Rasanada Pradhan, morto bruciato nel villaggio di Rupa, distretto di Kandhamal. E poi notizie di chiese e scuole cattoliche e di altre confessioni cristiane devastate da una parte all’altra dell’Orissa. Due sacerdoti e una suora colpiti e altri di cui non si hanno notizie. Persino le Missionarie della Carità, le suore di Madre Teresa, sono state assaltate. È il tragico bilancio della nuova ondata di violenza che sta scuotendo lo Stato orientale dell’India. Lo stesso già al centro, a Natale, delle violenze anti-cristiane che provocarono sette vittime, con migliaia di persone costrette a scappare nella foresta.
Ieri è successo ancora, come troppi elementi purtroppo lasciavano prevedere. Nei giorni scorsi la protesta pubblica dei cristiani indiani del vicino Andhra Pradesh, dopo l’uccisione del carmelitano padre Alex Thannippara, avvenuta il 16 agosto scorso. Bargarh, il luogo dell’incendio dell’orfanotrofio, si trova nell’estremo Ovest della regione. «La missionaria è morta perché è rimasta indietro per far uscire tutti i bambini, anche padre Eduard Saquera, responsabile del centro, è rimasto gravemente ferito » ha raccontato padre Alfonso Towpo all’agenzia missionaria Misna, secondo cui il sacerdote, ora ricoverato in ospedale, è stato selvaggiamente picchiato. Ora c’è timore per la trentina di bambini dai 5 ai 14 anni fuggiti dalla struttura, realizzata da meno di un decennio. I piccoli ospiti, scampati all’assalto, si sono rifugiati nella foresta. Nottetempo gruppi di volontari sono andati alla loro ricerca. Voci di assalti sono giunte anche dalla capitale dell’Orissa Bhubaneswar, che si trova a 400 chilometri di distanza Bargarh. Da Bhubaneswar era arrivata in un primo tempo anche la notizia dello stupro di una suora, che è stata però poi smentita dall’arcivescovo Raphael Cheenath. Il presule ha comunque denunciato la mancata protezione da parte delle forze di sicurezza: «Qui all’arcivescovado – ha dichiarato ad Asianews – hanno mandato tre poliziotti. Non hanno neanche un bastone: come potranno proteggerci dalla folla » .
A scatenare la furia dei fondamentalisti è stato un omicidio eccellente: a cadere vittima di una banda armata, insieme con quattro suoi compagni, è stato, sabato sera, lo Swami Laxmanananda Saraswati, guida spirituale locale del Vishwa Hindu Parishad ( VHP), il movimento dei nazionalisti indù. Un commando di una trentina di persone, ben armato, ha fatto irruzione nel suo ashram e lo ha freddato. L’a- zione è stata rivendicata dai guerriglieri maoisti del People’s Liberation Revolutionary Group: abbiamo ucciso lo Swami – hanno detto – perché « mischiava la religione alla politica » . Ma i seguaci di Saraswati hanno subito puntato il dito contro i cristiani. E, in concomitanza con il funeralee, sono partiti i raid. Un’accusa non casuale: da tempo, infatti, l’esponente indù conduceva una durissima campagna contro le 'conversioni' operate dai cristiani. Andava in giro per i villaggi accusando i missionari di mangiare le ' vacche sacre' e di ' comprare' battesimi tra i tribali, le popolazioni più povere in questa regione dell’Orissa. Lo Swami organizzava cerimonie pubbliche in cui sanciva la ' riconversione' all’induismo dei tribali. Un’azione sbandierata. Anche se in realtà a dare fastidio, probabilmente, sono le opere sociali promosse qui dalla Chiesa: scuole, orfanotrofi, centri di avviamento al lavoro. Strutture al servizio di tutti, non solo dei cristiani. E destinate a offrire un’opportunità anche a chi il sistema delle caste – tuttora ferreo – mantiene ai margini.
Di fronte a questa ondata di violenza anche la politica italiana ha espresso la sua condanna. Il ministro degli Esteri Frattini ha parlato di « atti gravissimi e ingiustificabili », i cui colpevoli devono essere puniti. « Un atto criminale e incivile » , ha detto il presidente del Senato, Schifani, esprimendo preoccupazione per la protezione di missionari. « Ogni deriva fondamentalista, da qualunque parte venga, va respinta con fermezza», ha aggiunto il segretario del Pd, Veltroni.
© Copyright Avvenire, 26 agosto 2008
L’ARCIVESCOVO
«Nazionalismo feroce. Niente vendette»
Il nazionalismo indù, che sta fomentando attacchi contro i cristiani, è un vero «cancro» che mette in crisi la convivenza fra comunità, alla base della società indiana. E le radici di questo nazionalismo – soprattutto attraverso la Rss (Rashtriya Swayamsevak Sangh, Organizzazione dei volontari nazionalisti) – si possono trovare nel nazismo hitleriano. Mentre i suoi sacerdoti sono in fuga per salvarsi dai fanatici che stanno dando la caccia ai cristiani, l’analisi di arcivescovo di Cuttack-Bubaneshwar è chiara e precisa. Così come la sua convinzione: «La Croce ha ormai radici molto profonde in Orissa. La Chiesa sarà luce per molte generazioni a venire». Monsignor Raphael Cheenath, verbita, all’agenzia «AsiaNews», ha detto che «i cristiani rifiutano la violenza e condannano ogni atto di terrorismo.
E siamo anche contrari a coloro che vogliono farsi giustizia da sé. Appena saputo dell’assassinio di Swami Laxamananda Saraswati, ho diffuso una dichiarazione contro il vile attacco. Ho chiesto a tutti di rimanere pacifici e in armonia. Noi vogliamo relazioni di amicizia con ogni comunità».
© Copyright Avvenire, 26 agosto 2008
la testimonianza
L’intolleranza fomentata con falsi sulle conversioni
L’arcivescovado di Bhubaneswar sta di fronte al Big Bazar, il moderno centro commerciale in stile americano. Proprio davanti a questo potente simbolo della 'nuova India', ieri, la folla aizzata dai fondamentalisti indù ha lanciato pietre contro la residenza di monsignor Raphael Chennath.
L’Orissa è uno degli Stati più poveri; eppure anche qui si cominciano a vedere i segni del dinamismo del Paese. In quell’arcivescovado dai muri azzurri e con la statua del Sacro Cuore nel giardino sono entrato nello scorso mese di febbraio. Erano passati due mesi dalle prime violenze di Kandhamal e quel giorno l’arcivescovo Chennath mi aveva raccontato la tragedia sua e della sua Chiesa: i 42 giorni in cui gli era stato negato persino il permesso di recarsi a visitare le comunità che avevano perso tutto; gli ostacoli posti agli aiuti dall’estero per la ricostruzione, giudicati una forma di 'proselitismo'; l’amarezza per le sue denunce inascoltate. L’arcivescovo Chennath sapeva che quelle di Natale non sarebbero state le ultime violenze contro i cristiani. E non lo nascondeva. Del resto proprio l’Orissa – il 22 gennaio 1999 –era stato il teatro del più orrendo massacro di cristiani della storia recente dell’India: l’uccisione del missionario evangelico australiano Graham Staines, anche lui arso vivo – a bordo del suo furgone – insieme ai due figli di sette e nove anni. Nemmeno quella tragedia era servito a mettere in guardia dalla follia dei fondamentalisti.
In quei giorni di febbraio, a Bhubaneswar, capitava di leggere sul giornale locale questa frase, pronunciata in un giorno 'normale' da uno dei leader dei fondamentalisti indù: «Sono diverse le minacce che incombono sulla nazione: la violenza dei maoisti, la jihad islamica, le conversioni dei missionari cristiani. Dobbiamo unirci per reagire. Non aspettate che altri lo facciano per voi». Questo è l’ambiente in cui oggi vivono (e muoiono) i cristiani dell’Orissa. ( G.Ber.)
© Copyright Avvenire, 26 agosto 2008
John Dayal, presidente dell’All India Catholic Union: ora intervenga l’esercito
«Inchieste farsa. Chiedete protezione per noi»
Giorgio Bernardelli
«Ho appena scritto alla presidente dell’India, Pratibha Patil. Ho chiesto che il governo federale invii subito in Orissa l’esercito per ripristinare l’ordine e la sicurezza. Ogni ritardo potrebbe avere conseguenze catastrofiche. Non solo per la sorte dei cristiani di quella regione, ma anche per la possibilità di chiamare ancora l’India uno Stato laico».
Parla da New Delhi John Dayal, presidente dell’All India Catholic Union, la più importante or- ganizzazione laicale del Paese. E lo fa con la cognizione di causa di chi in Orissa in questi ultimi mesi ci è stato molte volte. Denunciando la farsa di un’inchiesta in cui si chiedeva ai sacerdoti e alle suore quanti tribali avevano convertito, piuttosto che indagare sui responsabili delle violenze.
John Dayal, la scintilla delle violenze di queste ore è stato l’omicidio dello swami Saraswati, da lei accusato di essere l’organizzatore delle violenze di Natale. Chi è stato a ucciderlo?
Nel corso degli anni lo swami si era fatto molti nemici anche tra gli indù. Quando sono stato l’ultima volta nel distretto di Kandhamal, il mese scorso, mi è stato detto che alcuni uomini del suo gruppo avevano molestato alcune studentesse. Anche di fronte alla commissione giudiziaria che sta indagando sulle violenze del Natale scorso, vi sono stati indù che hanno testimoniato contro di lui. In Orissa, il Vishwa Hindu Parishad che lui guidava ha i suoi seguaci nella piccola frangia dei fondamentalisti. È triste che sia stato ucciso: ora i fondamentalisti potranno farne un eroe. Ma il guaio è che pochi conoscono il suo passato torbido.
Ma perché tutto questo odio contro i cristiani in Orissa?
In molte zone di questo Stato, i cristiani non sono nemmeno presenti. Solo nei distretti di Kandhamal e di Sundergarh raggiungono circa il 15% contro la media dell’Orissa, che è appena del 2%. Questo indiano Stato conta anche pochi musulmani (anche se sono un po’ di più dei cristiani). Nonostante questi numeri, l’Orissa ha una lunga storia di violenze contro i due gruppi minoritari. Gli indù non vogliono che nessuno entri nei loro territori. Hanno paura che molti 'fuori casta' e molti tribali (i più emarginati nella struttura sociale indiana) abbraccino il cristianesimo. Per questo l’Orissa è uno degli Stati indiani che hanno adottato le leggi contro le conversioni, che sostengono essere indotte con l’inganno o con il denaro.
In India tra qualche mese si vota per le elezioni generali. C’è un tragico legame anche con queste violenze?
È un dato di fatto che queste violenze mirino a compattare gli indù. E a trarne vantaggio non possono che essere i movimenti legati ai fondamentalisti, che hanno il loro riferimento politico del Bharatiya Janata Party, il principale partito dell’opposizione.
Che cosa può fare il mondo per aiutare i cristiani dell’Orissa?
La comunità internazionale deve chiedere con forza all’India di onorare gli obblighi scritti nella sua Costituzione riguardo al rispetto della libertà religiosa e la protezione delle minoranze. Dovete esigere che ci proteggano.
© Copyright Avvenire, 26 agosto 2008
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