2 agosto 2008
Eluana, le ragioni di un ricorso: la parola al giurista Massimo Vari e al neurologo Giuliano Dolce (Avvenire)
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Eluana, le ragioni di un ricorso
Due esperti analizzano le argomentazioni di carattere giuridico e medico che hanno indotto i magistrati della Procura di Milano a chiedere alla Corte di Cassazione un pronunciamento sul caso Englaro. E che ridanno vigore alle speranze di far restare in vita la donna
il giurista
Massimo Vari
«In quelle pagine si riaffermano i valori della Costituzione»
DI VIVIANA DALOISO
Un ricorso che, nello spazio breve e lucido di poche pagine, ripristina il valore che è alla base dell’intero impianto costituzionale: quello della vita e della sua indisponibilità. Massimo Vari, vicepresidente emerito della Corte Costituzionale, legge nel documento redatto dalla Procura generale di Milano e depositato nel pomeriggio di giovedì in Cassazione un atto dovuto di civiltà giuridica, oltre che un punto di svolta fondamentale nel dibattito sul fine vita in corso nel nostro Paese.
Come ha accolto la notizia del ricorso presentato dalla Procura di Milano in Cassazione sul caso di Eluana?
L’ho accolta con soddisfazione e speranza.
Per quali motivi?
Come uomo di legge posso affermare che il contenuto del ricorso indica chiaramente quali sono i punti fondamentali da mettere a fuoco nella vicenda Englaro. Lo scorso 16 ottobre la Corte di Cassazione aveva rimesso la causa alla Corte d’Appello di Milano perché arrivasse a una decisione sull’autorizzazione o meno a sospendere l’alimentazione e l’idratazione della ragazza sulla base di un accertamento in particolare: che la condizione di stato vegetativo fosse irreversibile in base a un rigoroso apprezzamento clinico e che non vi fosse alcun fondamento medico secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale che potesse far supporre la benché minima possibilità di un qualche – sia pur flebile – recupero della coscienza e di ritorno a una percezione del mondo esterno. Ove tale presupposto non sussistesse, il giudice doveva negare l’autorizzazione.
Che cosa è successo?
Semplicemente, che con 63 pagine di motivazione – una mole che già di per sé esprime la fragilità dell’argomentazione – i giudici della Corte d’Appello di Milano hanno deciso in maniera univoca su un nodo che in campo medico-scientifico è tuttora oggetto di dibattito: dove, in presenza di uno stato vegetativo, non esista nessuna possibilità di ripresa e quindi si possa porre la parola fine a una vita. Una scoperta che, fosse stata premio Nobel!
E invece...
E invece ha portato decisioni che entrano due volte, per così dire, in conflitto con altre competenze: con l’attività del Parlamento – come è stato stabilito proprio in queste ore dalla Camera e dal Senato – e con i compiti propri della scienza e della ricerca medica. Oggi, infatti, di fronte ai progressi della scienza è difficilissimo dire quali siano i confini tra la vita e la morte e non tutti gli scienziati sono d’accordo sul fatto che un stato vegetativo permanente non possa avere una regressione. Proprio per questo motivo se c’è un dubbio, in campo scientifico, vige il principio di precauzione.
C’è, poi, la questione delle volontà, o meglio – come le definisce il ricorso – delle 'presunte volontà' di Eluana...
Su questo punto il ricorso è più che mai fondato, a mio avviso per due ragioni. Primo: non si vede come il principio di autodeterminazione invocato dalla stessa Cassazione nella sentenza di ottobre possa, a un certo punto, essere delegato a terzi. Secondo: la legge garantisce sul piano civile la possibilità di rivedere e cambiare – per esempio in materia testamentaria – le volontà espresse in precedenza.
Se Eluana lo avesse fatto sulla propria vita?
Tecnicamente, è possibile dire quali saranno gli effetti di questo ricorso e della richiesta di sospendere l’esecutività del decreto della Corte d’Appello di Milano?
Questa iniziativa cambia senz’altro il quadro della vicenda dal punto di vista dei tempi e dei modi di attuazione. Spero che il ricorso, nella sua innegabile fondatezza, induca la Cassazione a riesaminare con cura tutti gli aspetti della vicenda. Ma il significato del ricorso della Procura generale di Milano è ben più ampio.
In che senso?
Si tratta di un atto che dovrebbe indurre tutte le persone che credono nei valori, in primis quello della vita, a valutare il rischio dell’effetto dirompente insito in una vicenda di questo tipo. In tal senso possiamo cogliere nel ricorso anche un appello alla prudenza: se si compisse un atto così irreparabile quale quello di porre fine a un’esistenza, domani tutti ce ne pentiremmo. Vorrei aggiungere ancora che si tratta di un intervento che riafferma valori fondanti della Costituzione.
A quale valori si riferisce?
A quelli dell’indisponibilità e inalienabilità della vita. Tutti noi, giudici compresi, non dovremmo mai dimenticare che la Costituzione mette al centro la vita umana e la tutela della persona dalla nascita alla morte, come si ricava da vari articoli, tra i quali principalmente il 2 e il 3.
© Copyright Avvenire, 2 agosto 2008
CHI È
Massimo Vari è vicepresidente emerito della Corte costituzionale, della quale ha fatto parte fino al luglio del 2002. È stato anche Presidente di sezione della Corte dei conti italiana, della quale è Presidente onorario. Ha svolto attività di insegnamento presso la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, l’Università degli Studi di Roma ' Tor Vergata' , la Libera Università Internazionale degli Studi Sociali ( Luiss), ove ha tenuto corsi sulla Corte dei conti europea e sulle finanze comunitarie.
Insegna attualmente Giustizia costituzionale presso l’Università Maria SS. Assunta ( Lumsa) di Roma. Relatore in numerosi convegni internazionali ( negli Stati Uniti, in Cile, in Brasile, in Colombia, in Uruguay, in Spagna, in Egitto), è autore di saggi sui diritti umani; sull’ordinamento delle autonomie locali, sulla disciplina dei controlli sulla pubblica amministrazione, con particolare riguardo alle funzioni della Corte dei conti.
© Copyright Avvenire, 2 agosto 2008
il neurologo
Giuliano Dolce
«La scienza non può escludere che vi siano miglioramenti»
DI PAOLO LAMBRUSCHI
Lo stato vegetativo non può mai essere definito «permanente » perché la scienza non può escludere miglioramenti nel paziente. Quindi non è irreversibile. Questa «forte raccomandazione » alla classe medica di tutto il pianeta risale al 1996 e arrivò in conclusione di un importante simposio medico, la Conferenza di Londra sugli stati vegetativi. Era evidentemente stata dimenticata, almeno in Italia, nel caso Englaro. L’ha ripescata Giuliano Dolce, il neurologo che, dopo una lunga e brillante carriera in Germania e nel nostro Paese, oggi è direttore scientifico della casa di cura Sant’Anna di Crotone, punta avanzata nella ricerca e cura nel Mezzogiorno. Per Dolce il ricorso della Procura generale contro la sentenza della Corte d’Appello del 9 luglio scorso, contestando l’irreversibilità dello stato vegetativo, è giustificato da un principio accettato dalla comunità scientifica. «Prima del 1996 – afferma Dolce – la neurologia distingueva tra stato vegetativo persistente, quando esso perdura per più di un mese dall’evento, e stato vegetativo permanente quando le condizioni cliniche rimangono invariate per più di 3 mesi per i casi di origine non traumatica e per più di 12 mesi per quelli di origine traumatica. La novità scientifica, ignorata in Italia, è che tala distinzione viene abolita dalla conferenza di Londra. Clinicamente e umanamente la definizione di 'permanente' è oggi superata».
E quindi, tornando a Eluana?
«Quindi ha ragione la Procura di Milano a presentare ricorso. Non metto in dubbio la buona fede dei giudici della Corte d’Appello, ma hanno utilizzato, nella sentenza che autorizza a sospendere l’alimentazione, concetti antecedenti alla conferenza londinese. Nessuno nel 2008 può dire con certezza se uno stato vegetativo è irreversibile e permanente.».
Nemmeno nel caso della giovane lecchese?
«Senta, ho visitato Eluana Englaro sette mesi fa e come medico non posso affermare che migliorerà, allo stato attuale delle conoscenze mediche. Tuttavia, con altrettanta onestà, non posso neppure escludere suoi passaggi allo stato superiore di minima coscienza, perché le recenti scoperte scientifiche lasciano intravvedere nuovi orizzonti. Per esperienza so che oltre il 50% degli stati vegetativi dopo alcuni anni passa alla coscienza minima. Di certo nessuno si sognerebbe di uccidere una persona con coscienza ridotta la quale risponde a determinate sollecitazioni. Quanti anni passano in genere perché un recupero anche modesto avvenga? Non lo possiamo sapere. Questo è lo spirito di Londra e vale anche per Eluana».
Quali sono i progressi della ricerca in questo campo?
«Banalizzo. La corteccia cerebrale ha molti neuroni, ciascuno dei quali termina con un filo che lo collega a un altro neurone. Questi fili si chiamano neuriti, mettono in comunicazione le cellule cerebrali e formano la 'sostanza bianca' sotto la corteccia. Lo stato vegetativo è dovuto alla mancanza di comunicazione tra i due emisferi cerebrali con il tronco a causa dei danni alla 'sostanza bianca'. Oggi le nostre conoscenze su questa materia stanno migliorando. Sappiamo che si deve intervenire proprio lì. Quindi è prevedibile che in un tempo non lontano vi siano farmaci che consentano un recupero di molte funzioni. Abbiamo insomma prospettive per le gravi cerebropatie. Medicine che migliorano le condizioni che determinano lo stato vegetativo».
Se la donna non recuperasse anche minimamente, sarebbe lecito sospenderle l’alimentazione?
«Assolutamente no. Tutti i punti di vista su Eluana sono rispettabili, però la questione dell’alimentazione e dell’idratazione è fuori discussione: è un atto dovuto perché questa è una persona disabile allo stato estremo e nessuno può permettersi di abbandonarla. Perché sa che morirà e quindi commette un omicidio. Questo è il punto».
Ma c’è vita nello stato vegetativo?
«Si, Eluana e i pazienti come lei non sono vegetali. Ci sono almeno 15 lavori scientifici pubblicati da riviste importanti negli ultimi 10 anni a dimostrare come in queste condizioni siano misurabili fisicamente addirittura le emozioni».
Come è stato provato?
«Con la risonanza magnetica e con ricerche neurofisiologiche è stato dimostrato che il cervello di questi pazienti non solo vive, ma lavora in modo abbastanza complesso. Riconoscono ad esempio i segnali e il tempo che passa tra un segnale e l’altro. Abbiamo registrato cambi di ritmo cardiaco provocate dall’ascolto della musica o dalla voce di una persona conosciuta. Quindi emozioni. Sono persone isolate dal mondo esterno, vivono in un loro mondo interno».
A molti non basta per definirla vita dignitosa...
«Si può pensarla in tanti modi, ma non è certo compito del medico stabilire la qualità di una vita o se vale la pena viverla».
© Copyright Avvenire, 2 agosto 2008
CHI È
Nato a Pola nel 1928 il neurologo Giuliano Dolce, è attualmente direttore scientifico della clinica Sant’Anna di Crotone. Scienziato e docente di fama internazionale, ha diretto reparti ospedalieri in Germania e in Italia nel corso della sua lunga carriera. Autore di numerosi saggi e articoli sulla vita e sul cervello in stato di incoscienza e sulla riabilitazione, tradotti in diverse lingue, è considerato uno dei luminari italiani nella cura degli stati vegetativi. Il Sant’Anna è oggi un polo di riferimento per il Sud per la speciale unità per l’accoglienza prolungata (Suap) dei pazienti in stato vegetativo. Si tratta di un centro d’eccellenza scientifica e medica ideato da Giuliano Dolce sul modello delle strutture francesi. Lì Dolce ha condotto sperimentazioni per dimostrare che queste persone provano emozioni sottoponendoli all’ascolto di brani musicali di Boccherini, Grieg, Tchaikovsky e Moussorgsky o all’ascolto della voce materna e misurandone le reazioni con tecniche sofisticate.
Nel novembre 2006 sono stati pubblicati i risultati di una ricerca che il Sant’Anna ha realizzato in collaborazione con l’Università della Calabria, che dimostra come le persone in stato vegetativo provano emozioni in seguito a sollecitazioni esterne.
© Copyright Avvenire, 2 agosto 2008
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1 commento:
Buon giorno a voi tutti, innanzitutto complimenti a Raffaella per l'eccezionale "copertura" della vacanza di Papa Benedetto. Ciò posto, leggo stamani su Repubblica che Pannella si permette, senza alcun ritegno, per i propri fini, di strumentalizzare l'agonia di Papa Giovanni Paolo II a proposito del caso di Eluana. La tentazione di non raccogliere questa provocazione è forte, ma mi pare che si sia passati il limite, spero in una ferma reazione del Vaticano, ed anche della CEI. Non manca, sul giornale, la connessa "predica" scalfariana.
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