6 agosto 2008

Paolo VI, oblio non meritato (Sandri)


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Paolo VI, oblio non meritato

LUIGI SANDRI

Il 6 agosto del 1978 moriva Paolo VI: a trent'anni di distanza che cosa rimane del suo pontificato e della sua eredità? Come prima approssimazione sembra di dover dire che Giovanni Battista Montini in questi decenni è stato, anche nel mondo ecclesiastico, abbastanza dimenticato; un oblio non meritato. Non è naturalmente possibile riassumere in poche righe un «regno» durato quindici anni e attraversato da molti complessi eventi. L'asse fondamentale del suo pontificato fu la celebrazione del Vaticano II e, poi, (come ha ricordato domenica Benedetto XVI a Bressanone) l'avvio dell'attuazione del Concilio voluto da Giovanni XXIII. Quando - giugno '63 - questi morì, alcuni cardinali avrebbero voluto il rinvio «sine die» della grande Assemblea che, presenti 2.500 vescovi, aveva iniziato a ipotizzare riforme che molta parte della Curia romana, e non solo essa, vedeva con apprensione perché metteva in questione lo «status quo».
La scelta del successore di Angelo Giuseppe Roncalli fu dunque legata a questo interrogativo: proseguire, oppure no, il Concilio? L'arcivescovo di Milano, che aveva alle spalle lunghi anni di lavoro ai massimi vertici della Segreteria di Stato vaticana, apparve alla maggioranza del conclave l'uomo giusto per guidare a buon fine la gigantesca impresa avviata da papa Giovanni. Durante i lavori conciliari Paolo VI si sforzò di favorire una sintesi felice tra le aperture della maggioranza dei vescovi e le resistenze di un agguerrito gruppo di conservatori i quali si opponevano ai documenti che, su punti qualificanti - riforma liturgica, principio della libertà religiosa, collegialità episcopale, nuovo rapporto con l'Ebraismo, ecumenismo - mutavano di fatto la dottrina o la prassi vigenti fino ad allora nella Chiesa cattolica romana. Nel post-Concilio Montini mantenne lo stesso atteggiamento: e questo gli attirò, spesso, critiche sia da parte dei «progressisti» che da parte dei «conservatori». Il francese monsignor Marcel Lefebvre, accusando il Vaticano II di aver tradito la «Chiesa di sempre», e Paolo VI di interpretare il Concilio in modo troppo «aperto», fondò un movimento per conservare intatta - diceva - la Tradizione; di conseguenza il vescovo ribelle iniziò a ordinare preti allo scopo preciso di boicottare le riforme conciliari. Il dissidio tra Lefebvre e il papa diventò infuocato; e, infine, Paolo VI nel '76 sospese a divinis (proibizione di celebrare i sacramenti) il prelato disubbidiente. Ma un altro tema pesò, come una spada di Damocle, sul pontificato montiniano: la questione dei mezzi eticamente leciti per regolare le nascite. Il Concilio aveva iniziato a discutere del problema: diversi vescovi erano intervenuti per sostenere che fosse lasciata, in merito, libertà di coscienza ai coniugi; in pratica ciò significava superare radicalmente il magistero di Pio XI, il quale aveva proclamato che ogni singolo atto matrimoniale doveva, di per sé, rimanere aperto alla trasmissione della vita. Negli anni Trenta il «no» di papa Ratti era soprattutto contro l'onanismo, perché allora non era ancora stata inventata la pillola anticoncezionale che cominciò a diffondersi negli anni Sessanta. Paolo VI impedì che il Concilio discutesse in concreto sui mezzi leciti per regolare le nascite e affidò lo studio del problema a una commissione consultiva di 75 membri. La commissione concluse i suoi lavori con due rapporti: uno, approvato dalla stragrande maggioranza dei membri proponeva di lasciare libertà di coscienza ai coniugi; l'altro, sottoscritto da pochissimi membri, sosteneva invece la validità permanente della dottrina di Pio XI. Papa Montini fece suo il parere della minoranza della commissione e nel luglio '68 emanò l'enciclica «Humanae vitae» che definiva «immorale» la contraccezione. La decisione - un atto di assolutismo papale impensabile, secondo molti, all'indomani del Concilio - provocò una levata di scudi senza precedenti nella Chiesa romana: anche diverse conferenze episcopali, pur non attaccando frontalmente l'enciclica, in pratica ne depotenziarono l'autorità. Il dissenso pubblico o sotterraneo contro la «Humanae vitae» fu tale che, nei successivi dieci anni di pontificato, Paolo VI non osò più pubblicare nessuna enciclica. E anche se essa è stata riaffermata dai suoi successori, intere masse cattoliche ne ignorano - con fondati motivi - l'insegnamento. Nel '67 Montini aveva pubblicato un'altra enciclica: la «Populorum progressio» sullo sviluppo dei popoli. In questo audace documento, il pontefice affermava: «Si danno situazioni la cui ingiustizia grida verso il cielo. Quando popolazioni intere, sprovviste del necessario, vivono in uno stato di dipendenza tale da impedir loro qualsiasi iniziativa e responsabilità, e anche ogni possibilità di promozione culturale e di partecipazione alla vita sociale e politica, grande è la tentazione di respingere con la violenza simili ingiurie alla dignità umana. E tuttavia sappiamo che l'insurrezione rivoluzionaria - salvo nel caso di una tirannia evidente e prolungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del paese - è fonte di nuove ingiustizie, introduce nuovi squilibri, e provoca nuove rovine. Non si può combattere un male reale a prezzo di un male più grande». Queste parole furono interpretate, a ragione o a torto, come una benedizione papale ai movimenti rivoluzionari dell'America Latina e dell'Africa che si battevano, appunto, contro «tirannie evidenti e prolungate». Ma lo stesso pontefice, visitando nel '68 la turbolenta Colombia, non citò più la sua stessa enciclica e, senza fare alcuna distinzione tra oppressi e oppressori, affermò: «La violenza non è evangelica, non è cristiana». Il 6 agosto '64 il papa aveva pubblicato la sua prima enciclica, «Ecclesiam suam» dedicata al dialogo della Chiesa romana con i cristiani non cattolici, con i seguaci delle altre religioni, con tutte le donne e tutti gli uomini di buona volontà. Montini, insomma, poneva il metodo del dialogo come costitutivo del modo di porsi della Chiesa rispetto al mondo. Un atteggiamento che i suoi successori hanno verbalmente confermato, ma in realtà attuato con modulazioni restrittive. Il pontificato mediatico di Giovanni Paolo II ha portato molti a dimenticare quello, meno appariscente, di Paolo VI. Ma il trascorrere del tempo forse aiuterà a riscoprire la finezza intellettuale di Montini e la sua consapevolezza della complessità dei problemi che il clamore mediatico può momentaneamente occultare ma, di fatto, lasciandoli irrisolti.

© Copyright L'Adige, 6 agosto 2008

1 commento:

Anonimo ha detto...

Vi segnalo questi interessantissimi contributi di Giuseppe Camadini, presidente dell'Istituto Paolo VI, e Giovanni Maria Vian, direttore de "L'Osservatore Romano", sulla figura di papa Paolo VI pubblicati sul sito www.ilsussidiario.net.

http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=4516

http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=4490

Nonché un ritratto del pontefice che scrisse monsignor Luigi Giussani

ww.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=4498