16 settembre 2007

Mentre alcuni vescovi ed intellettuali si attardano in sacrestia a parlottare del motu proprio, il Papa è già in chiesa a parlare con il suo gregge


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Se qualcuno pensa che i cattolici affezionati alla messa di San Pio V, quella in latino, siano un plotoncino sparuto di generali in pensione e di duchesse svanite faccia un esperimento. Vada sul web: si troverà al cospetto di giovanotti in grado di maneggiare il computer come pochi, pieni di energie, con lo sguardo rivolto al futuro. Gente che ama la tradizione, ma che vive con i piedi piantati nel presente. E che proprio per questo ha già fiutato il clima vagamente censorio che si respira in molte parrocchie italiane in questi giorni.
È entrato in vigore il motu proprio con cui Papa Benedetto XVI liberalizza la messa di san Pio V, ma una fetta dell’episcopato italiano si appresta a mettere la sordina al documento.

Il caso della diocesi di Milano, opportunamente sollevato dal Giornale, ne è l’esempio più vistoso: siamo ambrosiani - hanno fatto sapere dalla curia - dunque niente Messa di San Pio V. Un cavillo che ha il solo scopo di disattendere il documento del Papa.

Del resto, quanti vescovi hanno parlato pubblicamente e liberamente di ciò che sta avvenendo? Quanti parroci? Uno solo, che ci risulti, si è assunto questa responsabilità apertamente, applicando subito il motu proprio e ha riempito la chiesa di fedeli, suscitando la reazione dell’apparato di curia.

Anche questo un caso che ha sollevato Il Giornale. Un giornale laico. Come laica è La Stampa, sulla quale Massimo Gramellini, all’indomani della pubblicazione del motu proprio mise nero su bianco il seguente ragionamento: era ora che si suonasse nuovamente la campana del senso del sacro. Era ora di finirla con quei sacerdoti in jeans e chitarra che pensavano di essere più vicini ai loro fedeli e, invece, erano solo più lontani dal Cielo.

Laico Il Giornale, laica La Stampa: forse vorrà dire qualche cosa. Vuol dire che un atto come quello di Benedetto XVI non può essere letto con il paraocchi. E tanto meno con il paraocchi del cosiddetto spirito del Concilio Vaticano II che ha permeato la quasi totalità del mondo cattolico. Per un certo tipo umano da sagrestia, tutto deve essere letto in funzione del Vaticano II, e ciò che non rientra in quei canoni va silenziato. Siccome negli ambienti progressisti cattolici è stato stabilito che il motu proprio del Papa non è conforme allo spirito del Concilio, ecco pagato il Pontefice con la stessa moneta usata per l’ultimo dei reazionari.

Intanto il popolo non capisce come mai, pur in presenza di un atto del successore di Pietro, preti, arcipreti e vescovi dicano pubblicamente che non è cambiato niente, che si continua come prima. Non capisce come mai ci si permetta di non obbedire al Papa. Non capisce come mai sacerdoti e fedeli che manifestano interesse per la liturgia tradizionale vengano messi al bando e perseguitati: avete capito bene, perseguitati. Ci sono giovani che sono costretti ad abbandonare il seminario della propria diocesi per aver manifestato simpatie per l’antico rito.

Purtroppo, c’è un’evidente scollatura fra la gente comune, i fedeli, e un gruppo limitato, ma potente di intellettuali che hanno preso in mano le redini di non poche diocesi e facoltà teologiche. Sono quegli stessi che chiamano la Chiesa «popolo di Dio» ma sotto sotto considerano la gente solo una massa incolta lontana anni luce dalla famosa «fede adulta». Ma questo popolo, in realtà è formato da cattolici ordinari che per anni hanno subìto, mugugnando, tutti gli orrori liturgici perpetrati in nome di un’ideologia ecclesiale che ha avuto le caratteristiche di una vera e propria rivoluzione culturale. Nella quale, la degenerazione liturgica è preceduta, accompagnata e seguita da un errore dottrinale. Molti pastori e intellettuali non riescono o non vogliono capirlo.

E vengono scavalcati da questo Papa teologo nel rapporto con il popolo. Mentre loro si attardano in sacrestia a capire chi si gioverà della ricaduta ecclesiologica del motu proprio, Benedetto XVI è già in chiesa a parlare con il suo gregge. E più parla chiaro, più il suo gregge lo comprende e lo ama. Come quando discute dei principi non negoziabili.

Che cosa vogliono dire le sue prese di posizione sulle questioni etiche se non un non negoziabile «Basta»?
Lo stesso accade per la riconsegna della piena cittadinanza nella Chiesa a una liturgia millenaria come quella della messa tradizionale. In questo caso, Papa Benedetto ha preso una posizione anche più forte. Ha scoperto un nervo che molti cattolici avrebbero preferito lasciare sottopelle: ha detto che un’intelligente fedeltà alla propria storia è più forte e più cattolica dell’infatuazione per un concetto utopistico di progresso. Ha detto che la tradizione è connaturale al cattolicesimo mentre l’ideologia è il suo esatto contrario.

© Copyright Il Giornale, 16 settembre 2007

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