15 settembre 2007

Messa tridentina: il commento di Avvenire


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Messa in latino: dono, non pretesto per divisioni

Ieri l’entrata in vigore del Motu proprio «Summorum Pontificum» sull’uso della liturgia romana anteriore alla Riforma del 1970

Da Roma Salvatore Mazza

Il senso del Summorum Pontificum è chiarissimo. E, con queste o altre espressioni analoghe, è stato ripetuto in mille occasioni: non un «ritorno al passato», quasi a sconfessare il Concilio, ma una mano tesa verso quei «non pochi fedeli» che «aderirono e continuano ad aderire con tanto amore e affetto alle antecedenti forme liturgiche».
Data in forma di Motu proprio lo scorso 7 luglio, la Lettera apostolica di Papa Ratzinger, che da ieri è entrata ufficialmente in vigore, reintroduce la possibilità, accanto alla tradizionale celebrazione in lingua nazionale, di celebrare la Messa in latino come "forma straordinaria" «secondo l'edizione tipica del Messale Romano promulgato dal Beato Giovanni XXIII nel 1962, e mai abrogato».
Le due forme - ordinaria e straordinaria - dunque convivono. A questo proposito, Benedetto XVI precisa che «non è appropriato» parlare di queste due forme «come fossero due Riti. Si tratta, piuttosto, di un uso duplice dell'unico e medesimo Rito». E dunque, le due «espressioni della lex orandi della Chiesa non porteranno in alcun modo a una divisione nella lex credendi (legge della fede) della Chiesa». Rispetto a quanto già stabilito a suo tempo da Papa Wojtyla, con il nuovo dispositivo è il parroco ad essere chiamato direttamente in causa. Infatti, recita il testo, «nelle parrocchie, in cui esiste stabilmente un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica, il parroco accolga volentieri le loro richieste per la celebrazione della Santa Messa secondo il rito del Messale Romano edito nel 1962. Provveda a che il bene di questi fedeli si armonizzi con la cura pastorale ordinaria della parrocchia, sotto la guida del Vescovo... evitando la discordia e favorendo l'unità di tutta la Chiesa».
Se invece un gruppo di fedeli, avendo un sacerdote disponibile a farlo, chiedesse di celebrare la Messa in latino «anche in circostanze particolari, come matrimoni, esequie o celebrazioni occasionali, ad esempio pellegrinaggi», il parroco non potrà rifiutare il permesso. Dovrà però verificare se ci sono le condizioni spirituali e pastorali, se cioè la richiesta viene avanzata per un desiderio spirituale, e non come contrapposizione ad altre assemblee liturgiche e al Concilio stesso.
Un'ultima cosa da segnalare riguarda le perplessità, in alcuni casi vere e proprie proteste, che al momento dell'uscita del Motu proprio si sollevarono dal mondo ebraico, in quanto, con il ripristino della Messa in latino secondo il Messale di Giovanni XXIII, ritorna la preghiera per la conversione degli ebrei, nota come la preghiera del «velo» (pur nella versione già emendata dallo stesso Roncalli, da cui erano sparite le espressioni «perfidi giudei» e «perfidia giudaica»). A riguardo di queste proteste il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, in una conversazione con la stampa a Pieve di Cadore, lo scorso 18 luglio, ammise che «è vero che c'è questa preghiera per la conversione... si potrebbe studiare la questione e disporre che tutti dicano la formula di Paolo VI (del 1970, ndr): si può decidere e si risolverebbero tutti i problemi». Bertone, nella stessa occasione, tuttavia osservò che «per quanto riguarda le preghiere del triduo pasquale il Motu proprio fa esplicito riferimento al Messale di Paolo VI».

© Copyright Avvenire, 15 settembre 2007

E da chi provengono le resistenze? Strano che il giornale dei vescovi non ne parli...
R.


A LORETO COL MESSALE DI GIOVANNI XXIII

Castrillon Hoyos celebra nella Santa Casa
«L'importante non è il rito ma l'Eucaristia»


Il presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei ieri ha presieduto il Pontificale nell'antica forma
D
al Nostro Inviato A Loreto Mimmo Muolo

Concentrazione silenziosa e melodie gregoriane. Paramenti classici e preghiere recitate sotto voce dal celebrante che guarda nella stessa direzione dei fedeli.
Nella cripta dei santi pellegrini, sotto la Basilica della Santa Casa di Loreto, si celebra la Messa con il rito precedente la Riforma di Paolo VI. E le differenze rispetto alla liturgia del Messale conciliare saltano subito agli occhi. Ma il cardinale Dario Castrillon Hoyos sottolinea: «Dobbiamo comprendere che la cosa importante non è il rito, quanto l'Eucaristia. Cristo che si fa di nuovo carne per la nostra salvezza».
Il presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei è giunto da Roma in una data a suo modo storica per la Chiesa. In questo venerdì 14 settembre, festa della esaltazione della Santa Croce, entra infatti in vigore il Motu Proprio di Benedetto XVI che di fatto liberalizza l'uso - sia pure in forma straordinaria, rispetto a quella ordinaria che resta appunto la liturgia voluta dal Concilio Vaticano II - della Messa in latino. E l'Associazione «Una Voce», un migliaio di iscritti in tutta Italia, ha promosso un solenne Pontificale che si svolge nella cappella posta proprio nel «ventre» della grande santuario lauretano.
C'è clima di festa per quello che Castrillon Hoyos, nell'omelia della Messa (unica parte in italiano, se si eccettua il breve benvenuto iniziale da parte del rettore della Basilica, padre Marzio Calletti) definisce «un dono ricevuto grazie alla benevolenza del Papa». «Questo Motu Proprio - aggiunge il cardinale - è espressione del suo animo, del suo cuore e del suo intelletto, è esercizio del suo munus non solo reggente, ma anche santificante». Perciò il porporato si dice sicuro che «tutti i vescovi del mondo saranno felici di offrire ai loro fedeli la ricchezza di questo rito santo».
Un rito, sottolinea ancora, «bello e teologicamente forte». Esso, dunque «deve godere del debito onore che gli è dovuto per il suo antico e venerabile uso».
Castrillon Hoyos non ignora, però, le perplessità (e in alcuni casi anche la «dura opposizione») suscitata dal Motu Proprio. Perciò ricorda che questo rinnovato uso deve avvenire «senza contrapposizioni». «Celebrare in questa forma straordinaria - spiega - non vuol dire che disprezziamo la nuova forma e che non ci importa dell'assemblea. Il Papa non fa tornare indietro la Chiesa, ma anzi le fa fare un passo avanti». Ciò che si vuole piuttosto sottolineare è che «tutta l'assemblea sia orientata verso il sacrificio di Cristo».
Un sacrificio - aveva detto in un passaggio precedente dell'omelia - intimamente connesso con la risurrezione e da vivere nella propria vita». Perciò, conclude il cardinale «tutti dobbiamo essere grati al Santo Padre per il dono di questo Motu Proprio uscito dal suo cuore». Così la sezione picena di «Una Voce» insieme con il presidente nazionale Riccardo Turrini Vita ha chiesto all'arcivescovo prelato di Loreto monsignor Gianni Danzi (ieri assente per sopravvenuti improcrastinabili impegni) la possibilità di celebrare nella Santa Casa.
Erano presenti anche il rappresentante del patriarcato di Mosca, padre Filippo Vassiliev, che ha ricordato il giudizio di Alessio II («una iniziativa molto positiva») e una delegazione dell'ambasciata russa presso la Santa Sede. La celebrazione è durata due ore e mezza, anche per effetto dei canti gregoriani eseguiti dalla Cappella musicale della Santa Casa, diretta da padre Giuliano Viabile, e dal Rossini Chamber Choir di Pesaro di Simone Baiocchi.

© Copyright Avvenire, 15 settembre 2007

1 commento:

francesco ha detto...

Un atteggiamento serenamente ecclesiale è quello che permette di mantenere chiara l'adesione alla gerarchia... i Vescovi nella loro giurisdizione come i parroci nella loro hanno la piena potestà di applicare il motu proprio secondo i loro criteri di discernimento... il Papa non può sostituirsi a questo... perciò è evidente che Avvenire che è giornale davvero cattolico, non presta il fianco a critiche verso i vescovi o i parroci come fanno, ahimé, altre testate alcune delle quali si spacciano anche per cattoliche!
in tal senso mi pare che anche il sito cattoliciromani sia esemplare!
ritengo che come può essere restrittivo leggere il documento da un verso così lo è dall'altro: non penso che pretendere dal proprio parroco la celebrazione della Messa col Messale del '62 sia un atteggiamento in linea con la (ma perchè la? non dovrebbe essere meglio "il ", mah...) Summorum
a mio parere le vie che indica il documento sono solo due: o un gruppo di persone già noto ed esistente, o un gruppo di persone attorno ad un sacerdote che celebra "privatamente" e ammette alla celebrazione altri... altre forme sono riservate solo al giudizio, alla sensibilità e alla prudenza degli Ordinari...