15 settembre 2007

Messa tridentina: gli articoli del Corriere e della Stampa


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M. Antonietta Calabrò

LORETO — « Amen, deo gratias, et cum spiritu tuo ». Hanno pronunciato qualche decina di parole in tutto, in più di due ore di messa tridentina, i cinquecento partecipanti alla funzione voluta dall'associazione tradizionalista «Una Voce Italia», con la partecipazione di esponenti di confraternite, di ordini equestri e dell'Ordine di Malta. Una liturgia officiata dal cardinale Dario Castrillon Hoyos, nella cripta inferiore (solo nella cripta, per disposizione del Rettore del Santuario per non disturbare il normale andamento liturgico) della Basilica della Santa Casa di Loreto, seguita da un solenne Te Deum. Cioè un ringraziamento a Dio per l'entrata in vigore del Motu Proprio con il quale il Papa Benedetto XVI ha reso possibile usare il vecchio rito latino a semplice richiesta dei fedeli. Assemblea muta, dunque. Anche i canti, polifonici e gregoriani, sono stati cantati solo dal coro. Protagonisti sono soprattutto loro, i celebranti, con i sontuosi paramenti, a prevalenza di velluto e oro, stretti l'uno all'altro, tra gli sbuffi d'incenso, che, sottovoce, hanno bisbigliato preghiere che nessuno ha udito.
Eppure al momento del Pater Noster, quegli stessi fedeli hanno «violato» il rito: recitando tutti insieme la preghiera insegnata da Gesù. Soltanto qualcuno ha voluto sottolineare, a voce alta, il finale, quel «sed, libera nos a malo» , che avrebbe dovuto essere l'unica frase esclamata dall'assemblea.
Il silenzio si è caricato di emozione al momento della consacrazione, anch'essa silenziosa e nascosta agli occhi del popolo dalle spalle del cardinale, rivolto al tabernacolo e segnalata soltanto dallo scampanio dell'elevazione.
Proprio l'importanza del «silenzio al momento del sacrificio» è stata sottolineata da Castrillon Hoyos nella sua omelia, letta ex cathedra con l'ausilio di un altoparlante. Sono state le sue, le uniche parole pronunciate in italiano, guardando il pubblico: un «salto», quasi uno iato, nella liturgia. «La Madonna, la Madonna benedice questa Messa — ripete con enfasi aggiungendo a braccio il cardinale — la Madonna che in questo santuario l'ha sentita celebrare con questo rito per secoli, perché con questo rito si sono santificati pontefici, martiri, confessori: questo il dono che il Papa ha dato alla Chiesa, così bello, così teologicamente forte». Poi il porporato fa accenno alla bellezza dei riti dell'Oriente. E lì ad ascoltarlo sono arrivati il rappresentante del Patriarcato di Mosca in Italia Vassiliev, il primo segretario dell'ambasciata russa presso la Santa Sede e il consigliere economico di Primakov, Kupryanov. Afferma Vassilev: «Già sua Santità Alessio II ha detto che questa decisione del Papa è molto positiva ».
Il presidente nazionale di «Una voce», Turrini de Vita, è d'accordo con il Cardinal Bertone: «Sono favorevole a cambiare la preghiera del Venerdì Santo in cui si chiede la conversione degli ebrei», una preghiera «contestata» da molti esponenti ebraici.
Una messa celebrata secondo il rito tradizionale con il sacerdote che rivolge le spalle ai fedeli che partecipano alla funzione.

© Copyright Corriere della sera, 15 settembre 2007

Posso dirlo? BAH!
Sembra quasi che la messa tridentina sia diventata la modalita' ordinaria di celebrazione! Chi assiste a queste cerimonie sa che ci sono lunghi silenzi e che protagonista NON E' IL SACERDOTE (come si vorrebbe far credere) ma Cristo, presente nell'Eucarestia
.
R.


La Messa in latino

Il cardinale che non trova più il messale

Il prelato «Dopo quarant’anni non è facile, dovrò “ripassare” e prepararmi prima di salire all’altare»

GIACOMO GALEAZZI

CITTA’DEL VATICANO
«In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Ehhm. .uhhm.. Ci ho messo un po’ per farmi tornare in mente quelle lunghe liturgie celebrate da giovane». Dieci anni di messe in latino, dal 1955 al 1965, rispolverate all’improvviso dal «motu proprio» entrato in vigore ieri. Tra «iniziale disorientamento, ricordi e sentimenti profondi», il cardinale Javier Lozano Barragán, 74 anni, ministro vaticano della Salute, ripercorre il suo ritorno alla celebrazione pre-conciliare. Lo stretto collaboratore di Joseph Ratzinger non aveva conservato in casa il Messale di Pio V. «Anzi, quando fu superato dal Concilio, noi giovani sacerdoti di allora, lo abbandonammo senza rimpianti e con grande entusiasmo - sorride il cardinale -. Lasciare l’antico messale per noi significava poter ampliare gli orizzonti». Ora l’inatteso ritorno alla messa che fu. Non senza contraccolpi.

«Dopo il 1965 i sacerdoti non hanno più studiato il latino - evidenzia il porporato -. Una larga frangia del clero non conosce il latino. Una carenza grave perché il latino è la lingua madre della Chiesa e dell’Occidente». Il «motu proprio», quindi come sfida e opportunità.

«Può rivelarsi anche uno sprone a riprendere in mano i classici - sostiene il ministro vaticano della Sanità -. Noi da giovani, non vedevamo l’ora di finirla con il latino. Ora lo riabbracciamo come un caro, vecchio amico». Iniziale imbarazzo, graduale riscoperta.
Con qualche momento di stupore, ma anche la crescente consapevolezza dell’«inattesa possibilità» di rituffarsi nel latino. «Aldilà dell’emozione, per dire messa in latino serve prepararsi. Sarà che il latino l’ho imparato quand’ero un bambino e da allora è passato tanto tempo - racconta il porporato di Curia -. Il latino non è tanto facile». L’ufficialità cede il passo alla memoria. «Ripristinare la messa com’era prima del Concilio Vaticano II è un arricchimento. La liturgia oggi è già ricca, possiamo scegliere tra le tante preghiere previste - osserva il cardinale -. Adesso, in più, si è aperta la porta al canone romano. Un rito diverso e una ricca simbologia propria».
Certo i cambiamenti non sono di poco conto per chi celebra la funzione religiosa e anche il cardinale ha dovuto adeguarsi. «Quella in latino è una messa solenne. L’inizio è più lungo, il sacerdote non sale subito sull’altare e le variazioni non riguardano solo l’uso della lingua - precisa Barragan -. Nella celebrazione ci sono atteggiamenti e segni che si ripetono per mostrare il rispetto a Cristo nell’Eucarestia. Per esempio, una volta che si tocca l’ostia con le dita, il pollice e l’indice devono rimanere insieme e vanno purificati uniti nel calice». Simboli di rispetto e ossequio che il cardinale rievoca. «Alla fine della messa, prima della comunione, si legge ancora un passo del Vangelo, il primo capitolo di Giovanni - puntualizza il porporato -. La celebrazione termina con la recita di tre Ave Maria alla Madonna e di una preghiera a San Michele Arcangelo». Tante differenze, dunque, non solo esteriori. «Sono dovuto tornare con la memoria a un’epoca lontana della mia vita - ammette -. Una sensazione strana. Sono variazioni notevoli». Con una nota di riflessione: «Ho celebrato per dieci anni la messa in latino, poi sono stato al passo con i tempi che cambiavano e mai avrei pensato di tornare ad essa». La messa, dunque, come «filo rosso» nel proprio cammino di fede, mentre il latino è sempre più lingua morta nei seminari e sempre meno in uso nella pratica quotidiana delle canoniche». E anche in Curia, senza dare nell’occhio, in parrocchia, parecchi riprendono in mano i libri di latino. Così riscoprono l’armonia della grande liturgia. Ed è proprio il caso di dire: «Indulgentiam absolutionem, et remissionem peccatorum nostrorum, tribuat nobis omnipotens et misericors Dominus....».

© Copyright La Stampa, 15 settembre 2007

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