17 settembre 2007
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LITURGIA. Prima festa dopo il «motu proprio»
Freno vescovile alla messa in rito tridentino
Ieri è stata la prima domenica che riporta (potenzialmente) la versione del 1962 dell’antico rito tridentino varato nel 1536 sugli altari di tutte le chiese. A Verona, come già da tempo, la messa in latino di San Pio V si tiene nella chiesa di Santa Toscana, ma ieri, visto che il vescovo monsignor Giuseppe Zenti non riconosce lecita la celebrazione officiata da don Vilmar Pavesi, sull’altare è salito monsignor Bruno Ferrante, l’unico sacerdote diocesano finora autorizzato a celebrare in latino, anche dopo il «motu proprio» del papa. E i tradizionalisti hanno partecipato nell’attesa che nell’incontro delle prossime settimane con il vescovo vengano accolte alcune delle loro richieste, come la parrocchia personale, magari retta proprio da don Pavesi, che per intanto continua a officiare nella cappella di un istituto di suore a Borgo Venezia.
Il prete tradizionalista italo-brasiliano è da poco rientrato da Loreto, dove ha incontrato il cardinale Dario Castrillon-Hoyos, presidente della Pontificia commissione Ecclesia Dei, l'organismo che fu incaricato da Giovanni Paolo II di ricucire lo strappo con gli scismatici di monsignor Marcel Lefebvre.
Nicola Cavedini, portavoce di Una Voce, è certo che «questa giornata apre le porte ad un fatto storico da cui non si potrà più tornare indietro». E spiega che l’ascolto della messa in latino aiuta a dare un nuovo significato al rito. «È il sentire dentro che cambia il significato di ogni passaggio». Già il solo fatto che il celebrante volga le spalle ai fedeli, indossi la Pianeta e il manipolo, ossia la fascia, e che la preghiera eucaristica abbia un solo canone, è importante.
Tra i fedeli presenti c’era anche l’ex direttore generale dell’azienda ospedaliera, Michele Romano, che si dice convinto che tutto questo porterà i cattolici a ritornare a messa. Ora c’è la speranza che il vescovo faccia un passo conciliatorio, tanto più che monsignor João Wilk dal Brasile ha inviato una lettera alla Curia scaligera in cui si dice lieto che don Pavesi si inserisca nella diocesi veronese. E a quanti affermano che col ritorno di questa liturgia si rischia un salto nel passato, Cavedini risponde che è un diritto poter decidere a quale rito partecipare. «Soprattutto per noi tradizionalisti», puntualizza, «purtroppo fino a oggi si è sorvolato sull’aspetto spirituale che il rito tridentino rievoca, attaccandosi a semplici elementi giuridici». A.Z.
© Copyright L'Arena, 17 settembre 2007
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