22 dicembre 2007
Il Papa alla Curia: «Il cristianesimo forza antagonista del male» (Bobbio per "L'eco di Bergamo")
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«Il cristianesimo forza antagonista del male»
Il Papa: conosciamo la fatica della lotta anche oggi I giovani e la droga, «beffa che il diavolo fa all'uomo»
Alberto Bobbio
Città del Vaticano Il Papa fa gli auguri di Natale alla Curia romana, «comunità di lavoro» della Santa Sede, traccia il bilancio degli atti di un anno, chiarisce scelte e ragionamenti, dice che il cristianesimo è la forza antagonista del male e rilancia il «manifesto» del pontificato: l'incontro con Cristo, la Persona che trasforma la vita di ognuno e quella del mondo.
Nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico, seduto nell'antico seggio coloro rosso e oro che usava Pio XII, il teologo tedesco diventato Papa ieri ha dato l'impressione di essere tornato, per una volta ancora, professore indicando interpretazioni, precisando e anche ammonendo. Ha detto alla fine del lungo discorso di auguri: «Non bisogna illudersi. I problemi che pongono il secolarismo nel nostro tempo e la pressione delle presunzioni ideologiche, alle quali tende la coscienza secolaristica con la pretesa esclusiva alla razionalità definitiva, non sono piccoli. Noi conosciamo la fatica della lotta che anche in questo tempo ci è imposta».
Joseph Ratzinger mette in fila i limiti della Storia, ma spiega che nel «bilancio dell'umanità» è importante che confluiscano «forze di riconciliazione, forze di pace, forze di amore e di giustizia». Le chiama con un linguaggio insolito, che viene normalmente utilizzato per i movimenti della sinistra più radicale, «forze antagoniste», cioè quelle della «missione cristiana», le «forze del bene, senza le quali tutti i nostri programmi di ordine sociale non diventano realtà, ma di fronte alla pressione strapotente di altri interessi contrari alla pace e alla giustizia, rimangono solo teorie astratte».
Il ragionamento di Benedetto XVI parte dal viaggio in Brasile e nega che i discorsi pronunciati durante quel viaggio e il documento approvato alla fine della Conferenza dei vescovi latino-americani ad Aparecida siano stati un ripiegamento sbagliato, una svolta eccessiva verso l'interiorità, un ritirarsi nella fede, invece di occuparsi delle grandi sfide della Storia, di giustizia, pace e libertà, come avevano sostenuto alcuni anche al'interno della Chiesa, criticando il documento finale della Conferenza.
Il Papa lo dice con forza: «No! Aparecida ha deciso giustamente, proprio perché, mediante il nuovo incontro con Gesù Cristo e il suo Vangelo, e solo così, vengono suscitate le forze che ci rendono capaci di dare la giusta risposta alle sfide del tempo».
Ricorda con commozione l'incontro con i giovani e i tossicodipendenti nella «Fazenda da Esperança».
Torna a parlare della droga, con toni assai severi, definendola «sconfinatezza illusoria» e «beffa, che il diavolo fa all'uomo». E poi si sofferma a parlare dei giovani. Ricorda due avvenimenti: l'incontro nello stadio di San Paolo in Brasile e l'agorà di Loreto a settembre in Italia.
Spiega che ci sono «manifestazioni di massa che hanno solo l'effetto di un'autoaffermazione», dove ci si lascia «travolgere dall'ebbrezza del ritmo e dei suoni, finendo per trarre gioia solo da se stessi». Invece a San Paolo e a Loreto non c'è stata una «fuga davanti alla vita quotidiana», ma è andata in scena la «forza di accettare la vita in modo nuovo».
Certo, ha detto il Papa, «non ho mancato ovviamente di denunciare le manipolazioni a cui i giovani sono oggi esposti e i pericoli che ne derivano per la società del futuro». Ma le prove di San Paolo e di Loreto gli fanno dire che tanti giovani «si lasciano contagiare della gioia delle fede», per cui «possiamo tranquillamente andare incontro al futuro».
Il tema è quello dell'evangelizzazione e Ratzinger riprende davanti alla Curia Romana i contenuti del recente documento della Congregazione della dottrina della fede sull'evangelizzazione.
Osserva che «non si può mai conoscere Cristo solo teoricamente» e che la «catechesi non può mai essere un insegnamento intellettuale», ma «un esercitarsi nell'umiltà, nella giustizia e nell'amore».
Spiega che tutti dobbiamo vivere nella «tolleranza e nel rispetto», loda la lettera dei 138 intellettuali musulmani, che chiede di testimoniare il comune impegno per la pace e il dialogo. Tuttavia nega che rispetto, dialogo e collaborazione vogliano dire per la Chiesa non «trasmettere più il messaggio di Gesù Cristo, non proporre agli uomini e al mondo questa chiamata e la speranza che ne deriva»: «Chi ha riconosciuto una grande verità, chi ha trovato una grande gioia, deve trasmetterla, non può affatto tenerla per sé». Infine Benedetto XVI ricorda la lettera inviata ai cattolici cinesi, auspicando che si possa trovare con le autorità civili «una soluzione ai vari problemi».
© Copyright L'Eco di Bergamo, 22 dicembre 2007
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