21 febbraio 2008

Un banchiere in Vaticano per scrivere editoriali (Rodari)


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Un banchiere in Vaticano per scrivere editoriali

di Paolo Rodari

Dovrebbero mancare poche settimane - si parla del 26 marzo, a quarant’anni dalla Populorum progressio di Paolo VI - all’uscita dell’enciclica di Benedetto XVI, la terza del suo pontificato, dedicata ai temi sociali e alla globalizzazione.
Tematica delicata, sulla quale Ratzinger è intervenuto svariate volte. La più incisiva, forse, durante l’Angelus del 23 settembre scorso: il profitto e, dunque, lo sviluppo economico, disse il Papa, non sono contro la dottrina sociale della Chiesa. Il problema, semmai, è l’uso che delle ricchezze accumulate si intende fare: se cioè queste siano ordinate o meno alla distribuzione per il bene di tutti.
Ed è anche in scia a questa visione “buona” del profitto che, significativamente, da qualche settimana l’Osservatore Romano si è dotato di un nuovo editorialista. Si tratta di un banchiere: Ettore Gotti Tedeschi, presidente per l’Italia del Banco di Santander nonché consigliere d’amministrazione del SanPaolo-Imi e della Cassa depositi e prestiti. Uno per il quale, all’origine del miglior capitalismo, altro non c’è se non il cristianesimo. Uno per il quale è l’etica cattolica la più adatta a gestire l’economia capitalistica globale. Uno per il quale, sulla scorta degli economisti medievali Giovanni Ceccarelli e Giacomo Todeschini, il capitalismo è nato “con il saio” nell’Italia del XIII secolo, mentre vengono dal protestantesimo le pecche che prendono il nome di affarismo, decisionismo, laissez-faire e legge del più forte.
È forse nell’ultimo libro di Gotti Tedeschi edito dall’Università Bocconi - "Spiriti animali. La concorrenza giusta" - che si evince meglio che altrove la sua idea di mercato. Scritto assieme ad Alberto Mingardi (direttore dell’Istituto Bruno Leoni), con la prefazione di Alessandro Profumo, il volume riflette sul grande problema che interessa l’Europa, e l’Italia in particolare: la perdita di competitività. E lo fa ponendo l’accento sul valore del mercato e della libera concorrenza come soluzioni per uscire da questa situazione: a prevalere sono lo svecchiamento meritocratico di una società ingessata, l’apertura delle professioni e il venir meno di quegli arroccamenti corporativi che creano garantiti e sconfitti sociali.
È questa l’idea di economia propria della Santa Sede? È così che Benedetto XVI intende il mercato? Difficile se non impossibile rispondere. Di certo c’è che l’ultimo editoriale di Gotti Tedeschi uscito sull’Osservatore - era il 13 febbraio - è stato parecchio apprezzato tra coloro che, oltre il Tevere, a una visione dell’economia statalista ne prediligono una più aperta, diciamo liberista. Scrive il banchiere: «Sostenere i più deboli è sempre un buon fine, farlo con modelli assistenzialistici è invece un cattivo mezzo perché invece di rafforzare l’individuo lo si indebolisce e persino lo si umilia». E giù indicazioni per passare da un’economia di Stato a una di mercato, un’economia che sappia valorizzare le piccole e medie imprese, l’uomo che fa, produce e, insieme, distribuisce.
Nel 2004 Gotti Tedeschi aveva fatto notizia per un altro libro intervista scritto assieme a Rino Cammilleri: Denaro e Paradiso (Piemme). Anche qui la morale cattolica viene presentata come favorevole allo sviluppo economico, purché, ovviamente, sia rispettosa della dignità della persona e dei suoi valori. Stessi concetti che sottolineò, in una prefazione al volume, anche l’attuale prefetto della congregazione per i vescovi, il cardinale Giovanni Battista Re, uno tra i porporati d’oltre il Tevere che conosce meglio di altri il mondo economico-finanziario e le sue dinamiche. Stessi concetti a cui, come ha sottolineato Gotti Tedeschi nel libro scritto con Cammilleri, hanno guardato due importanti “fondatori” del cattolicesimo del secolo scorso: José Maria Escrivà de Balaguer, il santo fondatore dell’Opus Dei, e don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione. Stessi concetti più volte richiamati anche da altri cattolici cosiddetti liberisti: Michael Novak, Robert Sirico, Dario Antiseri e Flavio Felice. E poi il maestro della scuola economica austriaca, Friedrich Hayek, e Samuel Huntington, autore di "The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order".

© Copyright Il Riformista, 21 febbraio 2008 consultabile anche qui, sul blog di Rodari

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