18 aprile 2008
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WASHINGTON
In uno stadio stracolmo e festante, davanti a 50mila persone giunte da tutta l’America, Papa Ratzinger, guardando alle sfide del mondo, ha denunciato un «crollo preoccupante di valori» nella società statunitense, e tra gli stessi cattolici battezzati, e ha incitato a tornare all’osservanza dei principi evangelici.
Ha ripetuto il suo no all’aborto, all’eutanasia, all’edonismo, all’involgarimento della vita sociale, ma ha pronunciato anche parole di speranza che trovano riferimento in Cristo e nella sua predicazione, tramandata dalla Chiesa. Ratzinger si è mostrato emozionato per l’accoglienza tributatagli dai devoti.
La sua omelia, in inglese e in parte in spagnolo, non ha cercato gli applausi (che pure ci sono stati), ma è andata diritta ai problemi e alle ferite di una società sempre più materialistica.
WASHINGTON - Nella grande Messa al Nationals Stadium di Washington, Benedetto XVI ha voluto ricordare, ieri mattina, anche le vittime storiche del grande mito americano: gli indiani nativi del continente e gli schiavi africani importati per costruire le ricchezze dei colonizzatori.
«Gli americani - ha spiegato durante l’omelia - sono sempre stati un popolo della speranza: i vostri antenati sono venuti in questo Paese con l’aspettativa di trovare una nuova libertà e nuove opportunità, mentre la vastità del territorio inesplorato ispirava loro la speranza di essere capaci di cominciare completamente da capo creando una nuova nazione su nuovi fondamenti». «Certo - ha osservato il Papa - questa attesa non è stata l’esperienza di tutti gli abitanti di questo Paese: basti pensare alle ingiustizie sofferte dalle native popolazioni americane e da quanti dall’Africa furono portati qui forzatamente come schiavi».
Memore delle contestazioni ricevute in Brasile per aver sottovalutato le sofferenze degli indios, Benedetto XVI, pur esaltando in ogni suo discorso la grandezza dell’America, ha deciso di citare anche alcuni dei suoi lati oscuri. Un discorso che - agli occhi di molti vescovi statunitensi - non riguarda solo il passato ma anche, seppur in modo meno crudele, la condizione di sofferenza, di sfruttamento, di emarginazione di molti immigrati dall’America Latina.
Proprio ai latinos, si è rivolto Papa Ratzinger, al termine della sua omelia: la Chiesa negli Stati Uniti «è andata crescendo grazie anche alla vitalità della testimonianza di fede dei fedeli di lingua spagnola. Per questo il Signore vi chiama - ha detto loro - a perseverare nel contribuire al futuro della Chiesa in questo Paese e alla diffusione del Vangelo».
Il problema dello sterminio dei nativi americani e dello schiavismo erano stati evocati dall’arcivescovo di Washington, mons. Donald Wuerl, nel breve saluto al Papa.
Le guerre contro i nativi cominciarono nel diciottesimo secolo con l’arrivo dei primi colonizzatori e si tradussero nella decimazione delle nazioni indiane. L’altra piaga sociale fu lo schiavismo che venne abolito con il "tredicesimo emendamento" nel 1865, alla fine della guerra civile. Ma le discriminazioni continuarono fino a 40 anni fa. Cioè fino a Martin Luther King.
© Copyright Il Giornale di Brescia, 18 aprile 2008
Una storica visita nella Sinagoga della città più ebraica d’America
NEW YORK -
Per la prima volta nella storia, un Papa si recherà oggi in una sinagoga di New York, la città più ebraica del mondo. Con una mossa fortemente auspicata perchè giudicata molto simbolica dalla comunità ebraica americana, Benedetto XVI varcherà nel pomeriggio alle 17:00 (le 23:00 in Italia), i battenti della East Park Sinagogue della 67ma strada, nell’Upper East Side, poco prima di Pessah, la pasqua ebraica.
A riceverlo sarà il rabbino Arthur Schneier (insieme a 20 leader della comunità), un promotore del dialogo tra le fedi, che Josef Ratzinger aveva già avuto modo di incontrare in passato, quando era cardinale. La visita sarà molto breve (una ventina di minuti circa) e sarà totalmente privata, e Benedetto XVI assisterà in particolare ad un mini concerto del coro giovanile del tempio. La visita del Papa alla sinagoga è la terza in assoluto dopo quella di Giovanni Paolo Secondo al tempio di Roma nel 1986 e quella dello stesso Ratzinger a Colonia nel 2005.
© Copyright Il Giornale di Brescia, 18 aprile 2008
IL TENORE CANTA «PANIS ANGELICUS»
Complimenti a Placido Domingo
WASHINGTON - È stata una Messa con l’odore di hot-dog e cipolle, con l’altare sul «diamante» del baseball e i confessionali tra le pubblicità della birra. La cupola a dominare lo sfondo era quella laica della sede del Congresso, chiuso per un giorno perchè un centinaio di deputati e senatori hanno voluto essere presenti alla Messa.
Uno scenario a stelle e strisce che più non si può: ma è proprio così che Benedetto XVI voleva incontrare quello che ha definito «il popolo della speranza». La prima delle due Messe previste nel viaggio negli Stati Uniti - la seconda sarà domenica nel leggendario Yankee Stadium di New York - è servita a Benedetto XVI per sottolineare ciò che c’è di buono nel grande esperimento storico chiamato America, ma nello stesso tempo per mettere in guardia sui rischi che corre. Ma il tema della speranza, scelto come slogan della visita papale ("Cristo nostra speranza") ha cominciato a prendere corpo in una giornata di splendido sole. Lo si è visto dall’entusiasmo con cui è stato salutato alla fine della Messa da una folla a tratti travolgente. Lo si notava anche dalle lunghe code alle bancarelle di cappellini e magliette di Benedetto da 20 dollari l’una.
Il Papa stesso, che ha celebrato con 14 cardinali, 250 vescovi e 1.300 sacerdoti, è apparso più volte colpito. Come quando ha rotto il cerimoniale per chiamare a sè il tenore Placido Domingo e lodarne l’esecuzione di «Panis Angelicus».
© Copyright Il Giornale di Brescia, 18 aprile 2008
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