20 settembre 2007

Messa tridentina: le considerazioni del Vescovo di Ivrea


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SPECIALE: IL MOTU PROPRIO "SUMMORUM PONTIFICUM"

Grazie ad un amico/a possiamo leggere le considerazioni del Vescovo di Ivrea, Mons. Arrigo Miglio, riguardo il motu proprio "Summorum Pontificum"
Raffaella

(Summorum Pontificum)

Considerazioni del Vescovo

Considerazioni sul Motu Proprio di Benedetto XVI “Summorum Pontificum”.

È stato pubblicato sabato 7 luglio scorso il documento di Benedetto XVI, una Lettera Apostolica “motu proprio data”, relativa all’uso del Messale Romano nell’edizione del 1962, data dell’ultima riforma della liturgia eucaristica, voluta da Giovanni XXIII, che precedette la pubblicazione, nel 1970, del Messale Romano approvato da Paolo VI, a seguito del Concilio Vaticano II che nella Costituzione sulla Liturgia chiedeva la revisione di tutti i libri liturgici secondo i principi ed i criteri contenuti nella medesima Costituzione. Il Concilio si era svolto dall’ottobre ’62 al dicembre ’65; la Costituzione sulla Liturgia era stata approvata nel ’63, e nel marzo ‘65 c’era stata una prima parziale riforma liturgica con la traduzione di parti del Messale allora in vigore, cioè quello del ’62, e con la generalizzazione della celebrazione con il sacerdote rivolto verso l’assemblea. Una situazione provvisoria, quella del Messale, che durò fino al ’70, e che perdura tuttora per quanto riguarda la sistemazione di molti altari rivolti al popolo.
Il documento di Benedetto XVI è accompagnato da una sua lettera indirizzata ai vescovi, nella quale spiega le ragioni ed il percorso che lo hanno portato alla pubblicazione del Motu Proprio, ampliando quanto già disposto da Giovanni Paolo II nell’ ’84 e nell’ ’88. Ambedue i testi sono stati pubblicati domenica 8 luglio su Avvenire, e sono inoltre reperibili sul sito web diocesano o presso la Curia diocesana, in attesa di trovarli in libreria.
Le disposizioni andranno in vigore il prossimo 14 settembre e riguardano sia l’uso del Messale ed. ’62 sia il Rituale per i Sacramenti precedente la riforma di Paolo VI.

Non è inutile forse precisare che tali disposizioni non mettono alcun limite all’uso del Messale promulgato da Paolo VI nel ’70 e riconfermato in due edizioni successive da Giovanni Paolo II: questo messale rimane la forma ordinaria della celebrazione eucaristica per la chiesa latina. Così pure non è questione di lingua latina o italiana: il testo ufficiale del Messale pubblicato dopo il Concilio è in latino, è disponibile ed è utilizzabile quando ve ne siano le condizioni.

Quello del ’62 è ora utilizzabile su autorizzazione del parroco o del rettore di una chiesa non parrocchiale, per venire incontro a gruppi stabili di fedeli rimasti legati alla tradizione liturgica precedente; il sacerdote celebrante dev’essere in piena comunione con la Chiesa Cattolica, quindi l’iniziativa del Papa non cancella la divisione con le comunità del defunto vescovo Lèfèvre, anche se vuol essere una porta aperta nella speranza che tale divisione venga superata. In modo particolare però Benedetto XVI ci invita tutti ad una riconciliazione interna nel seno della Chiesa.
Per la mia generazione, e per quella già più avanti, può sembrare un ritorno a prima del Concilio, e così hanno scritto molti giornali; per le generazioni più giovani, che non hanno vissuto la liturgia pre conciliare, c’è piuttosto una comprensibile curiosità, che forse alla prova dei fatti resterà alquanto delusa, perché, come precisa il Papa, non si tratta di un altro Rito, ma di una forma, oggi lasciata in uso come straordinaria, dell’unico Rito Romano. Non dimentichiamo poi che nella chiesa latina esistono anche altri Riti: vicino a noi il Rito Ambrosiano, a Toledo il Rito Mozarabico; senza fermarci sulle peculiarità celebrative che alcuni ordini religiosi hanno conservato, o che alcune realtà ecclesiali più recenti hanno ottenuto. È bene ricordare che l’uso del Messale più antico viene permesso non per soddisfare curiosità o altre esigenze personali ma per il bene spirituale dei fedeli, come precisa in più punti Benedetto XVI. Non vuole dunque essere, e non deve diventare, una sconfessione del Concilio Vaticano II e delle riforma liturgica approvata da Paolo VI, e io vorrei aggiungere che dobbiamo grande rispetto per tutti coloro che si sono impegnati con entusiasmo, e non senza fatica, all’attuazione della riforma post conciliare. Non sono mancate le esagerazioni e le deformazioni, ma non possiamo trascurare le motivazioni che hanno ispirato sia la costituzione conciliare sulla liturgia sia la riforma liturgica successiva. Piuttosto è questa l’occasione per un serio esame di coscienza su come viviamo la nostra fedeltà alla riforma liturgica, superando approssimazioni, pigrizie e abitudini, o visioni privatistiche della liturgia.

Invito dunque a conoscere direttamente i testi, sia il Concilio, sia le indicazioni successive, sia questo documento di Benedetto XVI, non accontentandoci dei titoli giornalistici o dei “sentito dire”. A questo scopo sono disponibile, nel prossimo mese di settembre, in data da precisare, per un incontro con quanti sono interessati a questi problemi, valutando insieme le esigenze che emergeranno e anche offrendo, perché no, a qualcuno dei più giovani la possibilità di conoscere meglio la forma della celebrazione della S. Messa che ha alimentato la vita spirituale di coloro che oggi hanno superato almeno la cinquantina.

+Arrigo Miglio, Vescovo di Ivrea

4 commenti:

francesco ha detto...

finalmente un vescovo - pastore che si mette a disposizione senza iscriversi a nessun partito "pro" o "contro"...
finora mi pare la posizione più in sintonia col documento del Pontefice...
d'altra parte mons. Miglio si conosceva già per le sue qualità...

Anonimo ha detto...

Non mi sembra che non si iscriva a nessun partito.
Senz'altro è molto più educato e obbediente di tanti altri reverendi Ordinari nei confronti delle decisioni del S. Padre, ma un po' riduttivo nei confronti della portata del Summorum Pontificum.
"Per la mia generazione, e per quella già più avanti, può sembrare un ritorno a prima del Concilio, e così hanno scritto molti giornali; per le generazioni più giovani, che non hanno vissuto la liturgia pre conciliare, c’è piuttosto una comprensibile curiosità, che forse alla prova dei fatti resterà alquanto delusa, perché, come precisa il Papa, non si tratta di un altro Rito, ma di una forma, oggi lasciata in uso come straordinaria, dell’unico Rito Romano".
Mi sembra che quanti stanno scoprendo ora il vetus ordo non restano delusi: sono sì due forme dello stesso rito, ma ognuna ha le sue peculiarità. Non mi pare che sia del tutto scontato che il primo approccio con il Messale del '62 sia generalmente negativo.
La liturgia del 1962 non è pre-conciliare, dato che è rimasta in vigore durante e dopo il Concilio. E' pre-post-conciliare, esente da concelebrazioni, chitarre e applausi.
De gustibus non est disputandum

Anonimo ha detto...

Quasi nessun vescovo dice, nemmeno il vescovo di Ivrea, che ambedue le forme dell'unico rito romano sono sante e venerabili.
Negare questa verità, e, in ossequio a ciò, proibire ai fedeli, o ai sacerdoti l'uso del messale del '62, è un errore che ha a che fare con il dogma, roba da CDF insomma.
Perchè se, molto giustamente, si pretende che chi celebra il VO riconosca la santità del messale di Paolo VI, è richiesta altrettanta venerazione nei confronti del messale tridentino.
Che la generazione del vescovo di Ivrea la pensi in un certo modo non è una novità, ce ne libereremo con il tempo, che, grazie a Dio, passa per tutti.

Anonimo ha detto...

charette,
il Vescovo di Ivrea non dice che il rito la Messa di san Pio V è santo e venerabile, ma non dice neppure che lo è il rito di Paolo VI. Questo non vuol dire che neghi la santità di entrambi i riti. Semplicemente, non ne parla. Mi sembra poi che l'allusione alla propria generazione sia un modo garbato di indicare che il singolo non può considerarsi giudice imparziale.
Perciò mi unisco al plauso di Francesco