5 febbraio 2008

Discorso mai pronunciato dal Papa alla Sapienza: un matematico ebreo spiega le ragioni di Benedetto XVI (Osservatore Romano)


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di Alberto Manzoni

Lo sguardo matematico e quello letterario hanno accompagnato quello filosofico nel secondo "Colloquio sul discorso di Sua Santità Benedetto XVI all'Università La Sapienza", promosso dall'Università Cattolica del Sacro Cuore. Al primo appuntamento pubblico - tenutosi il 30 gennaio presso la sede romana con la partecipazione dell'arcivescovo Gianfranco Ravasi e di Giuliano Ferrara - è seguito lunedì 4 febbraio quello presso l'aula magna della sede centrale di largo Gemelli a Milano, gremita di studenti, professori, personale non docente e esterni, dove il rettore Lorenzo Ornaghi ha invitato docenti di diverse discipline e università: Giorgio Israel, ordinario di Matematiche complementari a La Sapienza, Salvatore Veca, ordinario di Filosofia politica all'Istituto universitario di Studi superiori di Pavia, e Serena Vitale, ordinario di Lingua e Letteratura russa in Cattolica.
Ornaghi ha ricordato brevemente come, "dopo i noti fatti che hanno portato il Santo Padre suo malgrado a non essere presente all'inaugurazione de La Sapienza", egli abbia ritenuto utile "indirizzare alla nostra comunità universitaria una breve lettera", al termine della quale v'era la proposta di due incontri, quali appunto quelli svolti, per proporre a tutti spunti di riflessione che andassero oltre l'evento del 17 gennaio.
Anche perché il testo redatto dal Santo Padre - al pari di altri discorsi e documenti del suo pontificato - si sofferma su alcune idee fondamentali e ricorrenti di cui solo una lettura superficiale non riuscirebbe a cogliere la rilevanza culturale ed etica. Lo stesso rettore lo ha messo in rilievo citando quale esempio uno dei passaggi conclusivi del testo papale: "Il cammino dell'uomo non può mai dirsi completato e il pericolo della caduta nella disumanità non è mai semplicemente scongiurato: come lo vediamo nel panorama della storia attuale! Il pericolo del mondo occidentale - per parlare solo di questo - è oggi che l'uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità".

La ricerca della verità, i rischi cui va incontro l'Europa e l'Occidente, il rapporto fra fede e ragione: proprio le tematiche centrali di Benedetto XVI, insieme con le domande che egli ha posto all'inizio del suo intervento - anzitutto quella su compito e scopi dell'università - hanno fatto da filo conduttore per i relatori. Israel ha individuato i motivi che spiegano perché lui come ebreo e matematico si sente in consonanza con i temi del discorso del Papa.

Il rapporto fra credenti e non credenti, e fra credenti di varie fedi, oltre che una corretta concezione di laicità, in effetti, emergono come uno degli spunti di riflessione immediati: basta leggere il significato del termine "laico" sul vocabolario - sottolinea il docente romano - e leggere le righe iniziali del testo pontificio per comprendere come il Santo Padre sia rispettoso della autentica laicità, mentre alcuni fra coloro che a parole ne fanno una bandiera scivolano verso il dogmatismo.
Poco dopo la professoressa Vitale avrebbe ricordato che "l'ideologia e il potere delle idee astratte e generiche che, ignorando la ragione, orientano il singolo verso modelli imposti", si sono rivelate veri e propri flagelli dell'umanità. E qui si collega un altro punto di particolare rilievo del pensiero del Papa: la necessità di conservare la memoria, di mantenere e tramandare la sapienza di chi ci ha preceduto, senza le quali c'è il vuoto culturale. Non solo, i sistemi autoritari "partoriti dalle ideologie fra i loro capisaldi avevano la cancellazione del passato".

A tale riguardo Israel ha messo in rilievo "uno dei temi consueti di Benedetto XVI, relativo alla contrapposizione tra un'idea ristretta, decapitata - secondo quanto detto da Husserl - della ragione, e un'idea più larga, che qui è individuata in un tipo di razionalità a-storica, e invece una razionalità storica, che si presenta come sapienza dell'umanità, cioè come un deposito di sapienza che si è accumulata nel corso del processo storico".

D'altro canto, il fornire conoscenze ai giovani, al di là delle questioni di metodo, è il modo per dotarli di strumenti per poter progettare dei cambiamenti, e quindi è il modo più giusto e vero di educarli.
Dal canto suo Veca - seguendo nel suo intervento "la struttura argomentativa del discorso del Papa, che è di straordinaria importanza ed eleganza intellettuale" - ha analizzato i passaggi logici per i quali il vescovo di Roma si propone di parlare non soltanto ai propri fedeli in qualità di epìscopos (colui che dall'alto sorveglia e si cura del gregge affidatogli), ma anche come rappresentante di una voce etica che - in rapporto alla ragione che è propria di ogni uomo - ha qualcosa da dire di valido proprio a ciascun essere umano. Riferendosi poi alle citazioni fatte dal Pontefice riguardo a pensatori quali Rowls e Habermans, il docente pavese si è soffermato sul rapporto fra ragione e ragionevolezza, quest'ultima descritta come "la disposizione che ciascuno di noi può avere o non avere a prendere sul serio il fatto che ci siano altri cui offrire ragioni, che non siano ragionevolmente rifiutabili da altri, che hanno concezioni razionali diverse dalla mia". Di qui il discorso s'allarga a tutte le questioni inerenti i rapporti fra persone che aderiscono a sistemi di pensiero "comprensivi" - vale a dire che danno un significato a tutta l'esistenza - e che sono chiamate alla convivenza in ragione della comune natura umana.
Se, dunque, lo spazio per la centralità della ragione ed una visione non dogmatica della razionalità, l'importanza di un'autentica laicità, i motivi di un pluralismo coesistente con valori condivisi hanno impegnato non poco i relatori, questi ultimi hanno peraltro dedicato vari passaggi dei rispettivi interventi al tema che da una parte veniva indicato dal Papa e dall'altra era strettamente legato all'ambiente dove ci si trovava: le ragioni per cui esiste ed è attiva un'università. E se Israel ha ricordato come le materie scientifiche in senso stretto non possono pretendere di dare risposte alla domanda di senso che è in ciascuno di noi, Veca ha citato il passo nel quale il Papa dice che all'origine dell'università sta la brama di conoscenza propria dell'uomo: l'essere umano vuole conoscere tutto ciò che gli sta intorno, per cui l'unica autorità è quella della verità.
In conclusione, la professoressa Vitale ha riflettuto con passione sulle figure dell'insegnante e dello studente, in particolare quelli dell'università: che si pongono domande, fanno ricerca, ricordano la lezione di Socrate, Aristotele e Tommaso, e non dimenticano che si trovano in un posto chiamato università "in quanto intimamente legata a quell'universo che da un punto di vista metafisico e teologico è l'insieme ordinato di tutte le creature, la cui unità procede da Dio". E, riprendendo i cenni già fatti dai colleghi in riferimento al brano del Papa su scientia e tristitia - ispirato ad Agostino ed Isaia - ha auspicato che nel "percorso infinito di ricerca" degli universitari - docenti e studenti - sia presente sempre quella gioia e quel sorriso che nascono dall'umiltà e dalla sincera ricerca della verità.

(©L'Osservatore Romano - 6 febbraio 2008)

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