5 febbraio 2008
«Dal Papa soltanto domande»: Benedetto XVI, un Socrate per l’oggi
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«Dal Papa soltanto domande»
Benedetto XVI, un Socrate per l’oggi
DA MILANO PAOLO VIANA
È ambiziosa l’idea di far discutere tre scienziati su un fatto mai accaduto.
Tuttavia, il discorso non pronunciato da papa Benedetto XVI all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università La Sapienza, nato come un momento di rottura tra scienza e fede, è diventato ormai il punto di crisi tra ragione e scienza ed è su questo terreno che una riflessione tra scienziati laici e cattolici è non solo possibile ma doverosa, onde evitare che «il mondo occidentale, proprio in considerazione della propria supremazia scientifica, si arrenda davanti alla questione della verità», come ha spiegato ieri pomeriggio il rettore della Cattolica Lorenzo Ornaghi, presentando il dialogo milanese sul discorso papale, organizzato – dopo l’analogo appuntamento romano – nell’aula magna dell’Università del Sacro Cuore.
Per Giorgio Israel, matematico della Sapienza, quel discorso non letto «contiene una lezione di laicità», cui i docenti «dissidenti» dell’ateneo romano hanno opposto «una lezione di dogmatismo». Lo scienziato ebreo ha riconosciuto nel discorso di Benedetto XVI il «senso della laicità come libertà da autorità dogmatiche, non necessariamente adversus la religione».
D’altro canto, ha ribadito insistendo sulla fondatezza delle radici giudaico-cristiane dell’Europa, «il cristianesimo per primo non accantona l’interrogarsi socratico e la sintesi tra cristianesimo e tradizione ellenistica emerge chiaramente dal discorso di Ratisbona».
L’approccio dogmatico è ampiamente diffuso nell’ambiente scientifico ma è, tutto sommato, recente: «Oggi nelle università si pensa – ha aggiunto infatti Israel – che l’unica razionalità sia quella scientifica; eppure un grande matematico dell’800 scriveva: 'Coltiviamo con ardore le scienze matematiche ma non illudiamoci che si possa affrontare la storia con formule, né sanzionare la morale con i teoremi o il calcolo integrale' ». La vera scienza non deve pertanto «trasformarsi in pura metodologia, sostituire i contenuti con le tecniche, perché non riuscirebbe più a rispondere ai problemi di senso », ha concluso il matematico.
Anche Salvatore Veca, filosofo dell’Università di Pavia, ha sottolineato il rischio di un inaridimento della cultura occidentale («Dobbiamo resistere alla ubiqua tendenza riduzionistica, all’idea che vi sia un punto oltre il quale non c’è più nulla di interessante») e ha annotato che nella sua allocuzione il Papa si propone come «una» voce etica dell’umanità: «Poiché il Papa non parla in base alla ragione etica bensì alla fede, non può pretendere una condivisione etica, ma nel discorso per la Sapienza egli non lo esige», ha detto. Quanto all’istituzione universitaria, ha proseguito il filosofo, «essa ha origine dal desiderio di verità e io trovo impeccabile il modo in cui papa Ratzinger presenta la propria dottrina sulla verità. Chiunque abbia a cuore questo tema deve prendere in seria considerazione il suo invito al coraggio della verità. Un invito, non una pretesa di adesione alla 'sua' verità».
Per Veca, insomma, il discorso del Papa non era diretto a «dividere» e quest’interpretazione è stata confermata da Serena Vitale, ordinario di lingua russa in Università Cattolica, la quale, attraverso l’analisi retorica, ha escluso «che venga individuato un potenziale avversario nell’interlocutore del discorso», sottolineando come la «musica del pensiero di Benedetto XVI proceda per domande: il contrario dell’atteggiamento di chi indottrina. Quella che emerge dal testo è, invece, l’umiltà dello studioso».
© Copyright Avvenire, 5 febbraio 2008
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