4 ottobre 2008

Una responsabilità comune tra Stato e Chiesa (Osservatore Romano)


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Una responsabilità comune tra Stato e Chiesa

di Francesco M. Valiante

Al Quirinale il Papa si sente nella "simbolica casa di tutti gli italiani". Dal luogo che - dopo essere stato per quasi tre secoli dimora dei Pontefici - finì per diventare "segno di contraddizione" tra la Chiesa e il nascente Stato unitario, Benedetto XVI vede oggi un Tevere meno largo. E due colli, il Vaticano e il Quirinale appunto, che non "si ignorano o si fronteggiano astiosamente". Ma "convivono pacificamente e collaborano fruttuosamente" al servizio della persona umana e della convivenza sociale. Come conferma Giorgio Napolitano parlando di "un rapporto di reciproco rispetto e di feconda collaborazione". Che, precisa, "non offusca in alcun modo la distinzione tra il politico e il religioso".
La visita del Papa al Presidente della Repubblica Italiana, nel giorno di san Francesco d'Assisi, ricambia quella analoga svoltasi in Vaticano il 20 novembre 2006. Ma non è certo un atto di mera cortesia istituzionale. La sobrietà del protocollo, l'accento posto sulla collaborazione e sul dialogo, la cordialità non formale dei gesti danno all'incontro "un valore ben più profondo e simbolico", come sottolinea lo stesso Benedetto XVI. Perché - gli fa eco Napolitano - mostra che la "piena aderenza ai valori della Costituzione" italiana che caratterizza l'attività istituzionale non esclude, anzi implica una "naturale sintonia" con il magistero della Chiesa. Attento, in particolare, alle situazioni di ingiustizia e di diseguaglianza sociale, al continuo riesplodere di focolai di guerra e di sofferenza, alla dignità umana calpestata "in tutte le sue forme e in tutti i luoghi", alla mancanza di solidarietà che - soprattutto su questioni delicate e complesse come quella degli immigrati - non può non chiamare in causa anche "le responsabilità e le scelte dei governi".
La "sintonia" tra Ratzinger e Napolitano è evidente, sostanziale. E si coglie soprattutto sul tema dell'emergenza educativa.
"Impresa" che permette di "costruire una società solidale realmente animata dal senso della legalità", la definisce il primo. "Nostra comune responsabilità" per riparare ai "guasti di una corrosiva caduta dell'etica nell'economia e nella politica", assicura il secondo. Ma i punti di contatto sono diversi e spaziano dai giovani al mondo del lavoro, dalla famiglia agli anziani, dalla povertà all'emarginazione, fino all'accoglienza degli immigrati. Papa Benedetto affida al Presidente la sua particolare sollecitudine per la tutela della libertà religiosa, che consente ai credenti "di fare la loro parte nella costruzione dell'ordine sociale". Napolitano ricorda con toni preoccupati l'allarme razzismo e ribadisce che "nulla può giustificare il disprezzo e la discriminazione".
Nessuna confusione o contrapposizione di piani nelle loro parole. La laicità è acquisita. Il Pontefice rassicura espressamente chi teme "una prevaricazione ai danni della libertà da parte della Chiesa e dei suoi membri". All'Italia - "permeata storicamente del retaggio ideale e della presenza viva del cristianesimo", riconosce lo stesso Capo dello Stato - non può far paura una comunità che ha come unico scopo quello di "servire l'uomo".

E chiede perciò soltanto che il suo apporto "venga da tutti accolto con lo stesso spirito di disponibilità con il quale viene offerto". Anche perché - ricorda Napolitano - "il senso della laicità dello Stato, quale si coglie anche nel dettato della Costituzione, abbraccia il riconoscimento della dimensione sociale e pubblica del fatto religioso". E come tale implica "non solo rispetto della ricerca che muove l'universo dei credenti e ciascuno di essi, ma dialogo". Un dialogo, avverte il Presidente, fondato sull'"esercizio non dogmatico della ragione" e sulla sua "naturale attitudine a interrogarsi e ad aprirsi". Che è esattamente la logica e il filo conduttore del pontificato ratzingeriano.

(©L'Osservatore Romano - 5 ottobre 2008)

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