20 settembre 2007

I media cattolici, “ponte” fra Chiesa e società


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Intervista a Dominique Quinio, Direttrice del quotidiano “La Croix”

PARIGI, mercoledì, 19 settembre 2007 (ZENIT.org).- I mezzi di comunicazione cattolici hanno la vocazione di fungere da ponte fra la Chiesa e la società, secondo Dominique Quinio, Direttrice del quotidiano cattolico francese “La Croix”.

“La Croix”, giornale fondato nel 1880 da alcuni religiosi assunzionisti, ha una tiratura quotidiana di più di 100 mila copie.
“Dobbiamo consentire alla società di capire meglio e comprendere meglio ciò che avviene in una istituzione come la Chiesa cattolica... E, per converso, dobbiamo permettere alle persone che si trovano all’interno della Chiesa di comprendere meglio il mondo in cui viviamo”, afferma Quinio in questa intervista rilasciata a ZENIT.

In che modo “La Croix” ha cambiato il suo modo di fare giornalismo cattolico?

D. Quinio: È l’ambiente che circonda “La Croix” che è cambiato: il mondo, la stessa Chiesa, le relazioni tra la Chiesa e la società. Si è passati da un periodo di confronto politico molto acceso, nel periodo in cui “La Croix” è stato fondato, a una società in cui la laicità è data per scontata, ma in cui tuttavia emergono dubbi sui rapporti tra la società e le religioni.
“La Croix” continua ad essere “La Croix”. Sebbene non esponga più il crocifisso in prima pagina, il suo titolo è esplicito e la sua ragion d’essere continua ad essere la stessa: essere un quotidiano di informazione di identità cattolica. La sua missione si esprime in un contesto che è mutato, in cui i professionisti sono cambiati e in cui le forme di comunicazione si sono evolute. I lettori non si aspettano di leggere nei giornali le stesse cose che si aspettavano di leggere più di 120 anni fa.

Qual è attualmente la sua specificità nel trattare gli avvenimenti del mondo?

D. Quinio: Il nostro “pane quotidiano” è l’attualità, l’informazione, ma come è noto questa informazione è sempre più abbondante. Per questo, come tutti i giornali, facciamo una scrematura, una selezione. La nostra specificità si concretizza da un lato nella scelta degli argomenti da trattare (o quelli da eliminare), dall’altro nel modo in cui trattarli.
Riguardo la selezione delle notizie, diciamo che privilegiamo tutti gli avvenimenti in cui è in gioco la sorte dell’uomo. Eventi internazionali, sociali o societari, fatti diversi in cui sono in gioco le persone che vivono nel mondo di oggi. Pertanto dedichiamo un’attenzione speciale alle questioni internazionali, ai Paesi più poveri; alle questioni - in Francia - relative all’emarginazione, alle diseguaglianze sociali, ma anche all’evoluzione delle scienze e della medicina, a ciò che tocca i confini della vita umana e che può porre in pericolo la dignità della persona.
Poi, evidentemente, diamo molta importanza alla dimensione spirituale delle persone e degli eventi. Si tratta di dare una chiave di lettura di ciò che avviene nell’attualità, di ciò che anima le persone e di ciò che spiega gli avvenimenti.
Riguardo al nostro modo di trattare le notizie, c’è un aspetto che ci piace particolarmente, anche se non è strettamente legato alla nostra identità, è la pedagogia: aiutare la gente a comprendere gli eventi. E farlo cercando di vedere le cose positive, evitando di dare una visione catastrofica del mondo che ci circonda; e ricordare che c’è gente che “agisce”. Questa è una dimensione che i lettori ci riconoscono. Non significa dipingere una realtà tutta rosa e fiori, negando le difficoltà e le tragedie, ma di dire “si può agire, è possibile cambiare le cose”. Significa coltivare la virtù della speranza.
Un altro elemento importante è quello del rispetto delle persone di cui si parla e a cui si parla. Essere coscienti delle nostre responsabilità quando pubblichiamo un articolo sul giornale.

Come gestite questo connubio tra informazione e opinione?

D. Quinio: Siamo un giornale di informazione e di convinzione. La nostra gerarchia tematica già dice qualcosa sulle nostre convinzioni. Nel nostro quotidiano vi è una separazione molto netta tra l’informazione e i commenti. Le prese di posizione sono contenute negli editoriali e nei commenti, mentre l’informazione viene data con la maggiore precisione e onestà possibile. Non dico che ci riusciamo sempre. Ma ci proviamo.

Il numero dei francesi che si dichiarano cattolici è passato dal 71% del 1981, al 59% di quest’anno. Si parla di crisi del Cattolicesimo in Francia. Come vive “La Croix” questo indebolimento del Cattolicesimo?

D. Quinio: Effettivamente ci troviamo in un doppio “mercato” in crisi: crisi dei cattolici praticanti, che sono il vivaio dei nostri lettori, e crisi della stampa quotidiana che oggi in Francia non è in gran forma.
Ciò nonostante, constatiamo che in questo doppio contesto “La Croix” progredisce nella sua diffusione. Questo dimostra, oggi più che mai, che il nostro quotidiano, come gli altri giornali che hanno un’identità forte, trovano spazio e hanno qualcosa di originale da dire, un senso da dare, in mezzo ad un’offerta di massa e indifferenziata di informazione, soprattutto su Internet.
Ogni informazione che si identifica chiaramente e che non cerca di mascherarsi, rappresenta una garanzia per i lettori interessati, indipendentemente dalle proprie convinzioni. Personalmente non sono del tutto pessimista.

Questo comporta delle conseguenze nel modo in cui trattare gli argomenti?

D. Quinio: Senza dubbio. Per esempio sono convinta che oggi un tema di informazione religiosa istituzionale non viene trattato come veniva trattato ad esempio trent’anni fa, quando il contesto culturale era tale per cui la gente aveva una formazione, conosceva il senso delle parole, ecc. Oggi i lettori, compresi quelli molto convinti e praticanti, non hanno le basi di conoscenza che potevano avere i nostri abbonati di un tempo. Dobbiamo lavorare specialmente sulla pedagogia, sulla formazione.
In una società come la nostra, caratterizzata da una sorta di “prêt-à-penser”, credo che vi sia, oggi più che mai, spazio per voci ben chiare e affermate. Da sempre la preoccupazione di “La Croix” è stata quella di stabilire un dialogo, lanciare ponti tra la Chiesa e la società. Un dialogo, un ponte, che ha un doppio senso di marcia: dobbiamo consentire alla società di capire meglio e comprendere meglio ciò che avviene in una istituzione come la Chiesa cattolica e cercare di far vivere i valori e la parola del Vangelo. E, per converso, dobbiamo permettere alle persone che si trovano all’interno della Chiesa di comprendere meglio il mondo in cui viviamo e che può eventualmente intimorire o sembrare troppo lontano dalle proprie convinzioni e dai propri valori.
Quanto più sembrano allontanarsi gli universi, gli uni dagli altri, tanto più sono necessari i ponti. E io sono convinta che noi, media cattolici, rappresentiamo un ponte.

Di fronte a una secolarizzazione sempre più diffusa, Papa Benedetto XVI ha incoraggiato recentemente i media cattolici a dare un contributo decisivo. Come accoglie questa chiamata?

D. Quinio: Noi abbiamo la pretesa di cercare di rispondere a questa richiesta e di aver risposto già prima che ci venisse ricordata. Ma a modo nostro, che è il modo giornalistico. Siamo giornalisti, siamo un mezzo di comunicazione, non una facoltà di teologia e non siamo pastori. Svolgiamo un ruolo di mediatori e di ponte, come dicevo. Contribuire con questa missione significa fare in modo che venga riconosciuta la qualità di un mezzo di comunicazione cristiano nel mondo mediatico di oggi; fare in modo che possa essere un punto di riferimento; fare in modo che venga citato regolarmente dalla stampa; portare in prima pagina argomenti originali, profondi, che abbiano senso e che siano importanti per la Chiesa; portare alla luce i valori evangelici e i testimoni che li vivono.

Che posto ricopre il giornale “La Croix” tra gli altri media cattolici nel paesaggio mediatico attuale?

D. Quinio: Il nostro giornale viene considerato al contempo professionale e schierato. In una società che tende a screditare chi manifesta una convinzione religiosa, “La Croix” viene invece preso sul serio.
In Francia abbiamo a disposizione una gamma di riviste e media cattolici di grande qualità. Mi sembra che sia una realtà evidente. Lo vedo nei giovani giornalisti in cerca di occupazione: si sentono attratti soprattutto da questo tipo di pubblicazioni, indipendentemente dalle proprie convinzioni, perché sentono che in esse si fa quel tipo di giornalismo che essi sognano di fare.

Qual è, in questo contesto, la maggiore sfida che la stampa cattolica deve affrontare?

D. Quinio: Potrebbe essere quella di convincere i potenziali lettori che è importante comprendere bene il mondo in cui si vive, che non bisogna nascondersi sotto le coperte, per una specie di timore di fronte a questa società che sembra complicata e ostile o troppo indifferente e violenta. È il dovere affidato ad ogni cristiano: vivere in questo mondo, amarlo e fare di tutto perché cambi. Ma questo non è possibile se il mondo non lo si comprende, se non lo si decifra e se non ci si impegna con esso; se non si è informati su di esso.

La comunicazione tra la Chiesa e i media secondo lei dovrebbe migliorare?

D. Quinio: Forse sono i livelli di comunicazione che dovrebbero cambiare. Prima, quando il Papa doveva esprimersi, pubblicare un’enciclica o un testo importante, vi era una sorta di divisione dei compiti: tutto un corpo di sacerdoti, di vescovi, facevano da mediatori e accompagnavano l’insegnamento magistrale con un linguaggio pastorale.
Oggi i testi ufficiali sono rivolti direttamente al pubblico e sono immediatamente ritrasmessi dai mezzi di comunicazione, ma spesso in modo sintetico e rozzo. Bisognerebbe tenere conto di questa differenza: prendere la parola (e c’è chi lo fa molto bene) implica una dimensione dottrinale, una dimensione educativa e una dimensione pastorale. Sarebbe poi forse necessario anche uno sforzo di semplificazione del linguaggio. Ripeto: fatta eccezione dei mezzi di informazione (ma non tutti sono competenti in questo ambito) non esistono più intermediari fra la parola pronunciata e la ricezione da parte della gente, la quale spesso non dispone degli strumenti necessari per decifrarla. Sarebbe necessario che questi strumenti di lettura fossero forniti all’origine.

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