14 settembre 2007
Mons. Crepaldi: è ora di tornare con calma sulla lectio magistralis di Ratisbona
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La Lectio magistralis di Benedetto XVI a Regensburg un anno dopo
Intervista a monsignor Giampaolo Crepaldi
ROMA, venerdì, 14 settembre 2007 (ZENIT.org).- Il 12 settembre 2006, in occasione del suo viaggio apostolico in Baviera, Benedetto XVI pronunciò nell’Aula Magna dell’Università di Regensburg la famosa Lectio magistralis dal titolo “Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni”.
Tutti ricordano l’ampia risonanza che ebbe quel discorso e le polemiche, talvolta molto aspre, che ne seguirono. Ad un anno di distanza, sopiti gli animi, quel Discorso appare come una pietra miliare negli insegnamenti del Pontefice, nella stessa vita della Chiesa.
Secondo monsignor Giampaolo Crepaldi, Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, “il suo contenuto intrinseco, al di là delle interpretazioni forzate, la densità del pensiero presupposto ed espresso ne fanno un documento assolutamente imprescindibile, denso di indicazioni di grande respiro circa il rapporto tra la fede cristiana e la ragione umana, tra la Chiesa e il mondo, tra il cristianesimo e le altre religioni”.
Per approfondire il messaggio lanciato dal Papa in quell'occasione, ZENIT ha chiesto a monsignor Crepaldi, che è anche Presidente dell’Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuân”, di commentare quel testo breve ma ponderoso.
Eccellenza, secondo lei la Lectio magistralis di Regensburg è da considerarsi un fatto nuovo nel magistero di questo Papa, oppure come la naturale continuità di quanto già detto in precedenza?
Mons. Crepaldi: Ambedue le cose. La Lectio di Regensburg è un testo di rara efficacia e di grande valore sia teoretico che comunicativo. Nello stesso tempo essa non fa che riproporre, in forma particolarmente incisiva, gli insegnamenti precedenti di Benedetto XVI, compresa l’enciclica Deus caritas est e, direi anche, molti aspetti della teologia di Joseph Ratzinger, a cominciare dal famoso libro Introduzione al Cristianesimo del 1969, che già conteneva tutte le idee espresse a Regensburg.
Crede che le polemiche sorte in seguito al Discorso di Regensburg ne hanno impedito una conveniente ricezione?
Mons. Crepaldi: Credo che le polemiche, nonostante spesso le loro motivazioni non trovassero fondamento nel testo del Discorso del Papa, sono state comunque espressione del riconoscimento della forza veritativa contenuta nel Discorso. A Regensburg il Papa non si è attardato su questioni marginali, ma ha colto in pieno il problema di fondo che consiste nella pretesa cristiana di essere la religione vera. Anche se detto con carità – perché il cristianesimo è anche la religione dell’amore – questo suona male a tante orecchie.
Le polemiche hanno attirato tutti gli sguardi sull’Islam. Questo, secondo lei, ha distolto l’attenzione da altri elementi importanti del Discorso?
Mons. Crepaldi: A livello di opinione pubblica penso di sì. Per questo c’è bisogno di ritornare sulla Lectio con calma. Del resto lungo questo anno che si separa dal 12 settembre 2006, sono stati innumerevoli i libri, i Convegni di alto livello, i numeri monografici di Riviste dedicate al tema di Regensburg. Segno che i problemi segnalati dal Papa non sono di superficie. Un tema, secondo me, è rimasto un po’ in ombra, fagocitato da altri aspetti. All’inizio del suo Discorso il Papa parla della “coesione interiore del cosmo della ragione”, ossia, potremmo dire con una vecchia espressione, dell’unità del sapere. Un tempo l’Università viveva di questa convinzione, oggi non è più così. Vorrei ricordare che la Fides et Ratio sostiene che tale mancanza produce smarrimento nell’uomo e contemporaneo e proprio in una ripresa dell’unità del sapere aveva indicato il grande orizzonte di impegno degli intellettuali cristiani per il nuovo millennio.
Questo problema del dialogo tra le discipline, l’unità del sapere, come lo chiama lei, è possibile da conseguirsi senza la fede cristiana, attraverso quindi la sola ragione?
Mons. Crepaldi: Questo è uno dei temi principali sottesi alla Lectio di Regensburg. e che la ricollega alla “purificazione” della ragione di cui il Papa parla nella Deus caritas est. Ad Aparecida il Papa ha detto che non tenendo conto di Dio la stessa conoscenza della realtà diventa impossibile. La dimensione trascendente assicurata dalla fede è quindi indispensabile affinché la ragione non si chiuda in se stessa, iniziando così un processo di “autolimitazione” che non può non finire nel relativismo nichilista. La fede, come afferma la Fides et Ratio, spinge la ragione a non fermarsi mai. In questo modo la salva da se stessa permettendole di essere se stessa, ossia la purifica.
Non trova che ci sia una contraddizione tra quanto affermato dal Papa a Regensburg e quanto appena detto da lei? A Regensburg il Papa ha indicato nella ragione la possibilità di “valutare” le religioni perché ciò che non è razionale non viene dal vero Dio. Lei invece sta dicendo che è la fede a valutare la ragione distinguendo tra una ragione chiusa ed una aperta alla trascendenza...
Mons. Crepaldi: Non c’è nessuna contraddizione. La fede cristiana pone la pretesa della propria verità e così accetta di essere esaminata dalla ragione. In questo modo, però, essa pone anche il problema della verità della ragione e invita la ragione a guardare dentro se stessa. Una ragione “autolimitata”, come quella razionalista o positivista o nichilista, non è in grado di esaminare la religione per il semplice fatto che non è nemmeno ragione, avendo perso l’idea stessa della propria verità. La fede cristiana accetta di essere esaminata dalla ragione nella sua pienezza, ma tale ragione nella sua pienezza, per esserlo, deve essere aperta alla verità trascendente.
Quindi, il Papa ribadisce il primato della fede anche nel momento in cui afferma che il cristianesimo accetta di essere esaminato dalla ragione?
Mons. Crepaldi: Diciamo che la ragione ha la propria autonomia logica e metodologica, il che rende possibili le varie scienze e nello stesso tempo la loro unità. Tuttavia se la ragione non si fa continuamente aiutare a respirare da un rapporto dialogico con la fede essa inevitabilmente rischia l’asfissia. Parafrasando una frase di Maritain (in Le Paysanne de la Garonne) se la ragione crede di dover chiudere la fede in una cassaforte si mutila da sé. Il bello è che anche se essa chiude la fede nella cassaforte, usa lo stesso una fede. Ecco perché Benedetto XVI ha affermato nei suoi scritti che senza Dio si cade preda degli déi. E questo accade anche per la ragione. Per esempio, il razionalismo o il positivismo, nonostante il parere contrario degli esponenti filosofici di queste due correnti, hanno alla base una fede nel potere assoluto e addirittura salvifico della ragione e della scienza.
La fede, quindi, sta sempre all’inizio, sia per il credente che per il non credente?
Mons. Crepaldi: Direi proprio di sì. Per un motivo semplice e drammatico nello stesso tempo: ogni uomo – scriveva Ratzinger già nel 1969 – deve in qualche maniera prendere posizione di fronte al settore delle decisioni fondamentali. La stessa questione se la ragione sia assoluta oppure no è, prima di tutto una questione di fede, senza escludere naturalmente il successivo apporto della ragione stessa. Senza la fede la ragione non può sapere cosa essa sia.
Nel dialogo con le altre religioni viene prima la fede o la ragione?
Mons. Crepaldi: Leggendo con attenzione la Lectio di Regensburg, ritengo che anche qui il punto di partenza sia la fede. Però da come la fede pone il ruolo della ragione nel dialogo interreligioso, si capisce anche la sua verità e la verità dello stesso dialogo. Anche il dialogo se non è vero non viene da Dio. Per essere vero il dialogo richiede di essere animato dalla verità della ragione che si riconosce nella verità della fede.
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