18 ottobre 2007

Mons. Masseroni commenta la catechesi del Papa su Sant'Eusebio


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Masseroni: «Eusebio ci insegna uno stile ancora attuale»

DI MATTEO LIUT

Non un intellettuale chino sui libri ma un pastore che è riuscito a entrare nel cuore della sua gente tanto che ancora oggi, a 17 secoli di distanza, la comunità cristiana di Vercelli si identifica in lui, e al neutrale aggettivo «vercellese » preferisce usare per sé quello più significativo di «eusebiana ». Monsignor Enrico Masseroni, che oggi siede sulla cattedra che fu di Eusebio, alla guida dell’arcidiocesi di Vercelli, commenta con vivo orgoglio il legame che avvicina la Chiesa piemontese di oggi al suo protovescovo. «I suoi tratti, il suo genio pastorale – sottolinea il presule, soffermandosi sulle parole pronunciate dal Papa ieri all’udienza generale, che ha dedicato la sua catechesi proprio a questo vescovo del IV secolo – hanno contribuito a creare un vero e proprio tessuto religioso, culturale e artistico che ancora oggi caratterizza la comunità cristiana locale».

Monsignor Masseroni, ieri il Papa ha ripercorso alcuni tratti dell’opera di Eusebio. In che modo la sua figura è ancora attuale?

È un’attualità che si può riassumere in quattro aspetti principali che dimostrano il suo «genio pastorale». Il primo è di certo l’intuizione della centralità della Parola di Dio: intuizione dimostrata dal fatto che tradusse i quattro Vangeli dal greco al latino in un’epoca in cui la gente non capiva più il greco. Qui a Vercelli custodiamo una preziosa testimonianza di questo impegno, l’evangeliario di Eusebio. Seconda intuizione, che dice tutta l’attualità di questo vescovo, è stato il cenobio che lui ha voluto attorno a sé e che era una specie di Seminario ante litteram.
Una scelta che fu una vera e propria novità per il suo tempo.

Perché una novità?

Anche altri vescovi avevano costituito comunità monastiche al cuore delle loro diocesi, ma Eusebio la pensò come una realtà il cui obiettivo era quello di formare degli evangelizzatori attraverso il contatto con la Parola di Dio. Da qui, come ha ricordato Benedetto XVI, sono usciti anche molti dei vescovi che poi avrebbero guidato comunità piemontesi e delle regioni vicine. Terzo tratto caratteristico, e ancora attuale, dell’opera di Eusebio fu lo stile del suo ministero sia all’interno della comunità cristiana che all’esterno.

Quali i capisaldi di questo stile?

Prima di tutto la rigorosa fedeltà al credo niceno in anni in cui l’ortodossia era minacciata dall’eresia ariana. Poi, nei rapporti con le autorità civili, la volontà di mantenere la libertà della comunità dei credenti in un tempo in cui gli imperatori volevano trasformare la Chiesa in una loro provincia. Infine, ancora una volta, un modo di fare che lo distinse anche dagli altri vescovi del suo tempo: aveva scelto, infatti, la carità e l’amabilità per evangelizzare e persuadere.

Nasce da qui l’attenzione per chi è «fuori dalla Chiesa», ricordata anche dal Papa ieri durante la catechesi?

Sicuramente. E questo tratto va affiancato al quarto aspetto della sua opera: l’estrema coerenza che lo portò a pagare di persona per la sua fedeltà all’ortodossia. Una testimonianza di vita che gli costò l’esilio e anche la tortura; tanto che, sebbene Eusebio non morì martire, viene venerato come tale. Le lettere citate dal Papa , tra l’altro, furono scritte proprio durante il periodo più difficile del suo ministero, l’esilio a Scitopoli.

Di Eusebio, oltre che la grande tradizione nella quale la Chiesa vercellese si riconosce, cosa è rimasto nel volto della comunità cristiana piemontese?

C’è la sensazione di vivere come una «minoranza», proprio come ai tempi del protovescovo, quando i cristiani erano il 10 per cento. In questo momento, quindi, è necessario guardare ai tratti del suo «genio pastorale e umano» per animare l’opera di evangelizzazione odierna.

© Copyright Avvenire, 18 ottobre 2007

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