9 dicembre 2007

"Spe salvi", "La poesia della speranza": i commenti di Luca Doninelli e Roberto Mussapi


Vedi anche:

L'ENCICLICA "SPE SALVI": LO SPECIALE DEL BLOG

Norma anti-omofobia c'è un errore nel decreto

"Spe salvi", Umberto Berardo: "È un Papa esigente quello che chiede ai battezzati fede profonda nel Dio dell'amore"

Intervista al cardinale Tauran: Islam, Ratisbona e gocce di veleno (Rodari per "Il Riformista")

Angela Ambrogetti commenta per "Korazym" l'omaggio del Santo Padre alla Madonna Immacolata

SOLENNITA' DELL'IMMACOLATA CONCEZIONE: LO SPECIALE DEL BLOG

IL PAPA RENDE OMAGGIO A MARIA IMMACOLATA: I VIDEO E LA FOTOGALLERY

Il Papa all'Angelus: salvare i bambini! A Piazza di Spagna: siamo fratelli gli uni degli altri

Ferrara batte Vattimo e Flores dieci a zero!

Rondoni (Avvenire) sulla norma bavaglio antiomofobia: "Scardinare maschile e femminile, delirio d’onnipotenza"

Il Papa: Maria ci invita a costruire insieme un mondo più giusto e pacifico. Affollata all'inverosimile la scalinata di Piazza di Spagna

Nota di commento di padre Lombardi alla lettera del Papa in risposta alla missiva dei 138 leader musulmani

Vangelo di Giuda, smascherati gli errori di traduzione (Avvenire)

Norma bavaglio sull'omofobia: lo speciale di "Avvenire" (il pericolo di introdurre il "reato di opinione" è concreto)

Che tristezza quando i ragazzi smarriscono lo stupore, l’incanto dei sentimenti più belli, il valore del rispetto del corpo!

Prof. Raynaud (Sorbona): "la Spe salvi è una combinazione di vero pensiero e di vera fede. Rende intelleggibile il Cristianesimo ai non credenti

Norma bavaglio sull'omofobia, prof. D'Agostino: conseguenze pesantissime su matrimonio ed adozione di figli (Radio Vaticana)

Norma bavaglio sull'omofobia: chi rischia il carcere? Mons. Fisichella: il voto della Binetti coraggioso e COERENTE!

Norma bavaglio sull'omofobia: senatori come Guido da Montefeltro, infilato all'Inferno da Dante?

MicroMega e Repubblica attaccano Papa e Chiesa ma le argomentazioni non convincono più alcuno...(Ferrara docet)

Il metropolita Kirill all'Osservatore Romano: "L'incontro con Benedetto XVI è una tappa molto positiva verso l'unità"

ENCICLICA "SPE SALVI": GIA' VENDUTE UN MILIONE DI COPIE

"Spe salvi", Giuliano Ferrara per Panorama: "La salvezza non è la salute"

LA POESIA DELLA SPERANZA

Doninelli: «L’io non si attenua, ma si realizza nella sua pienezza»

DI LUCA DONINELLI

La nuova lettera enciclica Spe salvi di Papa Benedetto XVI è così elo­quente, così persuasiva e perciò av­vincente, così bella di una bellezza che ri­luce dal suo interno, da dentro le parole e le frasi, ma che sta prima di tutte le pa­role, che il solo esercizio degno dovrebbe essere quello di leggerla e rileggerla.

C’è in essa – se posso permettermi – un gu­sto del vivere dove l’intelligenza e la for­za argomentativa attingono a un’eviden­za che ha già cominciato a mostrarsi nel­l’esperienza umana, qui e ora, e che atte­sta nella realtà quello che il genio di Pla­tone riuscì a intuire, quan­do mise in bocca a Socra­te morente (ma quella era solo letteratura) le famose parole: «Ricorda, Critone: dobbiamo un gallo a E­sculapio ». Come si potreb­be, del resto, parlare della speranza se il suo conte­nuto non avesse già co­minciato a manifestarsi?

Saremmo dei pazzi, o al più dei visiona­ri.
La lettera del Papa contiene diversi giu­dizi e un’acuta analisi circa le trasforma­zioni che l’idea di speranza ha subìto, spe­cialmente nell’epoca moderna.
Che co­s’è la speranza? Un amico sacerdote me l’ha riassunta così: la speranza è il senti­mento che domina l’animo del centurio­ne evangelico dal momento in cui ha la­sciato Gesù (che gli aveva garantito la gua­rigione del servo malato) fino al momen­to in cui, entrato nel suo alloggio, non con­stata l’avvenuta guarigione. Mentre se ne andava solo per la strada, quel centurio­ne era forse dubbioso? Diceva tra sé: «Chissà se sarà vero»? No. Noi lo vediamo camminare pieno di gioiosa fiducia, cer­to che Gesù ha compiuto ciò che aveva detto. Quel centurione aveva tutte le ra­gioni per credere che il miracolo era sta­to compiuto. E perché aveva queste ra­gioni? Perché incontrando Cristo aveva incontrato sé stesso fino in fondo, fino a quel fondo in cui 'io' non è più 'io', ma un 'tu', una compagnia. Ecco perché quel centurione, mentre se ne andava so­lo, in realtà sapeva di non essere solo.
Sa­peva che non sarebbe stato mai più solo. Ecco perché era fiducioso nella guarigio­ne del servo: perché il primo miracolo, il più grande, Gesù l’aveva già fatto a lui.
Tutta la Spe salvi è piena di questa stessa fiducia, e la comunica a noi con sempli­cità e profondità. Benedetto XVI conosce molto bene la modernità, che ha ri­dotto l’idea di salvezza a qualco­sa di individuale, ossia di intimi­stico, di privato. A qualcosa che non opera nella realtà. Ma noi ci salveremo insieme
. In que­sta affermazione non c’è nes­sun comunitarismo, nessu­na idea collettivista. C’è, in­vece, il senso del legame tra l’uomo e Dio. Ciò che l’uo­mo, nei secoli, ha rappre­sentato attraverso immagi­ni, in realtà è un grido del cuore che non ha immagini.
È un balbettio, un 'gemito i­nesprimibile', con il quale noi esprimiamo il desiderio di vive­re eternamente, ma non secondo l’immagine di vita eterna che pos­siamo costruirci da soli. È qualco­­s’altro, qualcosa di cui possiamo dire solo che è altro, altro da tutto. Questo al­tro, che è Dio stes­so, si è fatto cono­scere, è diventato un uomo registra­to all’anagrafe, cresciuto a Naza­reth e vissuto ne­gli ultimi tre anni della sua vita tra Cafarnao e Gerusalemme. Lui ha reso più limpida la natura del nostro grido – che è, appunto, nostro, come nostro è il Padre: 'nostro' perché attiene alla ve­rità ultima di ciascun uomo.
Individualismo e intimismo na­scono da una spersonalizzazio­ne di cui l’uomo è stato fatto og­getto nell’età moderna. Per capi­re il noi della speranza (con gli e­sempi enormi che la storia ci dà, dai martiri alle rinunce di tanti san­ti, come Francesco d’Assisi) non dobbiamo pensare a un’attenuazio­ne dell’io, ma alla sua pienezza: è nel­la pienezza dell’io che si rivela più a­pertamente la sua dipendenza. Nell’i­dea di una salvezza comune non c’è, dunque, alcun comunitarismo: c’è la certezza semplice del centurione, che cammina, nella sera, in una terra stra­niera, ma felice perché sa di non essere mai più solo, e sa che questo è vero per tutti, per sempre.

© Copyright Avvenire, 8 dicembre 2007


Mussapi: «Attraverso il buio l’arte narra la luce che verrà»

DI ROBERTO MUSSAPI

«La mia pena è durare oltre quest’atti­mo ». Con questo verso memorabile si conclude una delle più grandi poe­sie del Novecento e non so­lo, Aprile-Amore di Mario Luzi. Si conclude la composizione, ma non il tempo a cui essa ha dato inizio: la poesia, come è stato detto, ha inizio nel­l’attimo in cui la sua lettura è ulti­mata. L’attimo di compresenza con l’assoluto (concesso a Dan­te al culmine del suo viaggio, rac­contato magni­ficamente da Benigni in tele­visione l’altra sera) è una pie­nezza che fa desiderare il non ritorno, secondo la logica. Ma, come nel verso di Luzi, quella pena trabocca di beati­tudine perdurante, compren­diamo che un’altra realtà, al­tra ma prossima, si è svelata, e da quel momento la certez­za della sua esistenza non ci mollerà più. È questa forse la speranza, che non nasce da un puro desiderio (senza il quale comunque non sareb­be concepibile) ma dal suo fugace, attimico appaga­mento: qualcosa di un tutto ulteriore e benefico è stato appercepito, e, se pure su­bito svanito, ora sappiamo che il tutto a cui appartiene esiste.

La speranza, sembra dire l’enciclica di Benedet­to XVI, (sembra all’incom­petente di teologia quale chi scrive queste righe), non solo una aspettativa, ma l’attesa di qualcosa che ha già dato prova di esistere. La fede, inscindibile dalla speranza, non è de­siderio folle, ma visione di qualcosa che può sfuggire ma può anche es­sere colto, nell’attimo. Speranza quin­di è aspettativa di qualcosa che ha già dato prova di sé.

La poesia è forse la disciplina e l’arte in cui questo concetto di speranza si manifesta nella sua natura dramma­tica: il 'naufragar' di Leopardi nel­l’infinito notturno non è desolato, co­me non lo è l’abbandono di Ugo Fo­scolo al crepuscolo, che, anticipan­do la sera, lenisce le pene del tempo quotidiano. «Dorme lo spirto guer­rier ch’entro mi rugge» è un verso che non indica una resa o un’evasione, ma un’iniziazione, traverso il buio, al nuovo giorno, un fondamento di spe­ranza.
Non a caso Benedetto XVI inscena storicamente la nascita della speran­za, in un mondo dominato da una Roma in cui gli dei greci, peraltro mai forieri di speranza ultraterrena, sono sviliti a maschere, la religione ufficiale dell’imperatore non è credibile, solo i grandi poeti cercano altre vie, Lu­crezio nella Natura atomistica, Ovidio in miti orientali di metamorfosi, miti metafisici, Virgilio in un presentimento in­triso di compassione. La parola speranza si fa strada ma si fa an­che realtà, riempie un vuoto reale. La spe­ranza quindi non è u­na pia illusione, ma u­na realtà impalpabile quanto fonda­ta. Una sorta di fortuna che però è anche giusta, equanime e non ca­pricciosa.
In poesia, nella grande letteratura, la speranza appare spesso in altra ve­ste, o con uno pseudonimo, poiché molte volte si manifesta in forma di resistenza. Prima ancora di sperare il poeta resiste: ma la sua resistenza è conseguenza di un’acquisizione av­venuta, se pur per vie non logiche ma più potenti, intuitive: Dylan Thomas conclude una poesia leggendaria con il verso « And death shall have no do­minion»: 'E la morte non avrà domi­nio'.
La speranza non può ridursi a desi­derio di sopravvivenza in una forma nota, destinato a frustrazione dolo­rosa: ma a persistenza, o rigenera­zione, in una forma modificata e i­gnota. La speranza forse è soprattut­to non avere paura di questo avveni­mento ignoto, fidarsi della sua pro­messa, della sua prova.

© Copyright Avvenire, 8 dicembre 2007

Nessun commento: