9 febbraio 2008

Cinque musulmani in Vaticano. A preparare l'udienza col Papa (Magister)


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Cinque musulmani in Vaticano. A preparare l'udienza col papa

Sono i rappresentanti della "lettera dei 138" scritta a Benedetto XVI lo scorso ottobre. Ecco chi sono e da dove vengono. Uno di essi, Yahya Pallavicini, racconta in un libro come si può vivere da musulmani in un paese cristiano, in pace tra le due religioni

di Sandro Magister

ROMA, 6 febbraio 2008 – Tra un mese, il 4 e 5 marzo, si terranno a Roma i primi incontri preparatori dell'annunciata visita in Vaticano di una rappresentanza delle 138 personalità musulmane che nell'ottobre del 2007 hanno indirizzato al papa e ai capi di altre confessioni cristiane una lettera con una offerta di dialogo, dal titolo: "Una parola comune tra noi e voi".

Le riunioni si svolgeranno presso il pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, presieduto dal cardinale Jean-Louis Tauran. L'agenda prevede che, a partire dalla prossima primavera, i rappresentanti dell'islam incontreranno Benedetto XVI e altre autorità della Chiesa. E terranno sessioni di studio in istituti come la Pontificia Università Gregoriana e il Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica, in sigla PISAI, presieduto da padre Miguel Angel Ayuso Guixot.

La delegazione musulmana sarà composta da cinque studiosi di altrettante nazioni:

Ibrahim Kalin, turco, direttore ad Ankara della Fondazione SETA e professore a Washington alla Georgetown University;

Abd al-Hakim Murad Winter, inglese, professore di studi islamici alla Shaykh Zayed Divinity School dell'università di Cambridge e direttore del Muslim Academic Trust del Regno Unito;

Sohail Nakhooda, giordano, direttore di "Islamica Magazine", rivista internazionale edita negli Stati Uniti;

Aref Ali Nayed, libico, membro dell'Interfaith Program della Faculty of Divinity dell'università di Cambridge, già docente all'International Institute for Islamic Thought and Civilization della Malesia e al Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica di Roma;

Yahya Sergio Yahe Pallavicini, italiano, imam della moschea al-Wahid di Milano, presidente del Consiglio ISESCO per l'educazione e la cultura in Occidente e vicepresidente della Comunità Religiosa Islamica d'Italia, in sigla COREIS.

Tutti fanno parte del gruppo di esperti coordinato, da Amman, dal principe di Giordania Ghazi bin Muhammad bin Talal, presidente dell'al-Bayt Institute for Islamic Thought, primo promotore della lettera dei 138 e protagonista dello scambio di lettere avvenuto in novembre e in dicembre con Benedetto XVI, tramite il cardinale segretario di stato Tarcisio Bertone, in preparazione dei futuri incontri.

Dei cinque, quelli più conosciuti dalle autorità e dagli esperti vaticani sono Aref Ali Nayed e Yahya Pallavicini.

Nayed – ben noto anche ai lettori di www.chiesa che ha pubblicato diversi suoi testi in anteprima – è in campo islamico uno dei massimi esperti della filosofia occidentale e della teologia cristiana. Ha studiato alla Gregoriana, oltre che in università degli Stati Uniti e del Canada, e conosce come pochi la "Summa Theologiae" di san Tommaso d'Aquino. Della lettera dei 138 è uno dei principali estensori. Ed è l'autore di una lettera anch'essa importante con la quale ha risposto al messaggio rivolto ai musulmani dal cardinale Tauran in occasione dell'ultimo ramadan.

Ma anche Yahya Pallavicini è da tempo un interlocutore di rilievo, per le autorità e gli esperti vaticani.

Suo padre, Abd al-Wahid Pallavicini, abbracciò la fede musulmana nel 1951, al pari di altri intellettuali europei passati in quegli anni all'islam nella scia del metafisico francese René Guénon. Nel corso di un lungo viaggio in Oriente entrò a far parte della confraternita sufi Ahamadiyyah Idrissiyyah Shadhiliyyah, contrapposta all'islamismo settario wahabita che tuttora impera in Arabia Saudita, confraternita di cui divenne poi maestro in Italia. Ad Assisi, nel 1986, Abd al-Wahid Pallavicini prese parte all'incontro di preghiera tra i leader delle religioni convocato da Giovanni Paolo II. Il suo sogno è di edificare a Milano "una piccola Gerusalemme che veda uniti nella preghiera i figli di Abramo: ebrei, cristiani e musulmani". La sua fede incrollabile è che l'islam sia "l'ultima e definitiva espressione di quella tradizione primordiale che ha fondato, conferma e vivifica le precedenti rivelazioni".

Yahya Pallavicini, 43 anni, è nato musulmano ed è oggi conosciuto in Italia tra i principali esponenti dell'islam colto, democratico, "moderato", assieme all'algerino Khaled Fouad Allam e alla marocchina Souad Sbai. Da altre personalità musulmane con i quali si trova spesso in sintonia – il più noto in Italia è l'egiziano Magdi Allam – si distingue sotto il profilo religioso. A differenza di Magdi Allam, che non pratica la religione in cui è nato ed esprime un islam decisamente secolarizzato, Yahya Pallavicini è musulmano osservante e fervente, anzi, è imam di una moschea a Milano, è leader di una comunità di italiani convertiti all'islam, attivi in varie città, ed è impegnato in corsi di formazione di nuovi imam.

Dal 2006 è consigliere del ministero dell'interno italiano per la Consulta dell'islam. È critico inflessibile delle derive violente del pensiero e della pratica musulmana. Ha scritto e detto più volte in pubblico – cosa rara e spesso rischiosa da parte di un musulmano – che "gli atti di violenza non trovano legittimazione alcuna negli insegnamenti del profeta Muhammad o dei sapienti". Ha più volte fermamente condannato "la strumentalizzazione della shari'ah, la legge islamica, per creare un mondo parallelo e alternativo, che rifiuta di integrarsi col sistema occidentale". Ha denunciato "la cultura dell'odio" che trasuda dalla predicazione fatta in molte moschee d'Italia e d'Europa da parte di imam "che sono in realtà dei sobillatori politici che non hanno nulla di autenticamente islamico".

Viceversa, egli è convinto assertore di un dialogo positivo con l'ebraismo e il cristianesimo. Nel 2005 ha contestato pubblicamente la fatwa, la disposizione giuridica emessa dagli schermi della tv al-Jazeera da uno dei più influenti leader mondiali dell'islam fondamentalista, lo Shaykh Yusuf al-Qaradawi, che vietava ogni dialogo con gli ebrei. La questione si è riproposta nei giorni scorsi in Italia, quando all'improvviso, per un ordine venuto dall'università egiziana di al-Azhar, i rappresentanti della Grande Moschea di Roma hanno dovuto cancellare una loro visita – la prima – in programma il 23 gennaio nella sinagoga ebraica della stessa città.
Queste critiche sono tutte ribadite in un libro che Yahya Pallavicini ha pubblicato di recente in Italia, dal titolo: "Dentro la moschea".
Ma in questo stesso libro c'è moltissimo di più. C'è, in positivo, il racconto di una comunità musulmana in Italia accompagnata nei luoghi e nei tempi della sua vita religiosa: la moschea, chi la frequenta, come e quando si prega, il ramadan, il matrimonio, il velo, la scuola, la nascita, la morte, il pellegrinaggio alla Mecca. È la comunità sufi alla quale Yahya Pallavicini appartiene, molto distante dall'immagine dell'islam che domina i media, anzi, spesso ostacolata e avversata, in lotte fratricide, dagli esponenti di questo islam fondamentalista e aggressivo.
Nel suo libro, Yahya Pallavicini dà voce a molti suoi fratelli di fede. Un'intera sezione raccoglie le prediche pronunciate in moschea il venerdì da venticinque imam italiani. Un'altra sezione allinea delle storie di vita: di un imprenditore, di un violinista, di un pittore, di uomini e donne convertiti all'islam nel cuore dell'Occidente. Uno di questi convertiti, Ahmad Abd al-Wahliyy Vincenzo, ha inaugurato una cattedra di storia della civiltà e del diritto islamico all'Università Federico II di Napoli. Conclude così il suo racconto: "Una volta, dopo un esame, uno studente mi disse una cosa di cui vado fiero: Caro professore, deve sapere che ieri ho ricevuto la cresima. E studiare con lei l'islam è stata la più bella preparazione che potessi fare".

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