8 febbraio 2008

Vito Mancuso rifà da capo la fede cattolica. Ma la Chiesa dice no (Magister)


Vedi anche:

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CALENDARIO DELLE PROSSIME CELEBRAZIONI PRESIEDUTE DAL SANTO PADRE

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La cura del silenzio del cardinale Vanhoye (Rodari per "Il Riformista")

Pochi irriducibili anti Papa. La citazione di Feyerabend attribuita erroneamente a Ratzinger? Non essenziale! Il Papa ha difeso Galileo? Irrilevante!

Che delusione i racconti sulle onde neo-guelfe (Cerocchi risponde a Schiavone)

Non è la presenza di Dio ad alienare l’uomo, ma la sua assenza: senza il vero Dio, Padre del Signore Gesù Cristo, le speranze diventano illusioni...

Nella nuova preghiera non si chiede più la conversione degli ebrei, ma ci si limita a pregare per loro!

Clamoroso flop della tavola rotonda contro il Papa: solo una trentina di studenti, un pugno di docenti ma tanti giornalisti :-)

Lo accusano di oscurantismo, di incapacità di confrontarsi con gli altri, di essere nemico della scienza. Ma la storia di Ratzinger prova il contrario

Rosso "malpela" il razzismo inaccettabile nei confronti del "teutonico" Ratzinger (non se ne può più...!)

Copia e incolla da Wikipedia: 67 docenti per un errore (il testo integrale dell'articolo dell'Osservatore Romano a cura di Zenit)

IL PAPA E L'OSCURANTISMO INTOLLERANTE DEI LAICISTI UNIVERSITARI: LO SPECIALE DEL BLOG

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte quarta (a cura di Gemma)

Ratzinger: "Il mio Concilio: ricordi dell'attuale Pontefice" (Reset e Repubblica)

Un teologo rifà da capo la fede cattolica. Ma la Chiesa dice no

È Vito Mancuso, in un libro di grande successo raccomandato dal cardinale Martini. Nel quale non c'è più peccato né redenzione, ma l'uomo si salva da sé. Dopo mesi di silenzio, il doppio altolà delle autorità vaticane. Ecco i testi integrali

di Sandro Magister

ROMA, 8 febbraio 2008 – In un medesimo giorno di questo inizio di febbraio "L'Osservatore Romano" e "La Civiltà Cattolica" – cioè il giornale ufficiale della Santa Sede e la rivista controllata riga per riga dalla segreteria di stato vaticana – hanno doppiamente stroncato un libro che è divenuto un caso editoriale, teologico, ecclesiale. In Italia ma non solo.

Il libro è "L'anima e il suo destino", di Vito Mancuso. L'una e l'altra stroncatura sono uscite contemporaneamente sulle due autorevoli testate il 2 febbraio, festa della presentazione di Gesù.

In pochi mesi "L'anima e il suo destino" ha avuto sette edizioni e ha venduto in Italia 80 mila copie, che per un libro di teologia sono moltissime.
Vito Mancuso, 46 anni, sposato con figli, insegna teologia moderna e contemporanea nella facoltà di filosofia dell'Università San Raffaele di Milano, un ateneo privato senza legami con la Chiesa. Ha conseguito il dottorato in teologia presso la Pontificia Università Lateranense. La sua tesi, patrocinata dal presidente dell'Associazione teologica italiana, Piero Coda, diventò il suo primo libro: "Hegel teologo e l'imperdonabile assenza del Principe di questo mondo", uscito nel 1996 e giudicato con favore – al pari del successivo, del 2002: "Il dolore innocente. L'handicap, la natura e Dio" – da teologi affermati e di sicura ortodossia come don Gianni Baget Bozzo e Bruno Forte. Quest'ultimo è membro della commissione teologica internazionale che affianca la congregazione vaticana per la dottrina della fede, è stato ordinato vescovo nel 2004 dall'allora cardinale Joseph Ratzinger, regge l'arcidiocesi di Chieti e Vasto e presiede la commissione per la teologia e la cultura della conferenza episcopale italiana.
Ebbene, su "L'Osservatore Romano" del 2 febbraio, è proprio l'arcivescovo-teologo Forte che critica a fondo l'ultimo libro di Mancuso.

La sua conclusione è lapidaria: "Non è teologia cristiana ma 'gnosi', pretesa di salvarsi da sé".

I numerosi lettori che hanno acquistato "L'anima e il suo destino", però, trovano in apertura del volume la prefazione di un altro arcivescovo di grandissima fama, il cardinale e gesuita Carlo Maria Martini, il quale raccomanda vivamente la lettura del medesimo libro, nonostante ravvisi in esso idee "che non sempre collimano con l'insegnamento tradizionale e talvolta con quello ufficiale della Chiesa".

E così il cardinale prosegue, rivolgendosi familiarmente all'autore:

"Sarà difficile parlare di questi argomenti senza tenere conto di quanto tu hai detto con penetrazione coraggiosa. […] Anche quelli che ritengono di avere punti di riferimento saldissimi possono leggere le tue pagine con frutto, perché almeno saranno indotti o a mettere in discussione le loro certezze o saranno portati ad approfondirle, a chiarirle, a confermarle”.

Martini non dice quali siano i punti che si staccano dalla dottrina cattolica.

Li mettono invece nero su bianco "L'Osservatore Romano" e "La Civiltà Cattolica". Secondo quest'ultima rivista i dogmi "negati" o "svuotati" nel libro sono "circa una dozzina". E tutti di prima grandezza.
Su "L'Osservatore" Bruno Forte non è da meno. Vede smantellati il peccato originale, la risurrezione di Cristo, l'eternità dell'inferno, la salvezza che viene da Dio. La tesi del libro è che l'uomo basta a se stesso e si salva da sé, alla luce della sua sola ragione.

Mancuso, che si professa cattolico, è consapevole del terremoto che ha provocato. Ma il suo programma dichiarato è proprio quello di "rifondare" la fede cristiana. In un articolo pubblicato il 22 gennaio sul quotidiano "il Foglio" ha respinto anche il dogma della creazione e la dottrina della "Humanae Vitae" sulla contraccezione. A quest'ultima dottrina ha opposto il seguente argomento:

"Occorre guardare in faccia la realtà per quello che è, non per quello che si vorrebbe che fosse, e la realtà è che i rapporti sessuali sono praticati largamente al di fuori del matrimonio e a partire da giovanissima età".

Al che gli ha replicato sullo stesso giornale don Baget Bozzo, suo ammiratore d'un tempo:

"Caro Vito, che senso ha chiamarsi ancora teologo, se non per pura commercializzazione del prodotto, quando si ha una così bassa concezione della teologia?".

Più sotto, in questa pagina, sono riportate l'una dopo l'altra le due recensioni apparse su "L'Osservatore Romano" e su "La Civiltà Cattolica". La seconda ha per autore il gesuita Corrado Marucci, professore di esegesi biblica al Pontificio Istituto Orientale.
Del caso non si è occupata direttamente la congregazione per la dottrina della fede in quanto Mancuso non ha vincoli istituzionali con la Chiesa né insegna in una università ecclesiastica.

Il timore era però che un silenzio delle autorità della Chiesa avrebbe alimentato l'idea che le tesi del libro fossero innocue o persino apprezzabili, offerte a una disputa fruttuosa, come raccomandato dal cardinale Martini nella sua prefazione.

"L'Osservatore Romano" e "La Civiltà Cattolica" hanno rotto il silenzio e fornito una autorevole indicazione su ciò che è conforme o no alla dottrina cattolica e a un metodo corretto di far teologia.
Una teologia che in Italia, nell'ultimo anno, non ha prodotto solo un discutibile successo editoriale come "L'anima e il suo destino", ma anche un capolavoro di intelligenza della fede come il saggio intitolato "Ingresso alla bellezza", di Enrico Maria Radaelli.
Un'opera maestra sulla quale www.chiesa dovrà presto tornare.

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Gnosi di ritorno e linguaggio consolatorio

Da "L'Osservatore Romano" del 2 febbraio 2008

di Bruno Forte

"Salvarsi l'anima". Questa espressione antica ha nel linguaggio della fede un senso che appare messo radicalmente in questione dal libro di Vito Mancuso, "L'anima e il suo destino" (Milano 2007). Il volume ha suscitato un dibattito vivace, aperto dalla stessa lettera del cardinale Carlo Maria Martini, pubblicata in apertura, che – pur con grande tatto – parla con chiarezza di "parecchie discordanze [...] su diversi punti".
L'autore si era fatto conoscere e apprezzare sin dalla sua opera prima, dal titolo suggestivo ed emblematico: "Hegel teologo e l'imperdonabile assenza del Principe di questo mondo" (Casale Monferrato, Piemme, 1996). Libro significativo, questo, attraversato da una lucida critica al monismo hegeliano dello Spirito e da una drammaticità, che contro Hegel ribadisce l'inesorabile sfida del male che devasta la terra, precisamente nel suo volto diabolico e insondabile.
Anche altri saggi di Mancuso mantengono viva questa tensione, che si condensa in pagine profonde lì dove egli tocca il mistero del dolore innocente o scandaglia le profondità sananti dell'amore. Anche a motivo di queste premesse, il libro sull'anima ha suscitato in me un senso di profondo disagio e alcune forti obiezioni, che avanzo nello spirito di quel servizio alla Verità, cui tutti siamo chiamati.
La prima obiezione riguarda la potenza del male e del peccato. Mancuso non esita ad affermare che il peccato originale sarebbe "un'offesa alla creazione, un insulto alla vita, uno sfregio all'innocenza e alla bontà della natura, alla sua origine divina" (167). È vero che l'intento dichiarato dall'autore non è di "distruggere la tradizione", ma di "rifondarla" (168), cercando di tenere insieme "la bontà della creazione e la necessità della redenzione": in quest'ottica, il peccato originale non sarebbe altro che "la condizione umana, che vive di una libertà necessitata, imperfetta, corrotta, e che per questo ha bisogno di essere disciplinata, educata, salvata, perché se non viene disciplinata questa nostra libertà può avere un'oscura forza distruttiva e farci precipitare nei vortici del nulla" (170).
La spiegazione non convince: dove va a finire in essa il dramma del male, la potenza del peccato? Kant ha affermato con ben altro rigore la serietà del male radicale: "La lotta che in questa vita ogni uomo moralmente predisposto al bene deve sostenere, sotto la guida del principio buono, contro gli assalti del principio cattivo, non può procurargli, per quanto si sforzi, un vantaggio maggiore della liberazione dal dominio del principio cattivo. Il guadagno più alto che egli può raggiungere è quello di diventare libero, 'di essere liberato dalla schiavitù del peccato per vivere nella giustizia' (Romani, 6, 17-18). Nondimeno, l'uomo resta pur sempre esposto agli attacchi del principio cattivo, e per conservare la propria libertà, costantemente minacciata, è necessario che egli resti sempre armato e pronto alla lotta" (Immanuel Kant, "La religione entro i limiti della semplice ragione", Milano 2001, 111).
Come ha osservato Karl Barth, "quello che meraviglia non è che il filosofo Kant prenda in generale in seria considerazione il male [...] bensì il fatto che egli parli di un principio malvagio, e dunque di una origine del male nella ragione e in questo senso di un male radicale" ("La teologia protestante nel XIX secolo", Milano 1979, 338). Vanificare il peccato originale e la sua forza attiva nella creatura vuol dire banalizzare la stessa condizione umana e la lotta col Principe di questo mondo, che proprio Mancuso aveva rivendicato contro l'ottimismo idealistico di Hegel.
La conseguenza di queste premesse è la dissoluzione della soteriologia cristiana. Se non si dà il male radicale, e dunque il peccato originale e la sua forza devastante, su cui appoggia la sua azione il grande Avversario, la salvezza si risolve in un tranquillo esercizio di vita morale, che non vive più di alcuna tensione agonica e non ha bisogno di alcun soccorso dall'alto: "salvarsi l'anima" non sarebbe né più né meno che una sorta di autoredenzione. "La salvezza dell'anima dipende dalla riproduzione a livello interiore della logica ordinatrice che è il principio divino del mondo" – "La salvezza dell'anima non dipende dall'adesione della mente a un evento storico esteriore, sia esso pure la morte di croce di Cristo, né tanto meno dipende da una misteriosa grazia che discende dal cielo" (311).
La risurrezione di Cristo risulterebbe così del tutto superflua: essa, per Mancuso, "non ha alcuna conseguenza soteriologica, né soggettivamente, nel senso che salverebbe chi vi aderisce nella fede visto che la salvezza dipende unicamente dalla vita buona e giusta; né oggettivamente, nel senso che a partire da essa qualcosa nel rapporto tra Dio e il genere umano verrebbe a mutare" (312).
Mi chiedo come siano conciliabili queste affermazioni con quanto dice Paolo: "Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede" (1 Corinzi, 15, 14). La confessione della morte e risurrezione del Figlio di Dio fatto uomo è l"'articulum stantis aut cadentis fidei Christianae"!
Vanificata la soteriologia, ne consegue anche lo svuotamento del dramma della libertà e la negazione della possibilità stessa della condanna eterna: l'Inferno sarebbe un "concetto [...] teologicamente indegno, logicamente inconsistente, moralmente deprecabile" (312). Convinzione della fede cattolica è al contrario che senza l'Inferno l'amore stesso di Dio risulterebbe inconsistente, perché non si darebbe alcuna possibilità di una libera risposta della creatura. "Chi ti ha creato senza di te, non ti salverà senza di te": il giudizio di Agostino richiama la responsabilità di ciascuno di fronte al suo destino eterno.
L'insieme di queste tesi si rifà a un'opzione profonda, che emerge da molte delle pagine del libro: quella che non esiterei a definire una "gnosi" di ritorno, presentata nella forma di un linguaggio rassicurante e consolatorio, da cui molti oggi si sentono attratti.
"Io penso – afferma l'autore – che l'esercizio della ragione sia l'unica condizione perché il discorso su Dio oggi possa sussistere legittimamente come discorso sulla verità" (315). Il problema è di quale ragione si parla: quella totalizzante della modernità, che ha prodotto tanta violenza nelle sue espressioni ideologiche? O quella che il Logos creatore ha impresso come immagine divina nella creatura "capax Dei"? E se di questa si tratta, come si può assolutizzarla fino al punto da ritenere superfluo ogni intervento dall'alto, quasi che il "lumen rationis" escluda il bisogno del "lumen fidei"? Cristo sarebbe venuto invano? E la fragilità del pensare e dell'agire umano sarebbe inganno, perché nessuna debolezza originaria degli eredi del primo Adamo si opporrebbe alla potenza di una ragione ordinatamente applicata?
Ben altro dice la testimonianza di Paolo, alla quale non può non attenersi una teologia che voglia dirsi cristiana, preferendola a ogni illusoria apoteosi della ragione prigioniera di sé: "Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me. Non annullo dunque la grazia di Dio; infatti se la giustificazione viene dalla legge, Cristo è morto invano" (Galati, 2, 20-22).
Dalla legge, da qualunque legge di autoredenzione, la salvezza non viene. Senza il dono dall'alto, nessuna salvezza è veramente possibile. Sta qui la verità della fede, il suo scandalo: proprio così, la sua potenza di liberazione, la sua offerta della via unica e vera per "salvarsi l'anima". Pensare diversamente, non è teologia cristiana: è "gnosi", pretesa di salvarsi da sé.

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L'anima e il suo destino secondo Vito Mancuso

Da "La Civiltà Cattolica" del 2 febbraio 2008, quaderno 3783

di Corrado Marucci S.I.

Nel suo ultimo libro Vito Mancuso (1), docente di Teologia moderna e contemporanea alla Facoltà di Filosofia dell’Università San Raffaele di Milano, espone quello che si può definire un moderno trattato di escatologia. In vari riferimenti sparsi nel corso dell’esposizione, egli concepisce il proprio lavoro come "costruzione di una 'teologia laica', nel senso di rigoroso discorso su Dio, tale da poter sussistere di fronte alla scienza e alla filosofia". Questo "discorso" si sviluppa nel testo, dopo la prefazione del card. Martini, nella quale egli afferma, fra l’altro, "di sentire parecchie discordanze su diversi punti", e un capitolo introduttivo sulle coordinate speculative dell’Autore di circa 50 pagine, in nove capitoli che trattano dell’esistenza dell’anima, della sua origine e immortalità, della salvezza dell’anima, della morte e del giudizio, della terna paradiso/inferno/purgatorio e infine di parusia e giudizio universale. Chiudono una "Conclusione" e l’indice degli autori citati.
Data la mole degli argomenti trattati e lo stile enciclopedico scelto dall’Autore, è praticamente impossibile esporre sinteticamente e commentare le convinzioni, le conclusioni, le proposte, le tirate ironiche e gli stimoli disseminati nel testo (2). Ci limitiamo qui all’essenziale, col rischio di trascurare cose che possono essere sembrate essenziali all’Autore.

INTRODUZIONE

Nel lungo capitolo introduttivo egli espone uno dopo l’altro i cardini di ciò che intende sviluppare in seguito. In realtà si tratta di un insieme di convinzioni e princìpi in parte decisamente ovvi (quanto alla necessità di aderire alla verità, chi ha mai ammesso che si possa argomentare a partire da falsità o addirittura accettarle?), in parte bisognosi di molti distinguo (sembrerebbe che per l’Autore l’ultima istanza di ogni argomentazione sia l’accordo o almeno il non disaccordo con le scienze positive e ciò è ovviamente discutibile, poiché queste sono in un continuo processo autocorrettivo e spesso non prive di preconcetti e indebite estrapolazioni). Mancuso, seguendo una moda terminologica più del gergo politico e giornalistico che non filosofico, dichiara che il suo referente è la "coscienza laica", intendendo con ciò "la ricerca della verità in sé e per sé" (p. 9). Sarebbe difficile trovare qualche pensatore, dai presocratici a oggi, che abbia un differente concetto di verità: il problema è come si può arrivare alla certezza di aver raggiunto tale verità. Ma forse, come emerge da alcune allusioni, egli è convinto che chi aderisce alla fede cristiana lo faccia tacitando le difficoltà razionali o addirittura senza troppo pensare. L’Autore riassume poi diversi dati e acquisizioni scientifiche relative alla materia, alla sua equivalenza con l’energia, all’evoluzione, che egli ritiene necessario integrare con il concetto di relazione.
Diverse volte, in questo capitolo e anche nei seguenti, Mancuso dice di voler essere un pensatore cattolico, un figlio della Chiesa. È perciò assai strano che egli, in un’opera che sostanzialmente vorrebbe essere di teologia, tra le premesse argomentative non faccia alcun riferimento alla metodologia dell’esegesi biblica e a quella propria della teologia cattolica. Sulle conseguenze di questa mancanza torneremo in seguito. Le ultime pagine del primo capitolo possono qui essere tralasciate sia perché difficilmente riassumibili, sia perché le necessarie critiche saranno più evidenti nelle loro conseguenze sui singoli argomenti trattati in seguito.

L’"ANIMA SPIRITUALE"

Nei capitoli seguenti l’Autore espone le sue convinzioni sugli argomenti classici relativi all’anima e al suo destino finale. Innanzitutto, sempre attingendo ad autori del passato a partire dagli antichi egizi fino al recente Catechismo della Chiesa Cattolica, egli si dichiara "apertis verbis" per l’esistenza dell’anima spirituale nell’uomo arrivato a maturità (?). Va detto tuttavia che con il termine "anima spirituale" egli intende molte cose, ci pare, più legate a concetti come energia, relazione, libertà, creatività e così via, legati cioè più alla materia, o ai sensi o ancora conseguenze della presenza nell’uomo della dimensione spirituale. Molte osservazioni, derivanti dai più disparati settori della vita, sono condivisibili, altre oscure dal punto di vista concettuale. Quello che però stupisce è la completa assenza di argomenti veri e propri che dimostrino l’esistenza di quella realtà che in tutta la tradizione cristiana si è chiamata anima o spirito. Ovviamente ogni dimostrazione vale all’interno di un sistema logico predefinito; ma poiché, come si è detto, Mancuso non dichiara le sue coordinate logiche, non è possibile giudicarne le asserzioni. È ovvio che la pura assimilazione alle scienze fisico-chimiche contemporanee non potrà mai essere sufficiente allo scopo, poiché il loro oggetto formale sono i dati materiali sensibili e osservabili.
Nella sistemazione classica del cattolicesimo la dimostrazione dell’esistenza dell’anima spirituale era demandata alla filosofia, quale "ancilla theologiae". Dall’ovvia esistenza nell’uomo dell’intellezione e del conseguente giudizio, che sono operazioni non materiali, ma spirituali, si deduceva la necessità di un principio immateriale nell’uomo, poiché la materia non è capace di operazioni non materiali. Il supporto logico-argomentativo era dato dall’ontologia aristotelico-tomista. Quanto invece alle argomentazioni di Mancuso, non è difficile immaginare che un lettore non digiuno di logica e di filosofia le trovi vaghe e poetiche (3).
Quanto poi al momento dell’infusione dell’anima razionale nel corpo, l’Autore, in buona sostanza, pare far sua la teoria delle "formae vitales", che la filosofia scolastica aveva ereditato da Aristotele, come conseguenza dell’assioma che ogni forma ha bisogno di una materia adeguatamente preparata a riceverla. Tale teoria però, oltre che per difficoltà teoretiche, è stata abbandonata dalla Chiesa cattolica, perché le operazioni vitali, vegetative e sensibili, per sostenere le quali si invocava la presenza nel feto di un’anima soltanto vegetativa e in seguito soltanto sensibile, possono essere tranquillamente attribuite fin dall’inizio all’(unica) anima razionale, come si fa in seguito nell’esistenza umana matura.
A nostro parere l’applicazione dell’assioma sopra ricordato non conduce ad alcuna conclusione sicura, poiché la sproporzione ontologica dell’anima spirituale è totale nei confronti di qualsiasi tipo di materia; non è questione cioè di gradi. Su questo tema stupisce infine il silenzio di Mancuso in merito a tutta quella serie ormai ricchissima di studi sulla fisiologia del cervello per appurare se vi siano operazioni umane non spiegabili con le sole proprietà neurologiche (4). Notiamo infine che diverse volte (5) nel corso dell’esposizione Mancuso attribuisce alla dottrina ecclesiale l’idea che per essa l’anima sia una sostanza, cosa assolutamente erronea: il famoso asserto per cui l’anima è "forma substantialis corporis" significa che essa non è una sostanza bensì un "principium entis"; la sostanza è la persona umana (6).

L’ORIGINE DELL'ANIMA

Il testo poi presenta tutto un capitolo (30 pagine) sul problema dell’origine dell’anima. Nonostante il tentativo di distanziarsi anche in questo punto dalle concezioni tradizionali (di cui egli cita tutta una serie), Mancuso in buona sostanza concorda con la dottrina ecclesiale praticamente in tutto, fatta eccezione per l’affermazione che l’anima umana viene creata direttamente da Dio. In proposito va ricordato che tale dottrina non è mai stata definita come dogma di fede; i manuali le danno la qualifica di theologice certa. L’Autore lo ammette, benché non spieghi esattamente il significato di questa "nota theologica" (7). La conseguenza di questo fatto è che la dottrina contraria (in questo caso che i genitori trasmettono l’anima al concepito) è accettabile laddove si riesca a dimostrare che le argomentazioni razionali che conducono alla necessità del suo contrario non tengono.
Orbene non ci pare che questo riesca all’Autore, ma che anzi quelle classiche siano ancora valide (8), aggiungendo comunque che l’asserto per cui le anime sono create direttamente da Dio ha anche la funzione di sottolineare che ciò che nasce (con una fenomenologia molto varia e addirittura a volte casuale) in realtà è sempre qualcosa di per sé direttamente voluto da Dio, destinato a dialogare con lui e che quindi non rappresenta mai un progetto solamente storico o fattuale, ma eterno. Mancuso sfrutta qui una sua ricorrente convinzione che lo spirito, in quanto energia, possa derivare dalla materia e contesta l’opposizione classica tra spirito e materia, per cui l’una è il contrario dell’altra. Non è il caso di ribadire questa concezione che, una volta capiti i termini, è ovvia; il problema è che qui, e per tutto il libro, l’Autore opera con un concetto di spirito che non è quello di cui parla tutta la tradizione cristiana. Affermare infatti che esso è energia e appellarsi alla fisica einsteiniana è un’idea perlomeno bizzarra (9). Come può una realtà estesa, misurabile e presente anche nelle cose e negli animali, essere spirituale?
D’altronde Mancuso aveva dichiarato nelle premesse la sua incondizionata adesione al pensiero evolutivo e a Teilhard de Chardin. Citando poi come esempio il noto manuale di Flick e Alszeghy, egli sostiene che nell’argomentazione tradizionale ci sarebbe un circolo vizioso; ma perlomeno nell’edizione finale di tale manuale (10) tutto ciò è affatto assente: l’immortalità dell’anima è detta naturale fin dall’inizio, anche se ovviamente voluta da Dio e quindi, dicono i due dogmatici, può essere creata soltanto da Dio. Foriera di gravi conseguenze etiche è l’affermazione che "non c’è più (nel caso di una vita colpita da una grave malattia o da senilità acuta) l’anima razionale-spirituale" (p. 107): è chiaro che Mancuso confonde la facoltà con il suo esercizio (11).

IMMORTALITÀ E SALVEZZA DELL'ANIMA

Il quarto capitolo, di 40 pagine, è dedicato all’immortalità dell’anima. Affastellando citazioni e "bons mots" (a volte poco pertinenti) di pensatori e scienziati dell’antichità, del Medioevo e moderni, Mancuso arriva alla conclusione che per l’immortalità dell’anima non esistono prove (p. 123 e passim). Senza analizzare i motivi del dogma, egli si sofferma sull’esistenza o meno di un Dio personale e su problemi derivanti dalla domanda spontanea di perennità innata nell’uomo. La definizione, ribadita in tutto il corso del testo, dell’anima come energia impedisce di capire il senso delle dimostrazioni classiche e delle numerose conferme bibliche concernenti l’immortalità dello spirito umano. Non è qui il caso di contestare singole affermazioni del testo, che procede veramente a ruota libera (12).
L’Autore ritiene necessario dedicare poi il quinto capitolo, di 37 pagine, al tema della salvezza dell’anima. Innanzitutto dichiara che tutti i contenuti veicolati dal dogma del peccato originale (13) devono essere riformulati o abbandonati; concretamente Mancuso ritiene corretto parlare soltanto di "peccato del mondo". Prescindendo praticamente dalla teologia paolina, ma ricorrendo a Platone, Anassimandro e Bonhoeffer egli ritiene di dover "rifondare" fede e tradizioni (p. 168). Cercando allora di rispondere alla domanda se dobbiamo ancora essere salvati e se sì, da cosa e come, l’Autore spiega "da noi stessi e dalla vita disordinata (nel senso di sottoposta all’entropia)" (p. 173). Quanto al come, egli proclama che "non è la religione che salva: […] non sono i sacramenti, la Messa, i rosari, i pellegrinaggi, le indulgenze, la Bibbia" (p. 176), e oltre "non c’è alcuna esigenza di credere nella sua [cioè di Gesù] resurrezione dai morti per essere salvi" (p. 183). È ovvio che siamo agli antipodi di ciò che Paolo afferma in 1 Cor 15 e in molti altri passi.
Il sesto capitolo, di 18 pagine, è dedicato a "Morte e giudizio". Anche qui Mancuso, sulla base di rudimentali richiami biblici (tra i quali manca il testo principale Gn 2,17; 3,19) definisce i dati tradizionali come contraddittori (cfr p. 189); quanto alla valenza della morte egli, in buona sostanza, va catalogato tra coloro che negano la reale problematicità della morte degli umani (14), posizione difforme dalla dogmatica cattolica. Sul criterio del giudizio dopo la morte, Mancuso invece di ricordare la classica formula paolina della "fides caritate formata" preferisce appoggiarsi a Platone, Marco Aurelio, Pascal, Kant e Simone Weil.
I quattro capitoli seguenti, più sintetici dei precedenti, riguardano paradiso, inferno, purgatorio, e parusia e giudizio universale. Anche per il paradiso, la visione beatifica e la risurrezione dei corpi l’Autore compie una completa "demitizzazione", sempre argomentando da alcuni suoi assiomi non ulteriormente discussi quali l’identità tra spirito e materia, la concezione dell’anima come energia e l’eterna validità delle leggi fisiche. Egli stabilisce perciò che la distinzione tra immortalità dell’anima e risurrezione dei corpi è "del tutto infondata" (p. 223), che la concezione per cui le anime dei defunti vivono "un letargo simile alla morte" sarebbe "oggi maggioritaria tra i teologi e ancor più tra i biblisti" (p. 214) (15) e che "la convinzione che nessun intelletto creato può vedere l’essenza di Dio [è] la peggiore delle eresie" (p. 219), che "la credenza della risurrezione della carne appare nella sua inconsistenza fisica e teologica" (p. 225) e così via. Non è qui possibile commentare questa congerie di affermazioni anche perché le argomentazioni ora sono oscure, ora soltanto accennate sulla base di citazioni, di convinzioni e frasi di pensatori di ogni epoca. Ci limitiamo a segnalare che, in contesto escatologico, il termine "eternità" ha due significati assai diversi, soltanto analogici: se si parla di quella di Dio, essa implica l’assenza di ogni successione e di ogni distinzione tra essenza e operazioni (16), mentre per gli altri esseri spirituali il termine implica la perennità de iure, non solo de facto, ma non esclude la successione temporale e questo risolve alcune antinomie che Mancuso crede di rintracciare nella dogmatica cattolica (17). Nonostante il profluvio di autori citati, pare che Mancuso non conosca la letteratura collegata al concetto di "risurrezione nella morte", che è la più recente querelle di carattere escatologico in campo cattolico (18).
Venendo poi a parlare dell’inferno, Mancuso dedica praticamente tutto il capitolo (ben 35 pagine) alla confutazione del dogma dell’eternità dello stesso. Anche qui, saltando da Agostino a Tommaso fino a von Balthasar, egli approda alla lapidaria affermazione per cui "parlare di eternità dell’Inferno è una contraddizione assoluta" (p. 263), oltre che poco evangelico. Si tratta dunque di scegliere tra apocatastasi e annichilazione dei reprobi: dopo aver a lungo esposto il pensiero di P. Florenskij, egli resta, per così dire, "anceps", dopo aver fatto un peana dell’antinomia annunciata. Il lettore noterà la mancanza di analisi delle numerose affermazioni del Nuovo Testamento, con l’introduzione di errori teologici anche non lievi (19). Precisiamo qui, se fosse necessario, che la dottrina dell’apocatastasi, oltre che sempre condannata dal Magistero, è anche insostenibile fintantoché si vuol mantenere la reale libertà di ogni essere spirituale anche di fronte all’appello di Dio.
Dopo aver definito il purgatorio "una salutare invenzione", Mancuso afferma che l’unica modalità che gli appare "razionalmente legittima" è di concentrarlo nell’istante della morte (p. 279). La parusia infine è da lui definita come maggiormente bisognosa di essere ripensata (cfr p. 289). In definitiva il testo sostiene che non ci sarà alcun ritorno del Gesù glorioso; le frasi corrispondenti del Nuovo Testamento sono errori di Gesù e di Paolo. Per Mancuso è semplice anche spiegare perché "Dio non è mai intervenuto direttamente nella storia" e perché "non tutta la bibbia è parola di Dio"!

CONCLUSIONE

Se per teologia si intende la riflessione dell’intelletto umano illuminato dalla fede sulla Sacra Scrittura e sulle definizioni della Chiesa, allora il nostro giudizio complessivo su questa opera non può che essere negativo. L’assenza quasi totale di una teologia biblica (20) e della recente letteratura teologica non italiana, oltre all’assunzione più o meno esplicita di numerose premesse filosoficamente erronee o perlomeno fantasiose, conduce l’Autore a negare o perlomeno svuotare di significato circa una dozzina di dogmi della Chiesa cattolica. A fronte di una relativa povertà di dati autenticamente teologici, la tecnica di accumulare citazioni da tutto lo scibile umano, oltre al rischio di distorcerne il senso reale ai propri fini poiché esse fanno parte di assetti logici a volte del tutto diversi, non corrisponde affatto alla metodologia teologica tradizionale (21).
In realtà non è facile neanche elencare tutte le matrici che Mancuso alterna e assomma nel corso dell’esposizione (platonismo, razionalismo gnostico, scientismo, eclettismo e così via): quello che comunque domina è il razionalismo convinto che di realtà di cui non si ha alcuna percezione sensibile o decisamente soprannaturali si possa discettare in analogia con le scienze fisico-biologiche. Nel contesto di notevolissima confusione sulla religione e la Chiesa tipica della cultura mediatica contemporanea, questo testo ci sembra che contribuisca ad aumentare tale confusione. L’Autore dichiara la sua disponibilità ad essere corretto: ma ciò, dato lo stile non sistematico e velleitario delle sue affermazioni, non è facile, poiché si può confutare soltanto ciò che è organicamente formulato al di dentro di un preciso assetto epistemologico.

NOTE

(1) Cfr V. Mancuso, "L’anima e il suo destino", Milano, Cortina, 2007, XVI-323, € 19,80. Le pagine indicate nel testo si riferiscono a questo volume.

(2) È spiacevole che in un’opera teologica ci siano titoli come "il deposito di zio Paperone" (p. 37) e "Vino e tortellini" (p. 40). Ancora a p. 73 il matrimonio è detto "legame chimico totale della libertà". Gli esempi potrebbero essere moltiplicati.

(3) Alquanto sorprendente invece è la convinzione dell’Autore secondo la quale le attività più chiaramente spirituali dell’uomo sono "scienza, arte, musica, pensiero" (p. 64). Anche in seguito si sostiene che la musica è la massima espressione spirituale dell’uomo.

(4) Su questo settore di ricerca cfr, tra i molti, H. Goller, "Hirnforschung und Menschenbild", in "Stimmen der Zeit" 218 (2000) 579-594 (con abbondante bibliografia) e H. Schöndorf, "Gehirn-Bewußtsein-Geist", in "Herder-Korrespondenz" 53 (1999) 264-267.

(5) Cfr, ad esempio, pp. 53, 77, 93, 97.

(6) Ricordiamo "en passant" che anche per la cosiddetta anima separata san Tommaso precisa che essa non è persona umana (cfr "Summa Th." 1, 29, 1 ad 5m; Pot 9, 2 ad 14m; "Summa contra Gentiles" 4, 79).

(7) Tale qualifica significa che un asserto è necessariamente connesso mediante operazioni logiche a un dogma di fede, non, come spiega Mancuso, "che i pronunciamenti del Magistero sono stati tali da rendere tale dottrina patrimonio sicuro della fede cattolica" (p. 85).

(8) Senza stare qui a ripeterle rimandiamo all’esposizione di M. Flick - Z. Alszeghy, "Il Creatore, l’inizio della salvezza", Firenze, Lef, 19612, 251 s.

(9) Con la solita mescolanza dei generi letterari egli afferma che "per avere una reale esperienza spirituale […] non è necessario […] andare in Chiesa, isolarsi in un monastero" (p. 87).

(10) Cfr M. Flick - Z. Alszeghy, "Il Creatore…", cit., 183 ss; lo stesso vale per J. Donat, "Psychologia", Oeniponte, 19327, 409 ss.

(11) Più o meno le stesse cose vengono ripetute dall’Autore oltre, alle pp. 136 ss.

(12) Ci limitiamo a notare che non è vero che con le note prove tomistiche dell’esistenza di Dio si approda sempre a un essere impersonale, poiché almeno la quinta prova termina a un essere intelligente, che non può essere che personale. Il termine riferito a Dio di "universitatis principium", che secondo Mancuso a motivo del neutro proverebbe che si tratta di qualcosa di impersonale (p. 129), non viene usato da Tommaso nel contesto delle cinque prove, ma una volta sola in "Summa contra Gentiles" 1, 1, 3.

(13) Quanto al rapporto tra peccato dei progenitori e peccato originale originato, notiamo che Mancuso pare ignorare il noto saggio di K. Rahner "Theologisches zum Monogenismus", in "Schriften zur Theologie" 1 (Einsiedeln, 19604) 253-322. Più avanti (p. 287), con la solita eccedenza verbale, egli stabilirà che "il peccato originale [è] un autentico mostro speculativo e spirituale, il cancro che Agostino ha lasciato in eredità all’Occidente"!

(15) Anche su questo tema avrebbe apportato chiarezza la conoscenza dell’ottimo saggio di K. Rahner, "Zur Theologie des Todes" (QD 2), Freiburg i.Br., 19613.

(15) Non si citano nomi concreti, ma l’affermazione, per quanto concerne teologi e biblisti cattolici, è completamente erronea (vedi anche i testi da noi citati sotto in nota 18). In realtà fu Lutero a parlare per primo di un "Seelenschlaf".

(16) Il che è perfettamente espresso nella nota definizione di Boezio: "interminabilis vitae tota simul et perfecta possessio". L’erronea concezione che Mancuso ha dell’eternità dello spirito creato ritorna spesso (cfr soprattutto p. 313).

(18) Cfr la Quaestio disputata "Auferstehung im Tode" di G. Greshake - G. Lohfink (Freiburg, 19825) con la nostra critica in G. Lorizio (ed.), "Morte e sopravvivenza", Roma, Ave, 1995, 289-316.

(18) Il più grave è quello di attribuire a Tommaso l’affermazione che in "Summa Gent." III, 163 Dio "spinge […] ad agire effettivamente male. No comment" (p. 254 s). Il commento è invece necessario: Tommaso continua nel testo con le parole "reprobatio includit voluntatem permittendi aliquem cadere in culpam, et inferendi damnationis poenam pro culpa".

(19) Segnaliamo in nota che la traduzione del p. Centi di "assimilamur" con "somiglianza" in "Summa contra Gentiles" III, 51 (p. 218) è corretta (l’italiano "assimilare" è frutto di evoluzione semantica); la frase citata (a p. 207) dal "Kleines Theologisches Wörterbuch" di Rahner e Vorgrimler (che non è proprio il massimo che si possa citare in tema di escatologia) alla voce "Himmel", per cui il cielo non sarebbe un luogo, è avulsa dal contesto, per cui, rileggendo tutta la voce, viene corretta nel senso tradizionale.

(20) Basta ricordare la seguente sentenza: "Il biblicismo è una pericolosa malattia, è la paralisi dello spirito" (p. 279). Già prima Mancuso aveva informato il lettore che, tra i 73 libri biblici, "ve ne sono di banali [...]; alcuni sono capolavori assoluti, mentre altri presentano pagine persino dannose al progresso spirituale delle anime verso la via del bene e della giustizia" (p. 104 s).

(21) Questa è ben formalizzata e più solida di quanto forse l’Autore si immagina: si veda anche soltanto il chiarissimo piccolo capolavoro del Bochenski, uno dei maggiori storici della logica del Novecento, dal titolo "The Logic of Religion" (New York, 1965) e il "Method in Theology" di B. Lonergan.


L'articolo di Mancuso per "Il Foglio" e la risposta di Giuliano Ferrara sono consultabili qui

© Copyright www.chiesa

8 commenti:

brustef1 ha detto...

La gnosi ha sempre esercitato un'attrazione fortissima. La religione self-service pacifica la coscienza ed è una comoda scappatoia ai precetti della fede e alla penitenza. Il grande illusore è sempre in agguato.

Anonimo ha detto...

Vito Mancuso ha detto esplicitamente che spera di essere confutato. Va preso sul serio, perchè dimostra di credere in quello che fa e di avere il coraggio di esporsi, nel bene e nel male. Quindi bisogna che la Chiesa dia, con calma e profondità, un risposta a tutti i punti controversi toccati da "L'anima e il suo destino". Questo libro deve il grande successo che ha avuto al coraggio con cui il suo autore affronta temi che da tempo dovevano essere oggetto di riesame e approfondimento perchè riassumono i grandi interrogativi e i dubbi dell'uomo di tutti i tempi e, in particolare, dell'umanità contemporanea che ha sete di spiritualità . Ci sono punti oscuri nella dottrina della Chiesa sui quali i suoi rappresentanti hanno il dovere di fare chiarezza non usando certo una "ragione" di tipo gnostico, ma impegnando ragione, mente cuore e tutte le proprie capacità umane per un confronto con le nuove scoperte della scienza e alla ricerca di quella verità che accomuna ontologicamente la ragione umana al "Logos", cioè al "Verbo incarnato", che è Via Verità e Vita, Parola di Dio fatta carne. Le contraddizioni vanno risolte: in questo ha ragione Vito Mancuso. Mi sembra che il suo pensiero vacilli sul tema della salvezza, come ha detto con grande chiarezza il suo ex maestro Bruno Forte: per chi ha un'esperienza di fede (parlo di fede cattolica)non c'è salvezza al di fuori di Cristo. Credo che anche Vito Mancuso ne sia convinto, questo ci dice la sua opera più drammaticamente umana: "Il dolore innocente". Nell'ultima sua opera la foga del nuovo ha portato l'autore fuori strada. La Chiesa eserciti la Carità della Verità e lo prenda per mano additandogli l'errore, ma accetti anche i suoi giusti suggerimenti.

Anonimo ha detto...

Vorrei ocndividere con voi i contenuti di questa lettera che ho inviato al prof. Manciso.
"Egregio prof. Vito Mancuso,

ho letto il suo libro “L’anima e il suo destino”, e approfitto della Sua cortesia per esprimerLe sia un sentimento, sia alcune riflessioni.
Lo faccio perché, pur essendo solo alla prima lettura del testo, mi ha talmente coinvolto che spesso, dimenticando gli impegni ordinari, tornavo la sera per riprenderlo in mano, e vi pensavo durante il giorno anche in momenti in cui avrei avuto altro da fare.
Il tutto nel giro di pochi giorni, sintomo di un interesse che riservo a pochi autori.
Sono “un’incerta nel seno della chiesa”, incerta non della fede ma del magistero. Una coscienza laica che vorrebbe cercare la verità. Anche in senso stretto, d’altra parte, essendomi occupata per la tesi di dottorato in logica matematica proprio della definizione del concetto di verità.
Non so dirle con quale gioia ho accolto il Suo porsi di fronte ai temi trattati – e finalmente trattati! - senza preconcetti o condizionamenti ideologici, costi quel che costi. E, soprattutto, in dialogo con quella scienza e le sue teorie, che nessuno di noi oggi può pensare di eludere quando pensa.
Non aggiungo altri complimenti, tranne quello che cercherò gli altri suoi lavori con grande piacere per comprenderLa sempre meglio.
Mi consenta, seguendo lo spirito che anima la Sua riflessione, di esporle alcuni dubbi su argomentazioni che non mi hanno convinto.
Non seguirò l’ordine esatto di presentazione, che avrebbe bisogno - come minimo - di una seconda e più approfondita lettura.

Mi pare di non riuscire a cogliere una fondazione adeguata nel rapporto fra il Dio personale e trascendente che è al di là del tempo nella dimensione dell’eterno, e il Principio Ordinatore immanente all’essere del mondo: ordinatore, razionale logico e unico.
La vita sorge da una necessità intrinseca, di tipo impersonale, come conseguenza della logica dell’universo, perché il Dio personale ha voluto così quale condizione per la nascita della libertà.
Però che questo Dio personale sia tale, lo si assume attraverso un’argomentazione di tipo esistenziale. Senza di essa non sembra possibile salvare la bellezza e la grazia della vita personale di noi esseri umani.
E qui casca, se mi permette, l’asino. Lei dice: “E’ per custodire questo miracolo (!) che io sono portato a pensare che il Principio Ordinatore immanente al mondo rimandi a sua volta a un più alto Principio Personale”.
Qualcuno potrebbe anche ritenere che non vede razionalmente questa necessità di salvarla, pur amando la bellezza e la grazia della vita, bastando quell’ordine complesso che anche lei ammette immanente nell’universo. E allora il Dio personale a cosa serve? Come lo giustifichiamo?
Avrei bisogno di elementi razionali in più per essere d’accordo.
Ancora: Dio è la traduzione umana dell’Idea sussistente del bene, forma primordiale dell’essere, la sua causa materiale e finale al contempo. Poco dopo però si legge:”In questa prospettiva, concetti che appaiono distinti a un livello inferiore del pensiero, risultano unificati: essere, bene, verità, unità, bellezza risultano essere la stessa cosa”.
La causa materiale e formale dell’essere, però, non dovrebbe risultare parificata al suo effetto, salvo ulteriore specificazione logica.
Il concetto di Idea nel suo complesso, poi, se mi permette, avrebbe bisogno di una riflessione più approfondita, in tutto il corso del libro.

Ritrovo un sapore molto platonico nel suo pensiero, per questo come per altri aspetti; con la conseguente eredità delle aporie di quel pensiero, pur sempre grandissimo e ineludibile.

Quello che però mi lascia con maggiori perplessità è proprio l’anima, o meglio la sua salvezza.
Siamo tutti dotati di essa per il fatto di essere vivi, ma non in tutti quest’anima è come spirito, non tutti entrano nella dimensione spirituale.
Ciò richiede lavoro e condizioni.
E qui c’è spazio per un intero trattato.
C’è il tema di chi entra nella vita con un ordine fisiologico intaccato fin dall’origine, e di chi, a causa di condizioni di vita tali da corromperlo fin dall’origine, rischia di essere escluso da una evoluzione che porti al raggiungimento dello stato apicale.
Poi nel corso del libro sembra darsi una scelta per soluzioni universali di salvezza, ma il tutto dovrebbe avere maggiore coordinazione razionale.
Vale anche per il concorso dei genitori nella sua formazione. E’ una tesi che esige un apporto concettuale maggiore di quello per ora espresso nel suo lavoro.

Non sono un teologo – purtroppo! - altrimenti affronterei anche il problema della Cristologia, che mi pare evaporare in parte nel contesto, e alcuni punti che mi conducono ai famosi “crampi mentali”.
Un esempio.
Il Dio personale non interviene mai direttamente, ma solo dopo un primo e unico atto che riguarda la creazione.
Eppure noi con la preghiera abbiamo una sorta di influenza che mi pare incongrua nel contesto complessivo del suo pensiero, se rivolta al Dio personale. Se rivolta al Principio Impersonale, è francamente inutile.
Così, i crampi, per il concetto di male, e per quello di tempo.

Mi fermo qui, ammesso che abbia avuto la pazienza di avermi seguito ed esserVi arrivato.
Credo che Lei continuerà a studiare e pensare, e io, nel mio piccolo, farò lo stesso. Cercando di dare ordine ai pensieri arruffati che ho espresso velocemente, e seguendola nel Suo percorso.
Riprenderò la lettura da capo, magari mi accorgerò di non avere capito niente.
Mi creda, comunque, se La ringrazio per quello che è riuscito a darmi.
A pag. 7 scrive: “l’assenza della risposta sulla vita oltre la morte è il segno più evidente della crisi dell’Occidente”.
Ha ragione, temo però che si stia profilando un futuro in cui la stessa domanda rischia di non riuscire quasi ad essere posta, mancando ad essa un maggiore interesse generale.

Con immensa stima
Erica D’Adda

Anonimo ha detto...

Sono daccordo con Erica a tutti i livelli e sui punti controversi. il libro di Mancuso sull'anima si legge tutto d'un fiato, come un giallo, ma alla fine delude,lascia con il desiderio di saperne di più. Ma non poteva essere che così, salvo ipotizzare un intervento eccezionale dello Spirito Santo! argomenti su cui il magistero della Chiesa si è costruito nei secoli e con il contributo dei più grandi pensatori e teologi e dei teologi Santi, non possono essere "esauriti" tutti insieme in uno o due volume e in tempi così ristretti. Semmai questo libro di Mancuso può indurre la Chiesa ad un chiarimento che considero necessario come l'aria che respiriamo: alcune questioni-chiave che riguardano tutto l'uomo e il suo destino sono state aperte e messe in discussione e non soltanto dal libro di Mancuso, ma anche dalla scienza e dalla coscienza "laica" che va alla ricerca della verità . Anche Papa Benedetto auspica un confronto tra fede e ragione: e allora è bene che il dibattito rimanga aperto, purchè dall'una e dall'altra parte si guardi, appunto, soltanto alla ricerca "della verità nella carità "...che per il Cristiano credente è il Logos incarnato, l'Unica Parola con cui Dio ci ha detto tutto. Certo noi non possiamo capire tutto, capiremo quando , se Dio vorrà , saremo faccia a faccia con Lui.
Concordo con Erica sulla difficoltà di concepire un rapporto tra Dio creatore e il Principio ordinatore (Dio, se vuole, può intervenire nella vita degli esseri umani e nella storia, per dare un senso alla domanda e alla sofferenza dell'uomo che l'impersonale Principio non sa e non può comprendere.)
Ma quello che vorrei sottolineare è la giusta osservazione di Erica (che anche io ho fatto mentre leggevo il libro di Mancuso)sulla presenza, o meglio salvezza dell'Anima nel suo destino di immortalità , soltanto nelle persone che si elevano attraverso la meditazione e la preghiera. Forse io ed Erica non abbiamo letto in modo approfondito o non abbiamo compreso il discorso che fa Mancuso. O forse Mancuso dovrebbe chiarire meglio questo punto davvero cruciale. Io mi permetto di dire sull'argomento quello che ho sempre pensato: tutti abbiamo un'anima, che è "forma corporis" e non separata dal corpo, e che certo va curata ed educata al dialogo con Dio nella preghiera, ma la salvezza ci viene dalla struttura stessa dell'anima, creata, come dice il libro della Genesi "ad immagine e somiglianza di Dio". Se Dio è Amore, come credo fermamente, noi siamo capaci di Amore. Di quell'Amore che ci viene dalla Fonte dell'Amore e che è la Sua Vita stessa. Se accettiamo anche soltanto di essere amati da Dio (e non è facile), ricambiare sarà la nostra gioia e la nostra Vita già adesso sulla terra e in modo completo nell'eternità .
Ringrazio Mancuso, Erica e l'autore del blog per questa bella occasione di dialogo. Non fermiamoci sulla strada del confronto e della ricerca della Verità .
M.

Anonimo ha detto...

sul mio blog scrivo del libro

Anonimo ha detto...

“L’Anima e il suo destino”.
Carissimo prof. Mancuso,
solo dopo aver scritto le mie parole “Professor Mancuso, io ritengo assolutamente infondata la sua preoccupazione” su http://www.ilfoglio.it/hydepark che sicuramente le saranno risultate ingenue e rozze, mi sono preoccupato di capire a chi avessi scritto. Ho scoperto che Lei è un Teologo, e che Teologo! Poi dopo aver letto qualcosa disponibile nella rete, ho deciso di acquistare il suo ultimo libro “L’Anima e il suo destino”. Quando ho letto nei ringraziamenti che lei auspica commenti indirizzati a vitomancuso@alice.it e dopo aver cominciato a leggere le prime pagine ho sentito subito l’urgenza di comunicarle ciò che penso.
Cominciamo con il “Mondo”, su come lo definisce a pag. 3. Unico Mondo è quello fisico, peraltro ancora non totalmente scoperto. Per quanto riguarda l’affermazione di John Searle che lei condivide non tiene conto di tutto quello che deriva dalla percezione che è dipendente dai nostri 5 sensi e soprattutto dalla nostra esperienza che utilizzando la generalizzazione (è solo uno degli esempi) comporta che la stessa realtà possa essere percepita in maniera diversa. Il cammino di purificazione, o di ascesi o di consapevolezza permette di avere via, via sempre meno interferenze nella percezione che consentono di accedere alla realtà.
Questo cammino è stato intrapreso e continua a essere intrapreso da chi desideri raggiungere quello che gli psicologi definiscono consapevolezza.
Quindi c’è un solo mondo solo per chi è consapevole! Più precisamente esiste un solo mondo solo quando siamo in uno stato di consapevolezza ( tale situazione è dinamica ovvero c’è e non c’è consapevolezza, ovvero a volte siamo consapevoli e a volte non lo siamo).
Inoltre la realtà essendo il creato che è l’immagine del creatore ti consente di accedere al Creatore e quindi di gustarne la comunione.
Tutto questo provvede a centrare l’argomento perché se tutto è stato creato da Dio, quando discorriamo del creato, quindi anche del mondo fisico, se siamo consapevoli stiamo discorrendo di Dio. Quindi che cos’è la Teologia? E’ tutto ciò che risulta la spiegazione del creato! Tutto è Teologia poiché tutto è stato creato da Dio.
A cosa serve la Teologia? Ad accedere a questa verità, ovvero ad eccedere alla realtà.
Poi ho letto le pagine 3, 4 e 5 e devo subito dire che Lei descrive l’effetto come la causa. Mi spiego meglio Lei dice che la paura della morte, che brevemente viene definita PAURA, è ciò che ci fa accedere al SACRO. L’affermazione è corretta ma non esaustiva. La paura della morte è un meccanismo che è indispensabile e assicura la sopravvivenza. Nella giungla se arriva una tigre che mi può sbranare la paura di morire mi motiva a fuggire e mi salva da morte certa. Ma ciò che motiva il sacro non è la paura di essere sbranato dalla tigre, ma la paura i essere ucciso e uccidere propria dei meccanismi mimetici di rivalità violenta della costruzione antropologica artificiale denominata “Mondo” o società umana. Il Sacro è stato necessario per impedire che la società in preda alla febbre contagiosa della violenza mimetica arrivasse alla distruzione. Tutto questo è stato spiegato dal già citato antropologo Renè Girard (io l’avevo citato nel mio povero commento al suo articolo su il Foglio).
Lei a pagina 5 sostiene che “la morte costituisce la sorgente di tutti i discorsi religiosi” ma tale affermazione è incompleta poiché è la rivalità mimetica violenta che può generare l’estinzione di una società che costituisce la sorgente del sacro.
Lei continua a disquisire della morte così come lei la definisce arrivando a una conclusione corretta dal mio punto di vista che è quella di pag. 7 “chi ha paura della morte, ha pura della vita” ma questa conclusione non scaturisce dal suo ragionamento poiché lei afferma che vi sarebbe una mancanza del senso e di capacità di vedere il senso della morte nella società in cui viviamo, io invece affermo senza paura di essere smentito che la nostra società, così come quella della fondazione del mondo tratta il morto come un estraneo, come qualcosa da rimuovere immediatamente come se il resto dei vivi sia estraneo a questo evento che non li riguarda. Noi viviamo così come vivevano alla fondazione del mondo considerando “il morto” come qualcosa di estraneo, che non ci riguarda poiché viviamo come se fossimo nella vita eterna e che la stessa ci viene garantita dai meccanismi della costruzione antropologica artificiale che attraverso l’accumulazione dei beni materiali ci illude di aver ottenuto il potere DELLA VITA ETERNA.
La paura di vivere è la paura di non accumulare beni materiali e che per questa mancanza, assenza, si possa morire. Quindi la follia è proprio nella allucinazione creata dal meccanismo della costruzione antropologica artificiale, che abbiamo dimenticato essere stata fondata al solo scopo di poter vivere più comodamente attraverso la divisione dei compiti, cioè attraverso la specializzazione che prevede il vivere insieme in società per poter ottenere beni e servizi.
Questa paura di non sapere cosa c’è dopo la morte di cui le tratta è solo una sua idea. Infatti mai nessuno ha avuto certezza o notizie su cosa sia la vita dopo la morte, chi ne scrive, chi scrive dell’ineffabile è colui il quale è consapevole e ha avuto accesso alla realtà che è la verità che è l’amore che è Gesù attraverso la GRAZIA.
E chi ha accesso all’amore vive bagliori di eterno qui ora e quindi sa cos’è l’eterno e non ha pura di morire.
Chi ha accesso alla realtà, che è la verità che è l’amore che è Gesù ha visto cosa c’è qui, ora che è l’eterno. E’ una esperienza e può capirla solo chi l’ha fatta ed è incomunicabile se non con allegorie e parabole come ha fatto Gesù, è l’ineffabile.
Spero di poter leggere più pagine senza sentire il bisogno di scriverLe, altrimenti la lettura di questo libro mi occuperà per troppo tempo, anche se è interessante quanto lei afferma.
Con la più viva cordialità
Antonio Bruno
Via Vittorio Emanuele III, n° 160
73016 San Cesario di Lecce
Carissimo prof. Mancuso,
ho continuato la lettura del suo libro e le pagine, 8,9,10,11,12,13 e 14 mi sono sembrate una bella sintesi di ciò che la fisica, ovvero per il mio e, prendo atto, anche suo convincimento, è la natura che in quanto creato è immagine di Dio, ovvero ci parla di Dio e accedendo alla realtà che non risulta percepibile dai nostri sensi, (lei non vede come me né elettroni né neutroni in movimento ma cose solide quando sa perfettamente che tutto è IL VUOTO QUASI ASSOLUTO e che tutto è energia. Energia = massa moltiplicato velocità della luce elevata al quadrato).
E se ciò che appare visibile è di fatto invisibile è possibile affermare che vi sia un mondo invisibile ai nostri sensi laddove c’è l’energia che è il tutto. Mi spiego meglio è nell’energia che c’è il materiale e lo spirituale, è tutto in questa unità che i FISICI TEORIZZANO COME CAMPO UNIFICATO DELLE FORZE.
Si è mai chiesto caro prof cosa spinga una pianta a riprodursi nonostante non possa sfuggire agli attacchi dei parassiti e dell’uomo?
Arrivano gli insetti e se la mangiano, arriva l’uomo e la sradica per nutrirsi o per costruirci qualcosa, ma la pianta continua a produrre semi, dai quali nasce un’altra pianta che produce ancora semi e li produce prendendo polline da altre piante. Perché? Cosa spinge a questo accanimento alla vita gli esseri viventi? Cosa rende assolutamente NATURALE la vita?
Se lo chieda caro il mio prof. Io me lo chiedo oramai da tempo avendo accesso all’osservazione di ciò che mi circonda e intravedendo in lande sconfinate solitari cipressi che continuano a vivere da decenni senza avere dubbi e senza manifestare alcun tipo di cedimento.
Lei lo chiama destino di vita. Certo che lo è! Ma sono curioso di vedere per quale ragione lei ritiene che un essere vivente abbia un destino di vita e non di morte.
Lei a pagina 9 sostiene che il suo tentativo è di condurre il discorso sulla “possibile continuazione della vita al di là della dimensione naturale”.
Poi come già detto si diffonde nella spiegazione di ciò che è secondo lei natura e inesorabilmente arriva a dire che la natura è ciò che studia la fisica.. Ma se ciò è vero, (io come lei penso allo steso modo) allora la vita è tutto, la vita è il campo unificato e il campo unificato è senza spazio e senza tempo come la fisica quantistica ha iniziato a farci intravedere.
Albert Einstein ha esposto la «teoria del campo unificato» che, con una serie di equazioni fra loro collegate, espone le leggi fisiche governanti le due forze fondamentali dell'universo: gravitazione ed elettromagnetismo. I1 significato di questa teoria può essere apprezzato solo quando si pensi che virtualmente tutti i fenomeni della natura sono conseguenza di queste due forze primordiali.
Quindi tutto è conseguenza di gravitazione ed elettromagnetismo.
Quindi è in quel luogo che risiede tutto, e nel tutto c’è anche ciò che lei sostiene essere al di là della dimensione naturale, che non c’è, non c’è questo al di là poiché tutto è qui ora. Il Regno è qui, ora!
L’eterno presente.
Con la più viva cordialità
Antonio Bruno
Caro prof Mancuso vitomancuso@alice.it ,
la mia lettura del suo libro “l’anima e il suo destino” prosegue, sono arrivato a pagina 34.
Ho letto di Giordano Bruno, dell’inquisizione e della teologia italiana che continua a dire signorsì. Molto interessante, ma continuo a pensare che tutto ciò non ha nulla a che vedere con l’anima.
Ora mi spiego meglio.
Vede caro prof, io incontro spesso davanti ai semafori i fedeli dell’islam che vogliono lavarmi i vetri dell’auto, li incontro anche al mercato dove sono tutti presi nel vendere collanine o DVD e griffe provenienti esclusivamente dalla Cina, io con queste persone parlo e colgo un’affinità che non colgo con la maggior parte delle persone che appartengono alla nazione Italia e di cui io sono appunto connazionale.
Io colgo che al centro della discussione, tra me e il seguace dell’Islam c’è la consapevolezza che tutto quello che siamo viene da Dio, c’è la consapevolezza che tutto quanto ci circonda è di Dio, che non lo possediamo che ne possiamo fare uso senza farne abuso perché è di Dio.
Di questo io non sento parlare nel mio ufficio, dove si dice che tutto ciò che abbiamo è nostro e che è nostro anche quello che hanno gli altri che ce l’hanno sottratto. Oppure che quello che hanno gli altri non lo meritano e che per questo stesso motivo noi dobbiamo fare di tutto per sottrarglielo. Perché se avrò quella donna io sarò felice, se avrò quella macchina io sarò felice e se avrò quella carica di potere sarò felice.
Ora lei caro prof, mi dirà che tutto questo non ha nulla a che vedere con l’inquisizione, Giordano Bruno, le pagine della Bibbia che parlano di crani di neonati da frantumare con le pietre e di uccelli che devono cibarsi delle carni degli uomini.
E probabilmente lei ha ragione a vedere tali contraddizioni e a farle presenti alla gerarchia tutta presa a vivere all’interno dell’organizzazione antropologica artificiale chiamata Organizzazione Ecclesiale.
Probabilmente costoro trarranno giovamento da questo mettere in discussione, questa critica “alla Kant” e io sono certo che è così.
Ma a me che ho scoperto Gesù tutto questo mi intriga sul piano della curiosità ma non mi fa perdere di vista ciò che ha cambiato la mia vita, la scoperta fatta grazie a Gesù che ha cambiato la mia vita, perché grazie a Gesù ho scoperto che l’organizzazione antropologica artificiale chiamata “Società civile” con il meccanismo della rivalità mimetica genera violenza e che questa violenza nasce dall’illusione che la natura sia un qualche cosa di avverso, come le intemperie, che la natura sia nemica, da tenere alla larga, anche dalle città e che invece sia confortevole ciò che è artificiale e generato in maniera artificiale al solo scopo di rendere più confortevole la vita in questo mondo naturale e che il confort viene scambiato come vita eterna e per questo motivo si accumulano ricchezze in maniera così enorme che non sia avrà mai la possibilità di consumare non mettendole in comune ad esempio con l’islam.
Questo l’hanno scoperto anche gli islamici che vivono e lavorano in Italia. L’ha scoperto anche quello che viene a propormi orologi Rolex sulla spiaggia. L’ho scoperto addirittura io che sono un esempio vivente della mimesi rivalitaria.
Si è chiesto professore perché il 99% delle persone che frequento non l’ha scoperto? Io si! Mi sono persino chiesto in che cavolo di modo comunicargli questo.
Ma sono comunque interessato ai dogmi della Chiesa Cattolica Apostolica Romana di cui faccio parte come fedele, seguace, adepto, socio, uomo, o non so nemmeno io a che titolo.
Continuerò a leggere e volevo parteciparle i sentimenti che sono venuti fuori così come mi sono usciti, con semplicità e, spero con chiarezza.
Con la più viva cordialità
Antonio Bruno
Caro prof. Mancuso vitomancuso@alice.it ,
sono arrivato a pag. 49 del suo libro “L’anima e il suo destino. Lei scrive della struttura antropologica artificiale dei preti e vescovi illustrando l’evoluzione interna di questa struttura.
Si è vero la struttura ha avuto il potere di decidere molte cose in Italia ed è per questo motivo che c’è un così diffuso anticlericalismo nel nostro paese. Anche qui c’è una struttura antropologica artificiale che vede un ostacolo in un’altra struttura antropologica artificiale e che, per la conquista del potere, innesca una rivalità mimetica violenta che ha visto contrapposte persone a persone, che ancora oggi ha epigoni di questa lotta tutta mondana.
Ma questa è la stessa lotta tra strutture antropologiche artificiali chiamate USA e URSS nel secolo XX, è la stessa lotta tra strutture antropologiche artificiali chiamate Spagna e Inghilterra, Francia Napoleonica e Austria, Germania Nazista ecc. ecc. ovvero nulla di nuovo sotto il sole.
Le persone che hanno organizzato la struttura antropologica artificiale per una rivalità mimetica violenta innescata dal desiderio triangolare che prevede uno che ti indica cosa desiderare e che , allo stesso tempo, ti impedisce di usufruire dell’oggetto del desiderio vanno in conflitto per ottenere ciò che ritengono li farà felici.
Oggi, qui e ora sta accadendo tutto questo tra il 20% della popolazione mondiale che possiede l’80% della ricchezza mondiale di cui facciamo parte anche noi e l’80% della popolazione mondiale che possiede il 20% della ricchezza mondiale denominata III e IV Mondo. Oggi, qui e ora sta accadendo nella crisi del grano e dei cereali che ha messo in ginocchio queste popolazioni.
Poi lei nel suo libro continua scrivendo sulle realtà ultime, eschata, novissimi o escatologia. Ora mio caro prof. mi spieghi per piacere attraverso quali testimonianze che non derivino dal Vangelo i teologici si siano avventurati i questo territorio che mi risulta inesplorato. Le chiedo se vi sia mai stato chi ha riferito di questi novissimi. Lei dice che sono 4, ovvero Morte, giudizio, inferno e paradiso nel catechismo ma che poi potrebbero essere 5 o 6. Ancora, sempre nel suo libro riferisce di persone appartenenti alla struttura antropologica artificiale dei preti e vescovi che ritengono sia importante un ripensamento di questo da parte dei teologi, e che addirittura tali appartenenti alla struttura antropologica artificiale dei preti e vescovi rimproverino la mancanza di una sia pur minima elaborazione dei teologici intorno a questo tema.
Io frequento tante persone, le assicuro che nella mia vita non mi è mai capitato nessuno che mi abbia chiesto se vi siano solo 4 novissimi oppure se invece siano 5 o 6. Anzi le dirò che nelle mie innumerevoli discussioni intraprese con innumerevoli persone questo tema non è mai capitato.
Ma lei pensa che sia capitato con i parenti dei defunti con i quali ho parlato? Nemmeno! Tanto che il sud del lutto eterno dove le donne indossavano abiti neri per non toglierli più (io le ricordo le donne eternamente in nero della mia terra) è diventato il sud del LUTTO MAI, perché caro il mio prof, oggi i manifesti di morto li mettono addirittura su pannelli in legno, così portato via il morto, si portano via i pannelli e del morto non rimane più nulla. E lei scrive dei novissimi e delle preoccupazioni della struttura antropologica artificiale dei preti e vescovi?
Ancora nel paragrafo dedicato alla domanda sul cielo si diffonde sulla concezione delle persone fatte di anima e di corpo. Lei si diffonde sulla mancanza della percezione di questa differente presenza all’interno dell0individuo che non si ritiene composto da queste due realtà diverse. Prof non le risulta che dei due popoli Gesù ne ha fatto uno solo? Prof le risulta per caso che Gesù ha unificato e che quindi questo dividere per studiare, per analizzare separando non aiuta ed è velleitario?
Infine finalmente dedica qualche riga alla vita eterna, qui e ora, all’eterno presente. Lei sostiene che la teologia debba aiutare ad ottenere questo. Spero che nel prosieguo della lettura mi provenga qualche indicazione su come comunicarlo agli altri, perché comunicandolo agli altri lo comunico anche a me stesso, ricordandomelo perché le insidie del desiderio mimetico non mi abbandonano mai.
Con la più viva cordialità
Antonio Bruno
Caro prof. Mancuso vitomancuso@alice.it ,
lei a pag. 52 del suo libero “L’anima e il suo destino” scrive che:
Uomo – Mondo = X
Per lei caro prof. l’incognita X sarebbe appunto l’anima. Ma io penso che l’anima sia nel mondo e che essa appartenga a una sorta di collegamento con tute le persone umane che si toccano, penetrano l’un l’altra e che quindi l’anima sia ciò che canta pura nei bambini che li ha fatti definire ciò che dobbiamo imitare a un Gesù che addirittura minaccia chi poi li avrebbe contaminati con la rivalità mimetica indicando ciò che dovevano desiderare essendo appunto di scandalo (pietra d’inciampo).
Quindi se proprio vogliamo dirla tutta se all’uomo togliamo quello che definisco Organizzazione antropologica artificiale che indica ciò che dobbiamo desiderare per poi togliercelo ed essere d’ostacolo generando rivalità mimetica violenta, rimane l’uomo e i suoi appetiti (che non sono desideri) in cui lo Spirito Santo trova il modo di potersi esprimere attraverso le azioni di giustizia dell’uomo!
Per lei Mondo è ciò che è materiale e di cui facciamo parte integrale. Io non vedo l’uomo e poi il mondo. Io vedo il mondo e i questo contesto l’uomo ha degli appetiti che soddisfa e vive nella giustizia e nella grazia.
L’uomo dandosi una Organizzazione antropologica artificiale scambia questa stessa e le sue regole per il Mondo e tale allucinazione genera la violenza. La violenza viene generata da questa costruzione meccanica che inconsciamente facciamo vivere attraverso le nostre azioni inconsapevoli. Se diveniamo consapevoli ecco che tale violenza scompare, ci cade dalle mani, perché abbiamo capito, finalmente capito il trucco, l’allucinazione, la droga.
Quindi la sua equazione è errata. L’equazione esatta è:
Mondo organizzato artificialmente in cui vive l’uomo rivalitaria - mimesi rivalitaria derivata dall’Organizzazione antropologica artificiale = Uomo – Amore – Comunità.
E’ molto importante che il punto di partenza del ragionamento sia condiviso. Anche nei termini. L’uomo vive e si organizza e questa organizzazione è stata svelata dagli studi di Renè Girare. Il mondo ha girato per miliardi di anni senza l’uomo e si è anche lui organizzato seguendo il disegno di Dio. Se l’uomo rimane immerso in questo disegno è nel giardino terrestre, nell’eden. L’uomo ha rotto questa organizzazione divina, l’ha rifiutata dandosi una Organizzazione antropologica artificiale che divenuta autoreferente ha generato la mimesi rivalitaria violenta.
E’ così semplice ma per svelarlo c’è voluto Gesù che è morto e risorto.
Nonostante tutto questo mi sia chiarissimo, nonostante io abbia verificato nella mia esperienza personale di ogni giorno che tali situazioni sono la realtà di ogni giorno, io continuo a sentire fortemente la suggestione del desideri triangolare, della rivalità mimetica violenta.
La consapevolezza di tutto questo non basta ad accedere alla Pace, alla Pace che Gesù ci ha lasciato. C’è necessità di immergere tutto questo in un mondo che sia fatto di persone consapevoli con le quali condividere l’esperienza di amore che appunto funziona solo con le altre persone umane, tutte le altre persone umane.
Ecco la mia necessità di consapevolezza condivisa per poter entrare in contatto con la realtà, ovvero con la natura, mondo o come dir si voglia con i fratelli e con me stesso. Nell’ordine che preferisce lei prof. Per la mia esperienza io sono prima entrato in contatto con me stesso con una endoscopia continua che ancora mi accompagna, poi con la comunità e infine con il mondo, natura.
Con la più viva cordialità
Antonio Bruno
Caro prof.. Mancuso vitomancuso@alice.it ,
sono arrivato alla fine del capitolo 2 per la precisione a pag. 75 e a parte le prime cose il resto mi trova in una situazione di aver provato a fare le stesse esperienze e quindi ciò che vi è descritto mi risulta comprensibile.
Ma andiamo con ordine. Lei giustamente afferma che la materia è soprattutto vuoto e che la condizione di equilibrio determina il mondo minerale che peraltro non è in quiete, ma appare in quiete a noi solo perché i nostri sensi (vista, udito, tatto, gusto e odorato) non sono in grado di percepirne il movimento.
A quel livello accadono peraltro cambiamenti di stato (solido, liquido, gassoso) che sono determinati dall’energia. Secondo lei, caro il mio prof, i viventi avrebbero un surplus di energia che si esprime in movimento percepibile, quindi secondo la sua stessa definizione l’anima sarebbe questo surplus che quindi ci sarebbe anche nei minerali che appunto cambiano stato fisico?
Vede che si avventura in questioni assolutamente ininfluenti? Ma cosa vuole determinare se non vi è stato ancora alcuno, se non chi abbia intrapreso il cammino di ascesi, a percepire l’anima, lo Spirito? Vede che il suo cammino è pieno di intoppi e lei è malfermo sulle gambe di queste argomentazioni che sono assolutamente fideistiche e che anche in quell’ambito risultano la sua intuizione che peraltro non è la mia. Io percepisco lo Spirito in tutto il creato, senza distinzione alcune, nel tutto, perché tutto è integrale.
Inoltre anche queste parole inadeguate che ho utilizzato per esprimere e significare la mia esperienza sono un balbettare balbuziente che fa ridere anche me quando rileggo quello che scrivo, perché l’ineffabile può essere indicato e solo chi ha accesso riesce a comprendere.
Come questa sistematica dell’anima che propone: diversi gradi di specializzazione a partire dai vegetali, poi animali e infine uomo.
Mio caro noi tutti siamo il creato, tutta l’energia è il creato a immagine e somiglianza di Dio, Padre Onnipotente Creatore del cielo e della terra e di tutte le cose visibili e invisibili.
Le relazioni lineari di causa ed effetto funzionano solo nel pianeta che viviamo perché sia l’infinitamente grande (Relatività) che l’infinitamente piccolo (quantistica) non funzionano obbedendo a quella linearità. Le ho già scritto dell’intuizione del campo unificato e si attende conferma ispirata dallo Spirito Santo per comprendere finalmente il Creato nella sua integralità.
Poi sino a pag. 75 pur tra sue interpretazioni che non collimano con la mia esperienza per la maggior parte capisco di che scrive per averlo vissuto sulla mia pelle da quando ho avuto la Grazia di poter accedere prima al silenzio, per quindi osservare me stesso tra urla e grida che si susseguono incessantemente in quello che io definisco l’universo racchiuso dentro di me. Ma anche in questo devo significarLe che nulla di nuovo è sotto il sole. Per essere più chiaro non c’è un rivelamento simile a quello che ho avuto da Renè Girare, almeno sino alla pagina 75 del suo libro.
Con la più viva cordialità
Antonio Bruno
Caro prof. Mancuso vitomancuso@alice.it ,
sono a pag. 90 del suo libro “L’anima e il suo destino” e pur non avendo finito di leggere il terzo capitolo mi sono dovuto fermare perché tante cose mi sono venute in mente e ne vorrei scrivere. Intanto parto dall’inizio e cioè che io credo alla resurrezione dei morti e alla vita eterna. Perché questo è il mio punto di partenza.
La vita eterna è per forza di cose la mia vita eterna, così come è quella dei mie parenti defunti. Io le chiedo e mi chiedo: se nessuno dei miei parenti (e presumo nessuno dei suoi parenti) ha più avuto contatti con me dopo la loro morte fisica, eppure continuano a vivere e, vi è di più, come dicono gli avvocati, resusciteranno nel giorno del giudizio, perché mai noi dovremmo parlare di loro che invece è evidente non possano parlare con noi?
E’ come se noi fossimo in un “mondo a due dimensioni, in questo mondo potremmo parlare di linee, punti, addirittura di figure come il quadrato, ma del CUBO non potremmo parlare, potremmo intuire una corpo a tre dimensioni vivendo in un mondo dove esistono solo quelli a due dimensioni? Noi che viviamo in un mondo a tre dimensioni potremmo, sforzandoci, intuire qualcosa a 5 o a 6 dimensioni?
Vede Gesù non si è avventurato in questo territorio, eppure lui avrebbe potuto, lui che è Dio, avrebbe potuto ma ci ha lasciato lo Spirito Santo che è Dio.
Caro prof. Mancuso si è chiesto il perché Gesù, nel Vangelo di oggi abbia utilizzato la parabola del seminatore e abbia anche spiegato che tale parabola era necessaria perché “Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono. “ Matteo 13,13 eppure nonostante abbia fatto questo non abbia invece parlato dell’anima nei termini in cui ne scrive lei e i teologi che l’hanno preceduta.
Lei ritiene che alla creazione partecipino i genitori che in virtù della sua affermazione divengono coo – creatori, la gerarchia della Chiesa Cattolica Apostolica Romana intesa come Organizzazione Antropologica artificiale di preti e vescovi sostiene che l’anima derivi direttamente da Dio, ma scusi che cambia?
Lei dice che cambia la percezione dell’anima in noi che addirittura non ne abbiamo percezione per colpa della descrizione data dalla gerarchia della Chiesa Cattolica Apostolica Romana intesa come Organizzazione Antropologica artificiale di preti e vescovi, quindi sembrerebbe che grazie alla sua tesi, all’anima creata anche dai genitori le persone potrebbero avvicinarsi all’anima e quindi alla resurrezione dei morti e alla vita eterna.
Mi permetta di scrivere a chiare lettere una domanda: Il suo libro ha avuto un grande successo editoriale, l’hanno comprato moltissime persone le risulta che qualcuna di queste grazie all’affermazione e conseguente dimostrazione del suo libro circa la creazione dell’anima con la partecipazione dei genitori ha avuto accesso al credo alla resurrezione dei morti e alla vita eterna? Io ho provato a proporre la questione e non ho avuto alcun riscontro positivo, le credenze di un cittadino medio sulla vita eterna e la resurrezione dei morti sono da paragonarsi per intensità a quelle sul gatto nero che porta male, l’oroscopo che prevede il futuro e al cornetto rosso che allontana la iella.
Io non so la sua realtà, né conosco le sue frequentazioni, ma tra le persone che incontra abitualmente c’è qualcuna che ha dichiarato che la sua vita è cambiata perché ha percepito finalmente l’anima grazie al fatto di sapere che i genitori concorrono alla sua creazione?
Continuerò nella lettura ma queste pagine mi sembrano una disputa tutta tra le mura dei teologi che come organizzazione antropologica artificiale pensano a dimensioni di cui non hanno esperienza e le cui persone defunte che ne hanno esperienza non sono in contatto con loro per spiegare, e di cui, il nostro Dio, Gesù, vissuto in Galilea 2008 anni fa non ha parlato nemmeno in parabole, dico io perché non si può parlare a un mondo popolato da quadrati del mondo popolato dai cubi.
Con la più viva cordialità
Antonio Bruno
Carissimo Prof. Mancuso vitomancuso@alice.it ,
purtroppo impegni di vario tipo e natura mi hanno impedito di proseguire nei giorni scorsi, come avrei voluto, nella lettura del suo libro “L’anima e il suo destino”. Inoltre in questi giorni avrei voluto almeno scrivere di ciò che ho letto nelle pagg. 98 e 99 del suo libro laddove lei sostiene:
“…..E’altresì vero che, per quanto allevati dagli uomini e in grado di parlare, vi sono esseri umani che non progrediscono molto oltre la vita animale, sono totalmente in balia dei loro sensi, ora sono fame, ora sonno, ora sesso, ora prestigio sociale, e si muovono nel branco della società con la stessa meccanica necessità che guida per lo più gli animali.”
Alla luce delle mie letture dell’antropologo Renè Girard quanto da lei asserito confonde due cose completamente differenti facendole passare per identiche.
Mi spiego meglio: ora sono fame, ora sonno, ora sesso sono esigenze primarie che risultano presenti in ogni persona umana, e anche nel mondo animale e per quanto riguarda fame e sesso anche nel mondo vegetale. Quindi si tratta di appetiti che vanno soddisfatti in quanto tali. E che in quanto tali sono neutri.. Gli animali si nutrono senza mai ingrassare (quelli obesi vivono in un organizzazione antropologica artificiale) e fanno sesso quando si devono riprodurre (l’erotismo è un fatto tutto legato alla organizzazione antropologica artificiale). Quindi sesso e fame così come sono assumono le caratteristiche di appetito, quando divengono modi per soddisfare “cose altre” divengono veri e propri disturbi comportamentali per il cibo (anoressia e bulimia) e per il sesso (anoressia sessuale anorgasmia o impotenza e bulimia sessuale perversioni sessuali di vario tipo e natura).
Diverso è il prestigio sociale. Questo ultimo, come i disturbi comportamentali, deriva dalla organizzazione antropologica artificiale ed è da essa dipendente, la sola differenza è che non viene considerato un disturbo comportamentale. Il prestigio sociale deriva dai posti che nella organizzazione vengono considerati prestigiosi, ma che sono il frutto di un trucco, di un illusione derivata dal fatto che alla fondazione del mondo i compiti vennero divisi per avere una vita più comoda. Il fatto che ci fosse la persona che aveva sviluppato l’abilità di accendere il fuoco piuttosto che quella della costruzione delle abitazioni o della coltivazione dei campi non dava diverso prestigio sociale, ma era funzionale alla divisione dei compiti e alla redistribuzione della ricchezza prodotta dal mondo fondato.
Sia prima che dopo la fondazione del mondo, le persone umane avevano gli appetiti per fame o per riprodursi che sono funzionali all’esistenza in vita sia del singolo che della razza umana e per la qual cosa è stato fondato il mondo.
Per semplificare il mondo, ovvero l’organizzazione antropologica artificiale, è stato fondato per consentire ai singoli di vivere con minori rischi e di riprodursi più facilemente.
Se lei ritiene che l’anima sia ciò che è prodotto dalla mente in qualità di pensiero astratto e svincolato dagli appetiti e dalle passioni butta a mare la parabola della zizzania di domenica scorsa. Il grano e la zizzania crescono assieme affinché togliendo la zizzania non si distrugga anche il grano.
La ragione è come l’energia nucleare, può essere impiegata per scopi benefici o servire per distruggere il pianeta. La verità che poi è l’amore che poi è Gesù informa la ragione e da buoni frutti (il grano).
La struttura antropologica che sviluppa violenza rivalitaria informa la ragione e allora si hanno cattivi frutti (la gramigna).
Ma all’amore ci si arriva per grazia, ed è dinamico, non è sempre presente poiché la struttura antropologica artificiale fondata per garantire la vita terrena (limitata e comunque conclusa dalla morte del corpo) viene sublimata e trascesa come in grado di garantire la vita eterna (quella dell’anima e dello spirito). Questo è il grande bluff, l’illusione di Satana, il Principe delle Tenebre, che proprio per questo ha bisogno del buio, del favore della notte per contrabbandare l’organizzazione antropologica artificiale per il Paradiso in Terra, per l’Eden.
Come quando ti avvicini a una decina di metri, di notte, a una donna per strada. La scambi per una donna, ma sono le tenebre che fanno completare alla tua mente ciò che i tuoi occhi non riescono ad osservare. Ma appena spunta il sole ecco che chi di notte sembrava donna, alla luce del sole è un uomo travestito da donna, un trucco, un illusione.
Una volta svelata da Gesù questa Verità, che poi è l’Amore che poi è Gesù stesso, ecco che le ricchezze del mondo sembrano ciò che sono nella realtà, ovvero beni di cui godere, che non sono nostri, che sono a nostra disposizione durante la permanenza in questa fase della nostra vita sulla terra, che lasceremo ai nostri figli così come ci hanno lasciato i nostri avi e che, quindi, possono essere messi in comune per favorire una bella esistenza a tutte le persone umane.
Per il volgo significa questo, invece per gli eruditi significa quest’altro…mi riferisco a quanto scritto da Spinoza e da Lei citato a pagina 99 che lei vedo approva e condivide. Solo che c’è un particolare caro il mio prof. Mancuso, che ai piccoli come quelli che Spinoza sostiene onorino i capi della Chiesa è stato rivelato ciò che risulta oscuro ai grandi, e che questi stessi hanno opportunità di entrare nel Regno dei Cieli ben maggiori di quelle che lo stesso Gesù concede ai ricchi ai quali riserva invece il famoso “è più facile che un cammello…..”
Poi andiamo a pagina 100 dove lei al punto 38. Pienezza in cui Lei dice “….asservire il proprio Io alla dimensione più grande dello Spirito, alla Verità……” Ora anche per questo non c’è assolutamente nulla da eccepire se non la considerazione di Pietro che dopo aver saputo da Gesù dei ricchi (anche quelli di cultura ovvero gli intellettuali) e del Cammello chiese “Chi si salverà?” e Gesù chiarì tutto quanto con il famosissimo e citatissimo “Ciò che è impossibile all’Uomo è possibile a Dio” che mette in luce che davvero noi siamo i tralci e lui è la vite, e che nulla è possibile senza di Lui.
Naturalmente ciò che ho scritto è frutto della mia esperienza e chi legge,m se non ha fatto la stessa esperienza, intenderà ciò che ho scritto a modo suo, poiché l’esperienza di ciò che ho scritto in maniera così poco espressiva e che mi sembra assolutamente inadeguato e un balbettio quasi senza senso rispetto a ciò che ho vissuto.
Ma chi ha fatto esperienza di questo, nonostante la mia misera nell’esprimere mi capirà, mentre chi ancora non ha avuto questa grazia leggerà e interpreterà a seconda dell’esperienza che ha avuto nella sua vita. Ma magari qualcosa lo potrebbe scuotere, potrebbe addirittura darsi che il Signore Nostro, nella Sua infinita misericordia, si serva di un miserabile come me per comunicare a Te quello che Lui vuole dirti (il mio non è dare del Tu a Lei prof. Mancuso, ma è un dare del Tu al lettore eventuale che mi stesse leggendo sul mio blog).
Poi quando parla di Mozart mi comunica esperienze che io ho fatto e comprendo che è così, che è come lei sostiene. Ma lo comprendo io perché ho avuto la Grazia di fare queste esperienze. Chi non le ha fatte le leggerà come una sua opinione su Mozart e basta.
Alla fine di questa parte ancora questa Sua ossessione di chi generi l’anima. Lei ritiene che siano compartecipi i genitori e allora a questo punto lo sono tutte le persone umane che per dirla come dice lei “si prendono cura”. Ma Le ripeto il mio “che importanza ha?” Lei non ha prove di quanto asserisce allo stesso identico modo della Gerarchia ecclesiastica. Sono delle opinioni, la Sua e quella della Gerarchia che non cambiano la faccenda. C’è l’anima! Ognuno di noi ha un anima! L’anima è immortale! L’Eterno presente!
Ma Lei ha scritto di questo nel 4° Capitolo.
Con la più viva cordialità
Antonio Bruno

Anonimo ha detto...

......è positivo che tanta gente si occupi di problemi che riguardano l'anima e la vita, da una parte ringrazio il Prof.Mancuso per aver risvegliato molte anime e dall'altra invito l'ortodossia cattolica e la Chiesa ad aprire un Concilio su questioni teologiche che non possono e non devono più essere rimandate, in nome della Verità richiamata da Gesù.Auspico un dialogo tra tutte le forze in campo, senza formalismi o prese di posizione,noi Cristiani della base aspettiamo questo da molto.Grazie e buon lavoro a tutti.

Anonimo ha detto...

"Matto è chi spera che nostra ragione possa trascorrer l'infinita via che tiene una sustanza in tre persone ,state contenti umana gente al QUIA che se possuto aveste veder tutto mestier non era parturir Maria ! "
Dante ( PURGATORIO )
Per Vito Mancuso e per tutti noi !
Silvio Tosi