22 febbraio 2008
Dopo-Castro, mediazione della Chiesa? (Di Giacomo per "La Stampa")
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Dopo-Castro, mediazione della Chiesa?
FILIPPO DI GIAOCOMO
A Cuba il cardinale Bertone avrà motivo di sorridere. Come uomo di cultura, sarà contento del successo della mostra su Giotto e gli affreschi della Cappella degli Scrovegni di Padova inaugurata, in suo onore, nel Convento di San Francisco de Asis con una massiccia presenza di ministri.
Come uomo di Chiesa, osserverà le chiese affollate: l'incremento dei battesimi tocca il 47% l’anno, il 79% dei battezzati cubani infermi riceve l'estrema unzione, cresime e prime comunioni crescono del 200% ogni anno.
Come ha scritto Benedetto XVI nel messaggio che gli ha affidato, «la Chiesa deve seminare nel tessuto sociale cubano sentimenti di comprensione, misericordia e riconciliazione», contribuendo a «migliorare l’uomo e la società». Il popolo di Cuba, però, come disse già dieci anni fa Giovanni Paolo II nello storico viaggio sull’isola, deve poter «spalancare la sua mente, il suo cuore e la sua vita a Cristo».
Il cardinale dell’Avana Ortega y Alamino riferirà che il 60% di coloro che vanno a messa sono fedeli tornati alla Chiesa, o che hanno scelto d’essere battezzati nell'ultimo decennio, successivo alla visita di papa Wojtyla. La rinascita religiosa dell'isola è quasi tutta cattolica. E nonostante un decremento demografico dovuto alle forti correnti migratorie subite dalla società cubana, la crescita dei fedeli della Chiesa di Roma è molto alta. Nell'agosto 1994 in pochi presero sul serio il líder máximo che annunziò l’intenzione di invitare il Papa a Cuba. Nonostante le positive reazioni vaticane, l'invito fu presto dimenticato. Nel frattempo, voci autorevoli ipotizzavano per Cuba un dopo-regime affidato alla mediazione della Chiesa. Castro sapeva che la prima libertà a essere reclamata dal popolo sarebbe stata quella di coscienza e di religione. Già negli Anni 80 l'onda lunga della missione di Giovanni Paolo II aveva raggiunto le coste cubane, si tornava a riempire i luoghi di culto.
Anche il cattolicesimo cubano aveva assunto una nuova immagine, disegnata dall'allora vescovo dell'Avana Rodriguez e da due suoi combattivi confratelli, reduci dai «campi di rieducazione» castrista, il vescovo di San Salvador Pedro Meurice e l'allora giovane presule di Pinar del Rio Jaime Ortega. Anche se firmati da tutto l'episcopato cubano, ai tre vescovi viene attribuita la redazione di due documenti - gli atti del convegno della Chiesa cubana del 1986 e la lettera pastorale del 1993 - ancora considerati la chiave metodologica di ogni futura transizione politica post-castrista. È grazie a questi due manifesti che, negli ultimi decenni, i cattolici cubani hanno assunto un'identità sociale credibile e riconoscibile, incarnandosi in una realtà storico-politica in evoluzione. La Chiesa di Cuba è riuscita a mantenersi povera, a non gestire alcuna forma di potere, a essere presente con una chiara vocazione di pace. Così, con una fitta rete di iniziative e dibattiti, i cattolici mantengono una forte attenzione sui problemi sociali e i temi sensibili come l'economia, la scarsa attitudine democratica delle istituzioni, la costante limitazione delle libertà individuali. Nel novembre 2005, dopo una visita del cardinale Bertone, Fidel ha avuto un lungo incontro con i vertici dell'episcopato cubano. Quest'anno, agli inizi di aprile, per celebrare Bartolomeo de las Casas, nel XVI secolo uno dei fondatori della riflessione giuridica sui diritti dell'uomo, il dialogo diventerà nazionale e metterà a confronto gli accademici marxisti cubani con gli storici e gli intellettuali di parte opposta. I cattolici dell'Avana, sperando in un prossimo presidente Usa democratico e senza preclusioni ideologiche, ripetono che gli abitanti dell'isola caraibica amano risolvere i problemi del loro Paese con la solidarietà e il dialogo. A tale metodo sembra affidarsi anche Raul Castro, uomo di fiducia dell'apparato militare, ostile a ogni soluzione violenta del problema politico del dopo Fidel. Inoltre, «il caso» ha voluto che il segretario di Stato vaticano prendesse l'aereo per Cuba, sperando di aprire «un tavolo di trattative» con il regime castrista, nelle stesse ore in cui Castro senior passava la mano. La diplomazia vaticana, a 90 miglia dalle coste della Florida, lavora in perfetta sintonia con l’amministrazione americana, che non vuole la guerra civile a Cuba.
© Copyright La Stampa, 22 febbraio 2008 consultabile online anche qui
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