20 febbraio 2008

Il Concordato del 1984: un deciso salto di qualità nei rapporti tra Stato e Chiesa (Acquaviva)


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IL CONCORDATO DEL 1984 FU UN ACCORDO NEL SEGNO DELLA LIBERTÀ

Un deciso salto di qualità nei rapporti tra Stato e Chiesa

GENNARO ACQUAVIVA

Ha fatto bene «L’Osservatore Romano» a ricordare il Concordato firmato, ventiquattro anni fa, a Villa Madama da Craxi e Casaroli, come un 'Accordo di libertà'; ed effettivamente tale fu non solo nella volontà esplicita dei due grandi protagonisti di allora ma anche negli attenti giudizi delle diverse opinioni pubbliche che si sono succedute nel tempo.
Testimonianza minore, ma non meno significativa ne fu, ad esempio, il volume che la Presidenza del Consiglio stampò nel 1986, per la cura di Margiotta Broglio e mia, e che conteneva tutti i materiali di documentazione politico-legislativa della lunga preparazione a quell’appuntamento con la storia: un volume che volemmo fosse appunto intitolato «Un accordo di libertà».
Perché il Concordato dell’84, sfrondando ed innovando quello del 1929, ne aveva fatto decadere ogni ombra di privilegio riservato alla Chiesa cattolica, come potè testimoniare coerentemente tanta parte della legislazione successiva (anche quella contenente la criticata esenzione dell’Ici, non a caso estesa a molti), e come dimostrò allora la contemporanea messa in movimento dell’art.8, a trentacinque anni dal suo inserimento nella Costituzione. Il fatto è che, allora, si agì avendo ben presente che il rapporto dei cattolici italiani e della loro Chiesa con gli altri connazionali e con lo Stato era parte fondante di una lunga storia, si era costruito ed era evoluto con modalità che avevano visto strettamente intrecciati lungo i secoli i ruoli dei due soggetti, non fosse altro perché essi insistono sul medesimo territorio da tempo immemorabile, ed erano vissuti da sempre indissolubilmente «impastati» nel medesimo popolo.
Questa presa d’atto spiega convincentemente l’apparente incongruenza del primo comma dell’art.7 (se entrambi sono sovrani, chi stabilisce le reciproche competenze?), nel senso che dà ad esso quella che possiamo chiamare una moderna 'soluzione politica' del rapporto tra Stato e Chiesa cattolica nella democrazia della Repubblica: da un lato fornisce infatti garanzia costituzionale al regime pattizio, come previsto nel secondo comma; ma soprattutto afferma il principio programmatico dell’impegno alla «collaborazione», inserito da Craxi e da Casaroli, e con piena adesione, nell’articolo 1 del Concordato dell’84.
Il dato di fatto che questa ricorrenza consegna dunque, nuovamente, alla riflessione ed al confronto politico, è che, nel Concordato, si è venuto definendo storicamente tra i due soggetti un sistema di rapporti che non ha riscontro in nessuno altro ordinamento e che rappresenta un deciso salto di qualità rispetto alla formula cavourriana del «Libera Chiesa in libero Stato»; e che questo sistema di rapporti, per poter funzionare, presuppone reciproca fiducia, rispetto, collaborazione appunto; in sintonia, ripeto, con un dato profondo della storia italiana, allora assunto come costitutivo: il ruolo decisivo che la Chiesa ha avuto, anche dialetticamente ed attraverso aspri contrasti, nella stessa costruzione dell’identità del nostro Paese.

Oggi occorre avere ben presente l’assetto che ci consegna questa storia, certamente per nulla disprezzabile soprattutto se la confrontiamo con i tempi che corrono. Esso poggia su basi ben solide e potrà quindi essere proficuamente utilizzato nel momento in cui saremo chiamati a confrontarci con un futuro che viene assumendo palesemente caratteri di rottura epocale anche rispetto al passato recente, e che sta già avendo conseguenze rilevanti nella vita sociale e nella politica, mossa com’è dalla forza dirompente dell’economia globalizzata e dagli sviluppi della tecnologia applicata alla scienza.

Che il confronto tra modernità e cristianesimo trovi oggi motivo di attualità sia nella testimonianza di Papa Ratzinger che in molte iniziative della Chiesa italiana, non ho bisogno di illustrarlo ai lettori di «Avvenire».

Quello che non emerge, o almeno che non mi appare messo in evidenza come dovrebbe, è che la sostanza politica della sfida che oggi la modernità porta al Cristianesimo (ed, in Occidente, alla Chiesa cattolica) non è più identificabile in quella che fu nell’800 e per gran parte del secolo scorso: è cioè di natura, diciamo così, politico-organizzativa (i confini dei due poteri, immaginati da Cavour e dai suoi eredi; gli aspetti giuspubblicistici del ruolo della religione, studiati dai canonisti e dai giuristi della scuola moderna; lo spazio da riservare o da concedere alla presenza dei cattolici nell’assistenza e nell’istruzione), ma sta diventato sempre più, per ragioni oggettive, il mutamento dell’asse antropologico-culturale su cui ruota la società intera. Lo ha rilevato bene pochi giorni fa, Galli della Loggia («Corriere della sera» del 12 febbraio) affermando, in risposta alla paventata ondata neoguelfa immaginata da Aldo Schiavone, che è proprio «questo drammatico interrogativo sul futuro» a «rilegittimare potentemente la dimensione religiosa, candidandola ad occupare nuovamente in tutto l’Occidente uno spazio pubblico».
E’ dunque possibile che, nei tempi che abbiamo dinnanzi, le conseguenze della sfida che la modernità sta portando al Cristianesimo ed alla Chiesa cattolica possono condurre anche in Italia, come di fatto sta già iniziando ad avvenire, alla riproposizione di un ruolo pubblico della religione, leggibile addirittura come supplenza di quella che Galli indica (nel testo che ho citato) come «stupefacente condizione di resa intellettuale» della cultura laica, rispetto ai tanti che ritengono «che esistono cose ben più importanti della scienza».

Penso che il Concordato dell’84 abbia in sé le ragioni sufficienti per confrontarsi positivamente con tutto ciò, essere cioè strumento attivo anche di fronte ai problemi con cui dovremo confrontarci in quella che è riconoscibile come una nuova era. Pur se pensato su di un modello di altra epoca, anche se molto modernizzato, il Concordato italiano rimane innanzitutto «un accordo di libertà», fondato sull’impegno «alto» e reciproco tra Stato e Chiesa a collaborare per il «bene dell’uomo e lo sviluppo del Paese».
Quanto basta per camminare verso i tempi nuovi ad occhi aperti e con la guida giusta.

© Copyright Avvenire, 19 febbraio 2008

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