3 febbraio 2008

Quel vizietto di tirare la tonaca (Eco di Bergamo)


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Quel vizietto di tirare la tonaca

I mass media italiani hanno il maledetto vizio di interpretare liberamente le parole della Chiesa e di tirare i vescovi per la tonaca.

Soprattutto quando c'è di mezzo la politica. Soprattutto quando cade un governo (c'è pure chi ha scritto che la coppia Ruini-Ratzinger avrebbe, con la famosa udienza domenicale per solidarizzare con il Papa per la mancata visita alla Sapienza, dato una spallata per far crollare Prodi: addirittura).

Anche le recenti parole del vicesegretario della Conferenza dei vescovi italiani sono state travisate. Monsignor Betori, in settimana, aveva semplicemente esortato «i soggetti politici a mettere davanti il bene comune rispetto agli interessi di parte». Il consiglio di Betori era avere «fiducia nel capo dello Stato». Su queste semplici – e apparentemente inequivocabili – dichiarazioni si è scatenata la carta stampata la quale, tutta presa dal sacro furore di quel pregiudizio che pensa alla Chiesa come a un partito preoccupato di salvaguardare sempre interessi personali, ha equivocato eccome, schierando politicamente i vescovi da una parte ben precisa. Alcuni assaggi? «La Cei: “Meglio la fine del maggioritario”» (La Stampa); «I vescovi tifano per l'accordo: è indispensabile la riforma della legge elettorale» (Il Messaggero); «La Cei invoca l'intesa: “Prevalga il bene comune”» (Corriere della Sera); «Vescovi, industriali e sindacati: quell'asse contro le elezioni» (Il Giornale).

Insomma, una bella varietà di svarioni pregiudiziali. Curioso: i giornali che da una parte stigmatizzano i vescovi – che peraltro non sono tenuti a intervenire su tutto – per le loro continue invasioni di campo in materia politica, dall'altra sono gli stessi che poi del giudizio della Chiesa non possono farne a meno.

Il problema è che lo zelo partigiano dei giornali è così forte da far dichiarare ai vescovi quello che loro avrebbero gradito sentirsi dire ma che in realtà i vescovi non hanno mai detto.

© Copyright Eco di Bergamo, 3 febbraio 2008

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