20 febbraio 2008

Riflessione sulla Nota dottrinale su alcuni aspetti dell'evangelizzazione: "Slancio missionario e libertà di coscienza" (Osservatore)


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Riflessione sulla Nota dottrinale su alcuni aspetti dell'evangelizzazione

Slancio missionario e libertà di coscienza

di Francesco Maceri

La recente Nota dottrinale su alcuni aspetti dell'evangelizzazione della Congregazione per la Dottrina della fede intende chiarire il rapporto tra il dovere dei credenti di aiutare gli uomini, con la parola e la testimonianza, ad incontrare Cristo nella fede e il rispetto della coscienza e della libertà religiosa di tutti. Nelle riflessioni che seguono considereremo direttamente la libertà e il rispetto della coscienza, dal momento che la libertà religiosa ne è un caso specifico. Il supremo esercizio della libertà con cui l'uomo cerca "spontaneamente il suo Creatore" e "tende al suo fine con scelta libera del bene" (Gaudium et spes, 17) si radica nella profondità della coscienza, là dove la persona è sola con Dio, fa esperienza della sua carità e perciò scopre la legge dell'amore di Dio e del prossimo. La dignità e l'autenticità della libertà della persona sono poste in gioco nella coscienza, perché in essa avviene l'incontro originario con Dio e con Cristo, e dalla sua rettitudine dipende l'allontanamento da ogni arbitrio (cfr Gaudium et spes, 16).

A causa di "una crescente confusione", molti ritengono "che ogni tentativo di convincere altri in questioni religiose sia un limite posto alla libertà", e che "sarebbe lecito solamente esporre le proprie idee e invitare le persone ad agire secondo coscienza, senza favorire una loro conversione a Cristo e alla fede cattolica" (n. 3).

Ne consegue un indebolimento dello slancio missionario sia "verso coloro che non conoscono Cristo" sia "verso coloro che non seguono più la prassi cristiana".

Più in profondità, l'oscuramento è di ordine cristologico. Riguarda l'identità e la mediazione salvifica del Figlio incarnato, l'offuscamento della verità cristiana irrinunciabile che "la redenzione del mondo (...) è, nella sua più profonda radice, la pienezza della giustizia in un Cuore umano: nel Cuore del Figlio primogenito, perché essa possa diventare giustizia dei cuori di molti uomini, i quali proprio nel figlio primogenito sono stati, fin dall'eternità, predestinati a divenire figli di Dio" (Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, 9). La sfida più radicale e bruciante che si presenta all'uomo tramite la coscienza e l'esperienza religiosa riguarda infatti proprio la verità salvifica, un avvenimento che investe tutta la persona, e non solo la verità come oggetto del pensiero. "Tutto il cuore dell'uomo, infatti, attende di incontrare Gesù Cristo" (n. 10).
La confusione investe anche l'impegno ecumenico: le dimensioni dell'ascolto, del dialogo rispettoso della verità e della carità e della discussione teologica sono separate dalla "testimonianza e annuncio degli elementi che non sono tradizioni particolari o sfumature teologiche bensì appartengono alla Tradizione della fede stessa" (n. 12).
Accogliendo e sviluppando alcuni contenuti e alcune argomentazioni della Nota nella prospettiva dischiusa da tali verità, desideriamo mostrare "perché" l'autentico rispetto della coscienza da parte dei "credenti in Cristo" non impedisce l'annuncio esplicito del Vangelo, ma lo esige.
Anzitutto è necessario indicare qual è la natura della coscienza, per intendere il significato autentico e le esigenze concrete del rispetto che le è dovuto. Con il termine "coscienza morale" il Concilio Vaticano II ha designato una realtà complessa. Non più in prima istanza la "voce" di un ordine morale che esprime le relazioni necessarie tra gli uomini e il loro rapporto con Dio a somiglianza dei rapporti di necessità delle creature impersonali fra di loro e con il Creatore, ma la messaggera di Dio per illuminazione interiore. Alla luce dell'intero contenuto del primo capitolo De humanae personae dignitate della prima parte della Costituzione pastorale Gaudium et spes, si deve affermare che, per il Vaticano II, la coscienza indica la persona stessa nella sua attività propria e nel suo dinamismo. Indica l'interiorità dell'uomo, nella cui profondità incontra personalmente Dio, dialoga con lui e diviene consapevole del suo orientamento essenziale all'amore del bene e della sua trascendenza. La coscienza può essere compresa nella sua pienezza solo dentro le coordinate antropologico-cristologiche fondamentali insegnate dal Concilio Vaticano II: il Figlio di Dio incarnato, morto e glorificato è la chiave, il centro e il fine dell'intera storia umana; l'uomo riceve da Dio per creazione una chiamata che in Cristo si compie definitivamente, così che in lui soltanto si riscontra il profilo definitivo della sua vocazione originale; questa chiamata si compie negli uomini per opera dello Spirito Santo, nella Chiesa sacramento di Cristo e mistero di comunione, e in dialogo con tutti gli uomini (cfr Gaudium et spes). La coscienza pertanto si presenta con tratti di natura personalistica, cristologica, ecclesiale e di apertura agli altri. Si tratta di caratteristiche unite tra loro inseparabilmente a causa di Cristo. Alfa e Omega, Capo e Corpo, egli è sorgente e vertice di tutte le creature tanto sul piano della creazione quanto su quello della redenzione e santificazione (cfr Lettera ai Colossesi, 1, 15-20; Lettera agli Efesini, 1, 3-23). Ne segue che la coscienza morale, nucleo più segreto e sacrario dell'uomo, va pensata e compresa nel legame di provenienza e destinazione con il mistero di Cristo. Newman aveva colto ed espresso questa necessità con chiarezza: "La coscienza non è un egoismo lungimirante, né il desiderio di essere coerenti con se stessi, bensì la messaggera di Colui, il quale, sia nel mondo della natura sia in quello della grazia, ci parla dietro un velo e ci ammaestra e ci governa per mezzo dei suoi rappresentanti. La coscienza è l'originario vicario di Cristo, profetica nelle sue parole, sovrana nelle sue perentorietà, sacerdotale nelle sue benedizioni e nei suoi anatemi" (J. H. Newman, A Letter addressed to His Grace the Duke of Norfolk on occasion of Mr. Gladstone's Recent Expostulation of 1874, London, B. M. Pickering, 1875). Per Newman, chi ci parla tramite la coscienza è il Legislatore e il Redentore, colui che ci istruisce e ci guida attraverso i suoi rappresentanti visibili. Essere solus cum Solo nella interiorità e profondità della propria coscienza non isola la persona, ma la dispone all'apertura e accoglienza in Dio di tutte le cose.
Il pieno rispetto della coscienza comporta il riconoscimento e l'alta considerazione della sua vera natura: luogo interiore in cui si danno la presenza incoativa e la rappresentanza originaria di Cristo profeta, re e sacerdote. Queste si spiegano per il fatto che l'uomo porta dentro di sé l'impronta della Legge eterna e vivente di verità e perfezione, dell'Immagine degli attributi inaccessibili di Dio, dello splendore del Figlio (cfr J. H. Newman, Parochial and Plain Sermons) e per l'amore eterno e gratuito di Dio che lo ha predestinato a essere suo figlio adottivo. Il Vangelo pertanto corrisponde propriamente alla natura della coscienza. Esso possiede un'energia che gli permette di entrare in rapporto con la coscienza, di stabilire con essa una consonanza profonda (Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 4). La legge che l'uomo scopre nell'intimo della sua coscienza - che non è lui a darsi, ma alla quale deve obbedire e che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male (cfr Gaudium et spes 16) - trova in Cristo sia "il "compimento" vivo" che "ne realizza il significato autentico con il dono totale di sé", sia colui che "dà mediante lo Spirito la grazia di condividere la sua stessa vita e il suo stesso amore" (Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, 15). L'evangelizzazione non costituisce alcuna forma di prevaricazione sulla libertà della coscienza. Chi annuncia il Vangelo non impone nulla, ma offre la luce che rileva e rivela Colui che nella coscienza da sempre è presente ma non conosciuto, è udito ma non identificato, è cercato ma non mostrato manifestamente. Proprio in questa consonanza si realizza compiutamente il rispetto autentico, il quale esige sia il riconoscimento e l'accoglienza della vocazione propria di ogni persona sia l'aiuto a progredire nella sua maturazione e attuazione.
Fin qui abbiamo cercato di mostrare la legittimità e la convenienza dell'annuncio del Vangelo nella prospettiva delle caratteristiche personali e cristologiche della coscienza morale che il Concilio Vaticano II ci ha aiutato a scoprire. Ora vogliamo mostrare la correlazione tra l'evangelizzazione e la coscienza morale dal punto di vista dell'indole di apertura agli altri della coscienza.
Con questa riflessione non ci discostiamo dalle considerazioni svolte dalla Nota ma, restando dentro la prospettiva propria della coscienza, riprendiamo alcune verità antropologiche da essa espresse. Ci riferiamo in particolare alla dichiarazione che "chi pensa di fare affidamento soltanto sulle proprie forze, senza riconoscere il bisogno che ciascuno ha dell'aiuto altrui, si inganna. (...) La necessità di affidarsi alle conoscenze trasmesse dalla propria cultura, o acquisite da altri, arricchisce l'uomo sia con verità che egli non poteva attingere da solo, sia con quei rapporti interpersonali e sociali che egli sviluppa" (n. 5). Ricordando quanto il Concilio Vaticano II ha insegnato, si deve affermare che la ricerca della verità in modo rispondente alla natura sociale dell'uomo si compie, oltre che per mezzo dell'intelligenza e della volontà, soprattutto attraverso la coscienza. "Gli imperativi della legge divina l'uomo li coglie e li riconosce attraverso la sua coscienza, che è tenuto a seguire fedelmente in ogni sua attività per raggiungere il suo fine che è Dio" (Dignitatis humanae 3). Nella "fedeltà alla coscienza" gli uomini, indipendentemente dalla loro fede, lingua e cultura, sono spinti al dialogo tra loro e all'unità, e si sforzano per cercare la verità e per risolvere secondo verità tanti problemi morali, che sorgono tanto nella vita dei singoli quanto in quella sociale. Ne consegue che "l'attività con cui l'uomo comunica ad altri verità ed eventi significativi dal punto di vista religioso, favorendone l'accoglienza" (cfr n. 7) non può considerarsi una mancanza di rispetto della coscienza, bensì è il segno della piena stima della sua attitudine a cercare le risposte alle domande più profonde che sgorgano dai singoli cuori, dalla varietà delle culture, dalle diversità degli uomini e dai loro problemi. L'evangelizzazione è in consonanza con l'esigenza umana di formarsi una coscienza retta. Si può obiettare che quello che si dovrebbe evitare non è tanto la "proposta" di ciò che si ritiene vero per sé, quanto lo scopo prefissato che gli altri possano aderirvi a loro volta. Questa critica implica un fraintendimento della realtà profonda dell'evangelizzazione. Essa è la comunicazione viva del proprio incontro con Cristo nella fede. È nella natura di questo incontro di salvezza accendere il cuore di chi lo sperimenta con un amore verso il prossimo che muove a ridonare disinteressatamente ciò che gratuitamente si è avuto! Chi propone ad altri la Buona Novella che ha ricevuto e accolto nella fede sente dentro di sé l'urgenza, il peso e la gioia del mandato missionario, e ha sperimentato di non poter separare la propria salvezza dalla ricerca di quella altrui (cfr Prima Lettera ai Corinzi, 15, 1-3; Prima Lettera di Giovanni, 1, 1-4). "La Chiesa non fa della misericordia a lei concessa dalla bontà divina un esclusivo privilegio, non fa della propria fortuna una ragione per disinteressarsi di chi non l'ha conseguita; sì bene della sua salvezza fa argomento d'interesse e di amore per chiunque le sia vicino e per chiunque, nel suo sforzo comunicativo universale, le sia possibile avvicinare" (Paolo VI, Ecclesiam suam, 65). Nell'opera di evangelizzazione non c'è niente di presuntuoso e aggressivo, anzi la comunicazione del bene è rispondente alla realtà antropologica (cfr n. 7).
La Nota suggerisce anche una riflessione sui vantaggi che l'evangelizzazione reca alla coscienza dei suoi protagonisti. "L'evangelizzazione è una possibilità di arricchimento non soltanto per i suoi destinatari ma anche per chi ne è attore e per la Chiesa tutta" (n. 6). Mettendo il Vangelo in dialogo con gli elementi positivi e negativi delle culture, "essa può svelare delle potenzialità del Vangelo poco esplicitate in precedenza, che arricchiranno la vita dei cristiani e della Chiesa" (ivi). La coscienza del credente non è estranea a tutto ciò. Il dialogo della verità e della carità la apre verso il centro del suo valore e significato cristiani, contribuisce alla sua formazione e la rende luogo ancor più trasparente dell'incontro con la Trinità. Con il Padre, sorgente del pensiero, dei primi elementi di ogni essere e della loro bontà; con il Figlio, nel quale e per il quale tutto è stato creato ed è con gli uomini e in mezzo a loro con una presenza più gloriosa e potente di quando era visibilmente sulla terra; con lo Spirito Santo, il quale perfeziona nelle varietà delle situazioni umane il disegno del Padre compiuto una volta per sempre nel Figlio. Inoltre, partecipando all'opera di evangelizzazione la coscienza del credente partecipa al compito della Chiesa di "scrutare i segni dei tempi e interpretarli alla luce del vangelo" per "discernere nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio" (Gaudium et spes, 4 e 11). Così consolida e arricchisce la sua dimensione ecclesiale.
Infine, trattando delle implicazioni ecumeniche, la Nota rileva che, esclusa ogni debita pressione e sollecitazione disonesta, "se un cristiano non cattolico, per ragioni di coscienza e convinto della verità cattolica, chiede di entrare nella piena comunione della Chiesa cattolica, ciò va rispettato come opera dello Spirito Santo e come espressione della libertà di coscienza e di religione" (n. 12). Nell'attività di evangelizzazione l'inganno, gli interessi egoistici e l'arroganza si possono affiancare, sino a sostituirlo, al movente originario della volontà divina di salvezza per tutti gli uomini. Si viene così a mancare gravemente di rispetto alla dignità e alla coscienza degli altri (cfr n. 8). Nella storia questo è avvenuto. Le molteplici trasgressioni e colpe del passato non devono dar vita nei credenti di oggi al senso di colpa problematico, ma al senso del peccato. Il primo conduce alla svalutazione dell'evangelizzazione, il secondo porta al pentimento e all'esperienza dell'amore misericordioso di Dio che rinnova il cuore e trasforma il peccatore in ardente missionario: "Contro te ho peccato (...) Purificami e sarò mondato (...) Insegnerò agli erranti le tue vie e i peccatori a te ritorneranno" (Salmi, 51, 6.9.15). L'evangelizzatore è un peccatore riconciliato da Dio (cfr Seconda Lettera ai Corinzi, 4, 1). L'intima consapevolezza di questa verità è la migliore garanzia della fedeltà al comando missionario di Cristo unita al rispetto dovuto alla coscienza.

(©L'Osservatore Romano - 20 febbraio 2008)

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