18 settembre 2008

Mente e cuore nel "mestiere" di Benedetto XVI: D'Agostino risponde a Schiavone


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CRITICHE AMABILI E CAPZIOSE

MENTE E CUORE NEL «MESTIERE» DI BENEDETTO XVI

FRANCESCO D’AGOSTINO

Che la vocazione più autentica del pontificato di Benedetto XVI sia quella di toccare le menti prima che i cuori (come è stato autorevolmente osservato da Aldo Schiavone su Repubblica del 15 settembre) può di certo essere un’affermazione condivisibile, almeno se si considera il fatto che l’uomo Joseph Ratzinger si è formato ed affermato come teologo e che nessun impegno pastorale, neanche quello di Papa , ha potuto in passato e può oggi alterare questo dato costitutivo della sua identità.

Ma si deve aggiungere subito che non è possibile toccare davvero le menti degli uomini, se non mirando ai loro cuori: una mente senza cuore (o indifferente alle ragioni del cuore) è quella di un computer, non quella di un essere umano. Ed è vero anche il reciproco: com’è possibile toccare il cuore di un uomo, senza passare attraverso la sua mente?

L’amore, anche il più appassionato e fervido, per riuscire autentico dev’essere credibile ed è alla mente che va affidato questo filtro, questo controllo di credibilità. Un amore completamente e ottusamente cieco può anche essere toccante, ma è inevitabilmente carente – a volte anche in modo imbarazzante – di dignità e può al limite essere il primo indizio dell’insorgere di una psicopatologia. Mente e cuore sono quindi due termini che non possono essere disgiunti, a meno di non perdere l’esatta valenza dell’uno come dell’altro. Analogamente, ha spiegato il Papa nel suo ultimo grande discorso francese, 'libertà' è termine che non può essere disgiunto da 'legame'. Solo questo nesso salva l’uomo da una parte dall’'arbitrio soggettivo', che esalta unicamente la libertà, e dall’altra dal 'fanatismo fondamentalista', che legge il rapporto tra Dio e gli uomini essenzialmente attraverso la categoria del vincolo, della legge o appunto del 'legame'.
In questa riflessione Benedetto XVI ha ancora una volta riaffermato la perfetta coincidenza tra l’insegnamento cristiano (che chiama l’uomo a ubbidire a Dio e a riconoscere il legame che a Lui lo unisce, come creatura al suo Creatore) e quello della filosofia classica, che, da Socrate ed Aristotele a Kant e Rosmini, ha sempre insistito sul fatto che l’autonomia morale dell’uomo è orientata non all’esaudimento dei desideri soggettivi della persona, ma alla realizzazione del bene umano oggettivo. Ed è proprio qui, osserva Schiavone, che per un laico sorgono le difficoltà: come determinare in concreto questo bene umano oggettivo? Perché la Chiesa non prende atto che la libertà opera sul piano della storia e oggi essa impone che l’uomo si emancipi dalla sua naturalità e costruisca liberamente se stesso?
A una simile domanda non si può offrire senza rischi di banalizzazione una risposta sintetica. Ma un’osservazione è possibile e doveroso farla, a partire da quella sintesi tra mente e cuore da cui abbiamo preso le mosse. In questa sintesi, infatti, si condensa ogni esigenza di storicità: se infatti la mente può ben ragionare 'in astratto' (cioè al di fuori della storia, come nel caso esemplare del pensiero matematico), il cuore non può che vivere nel concreto dell’esperienza quotidiana, e quindi storica, della vita. Nella formula usata da Schiavone (emancipazione dalla naturalità e libera costruzione dell’io) si nasconde l’insidia temibile di una 'progettazione' artificiale dell’umano che può sì rispondere alle esigenze di menti altamente raffinate, ma che contraddice profondamente le ragioni del cuore.
Quei precetti ecclesiali (ad esempio sull’indissolubilità del matrimonio) su cui Benedetto XVI è tornato a soffermarsi e che secondo Schiavone (ma a torto) la Chiesa elabora riconoscendo loro una 'diretta origine sovrannaturale', cioè dogmaticamente, sono invece indicazioni tutt’altro che dogmatiche, perché sono volte a tenere congiunti mente e cuore: il matrimonio dev’essere, ad esempio, una decisione matura e razionale, che solo la mente può elaborare, ma l’unione coniugale e la fedeltà esigono un costante impegno di amore, che solo il cuore è in grado di custodire. Qui non è in gioco l’emancipazione dell’uomo dalla natura, ma la comprensione che nella natura umana mente e cuore, anima e corpo si fondono e si confondono.

© Copyright Avvenire, 18 settembre 2008

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