6 febbraio 2008

Giuristi cattolici: «Sull’aborto serve nuovo impegno». Kustermann: «Feto vivo? Va sempre rianimato»


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A favore di politiche sociali per la maternità l’iniziativa dell’Ugci in occasione della Giornata

Giuristi cattolici: «Sull’aborto serve nuovo impegno»

«Vanno denunciati i limiti» della 194, «disapplicata in modo colpevole» sulla tutela della vita

DA ROMA GIANNI SANTAMARIA

E' «indispensabile» applicare «ri­gorosamente » l’articolo 7 della legge 194, che prevede di «sal­vare la vita del nascituro», se l’aborto viene richiesto «quando sussista la possibilità di vita autonoma del feto». E di farlo tenendo conto degli «svi­luppi più recenti della neonatologia». Lo sostiene un documento stilato dal Consiglio centrale dell’Unione giuri­sti cattolici italiani (Ugci), che porta la data del 1 febbraio e uscirà sulla rivi­sta Iustitia. Nel testo, redatto in occasione della 30ª Giornata della vita, non solo si passano in rassegna, per confutarle, alcune idee giuridiche e le conse­guenti prassi che l’Unione ritiene sba­gliate in materia di applicazione del­la legge 194. Ma si registra anche un risveglio positivo in atto, che giustifi­ca

Un nuovo impegno in tema di a­borto.

È proprio questo il titolo delle quattro pagine, fitte di riflessioni giu­ridiche, che si occupano anche del delicato tema del «contrasto di inte­ressi tra nascituro e gestante» e di quella che viene definita «la pretesa insindacabilità giuridica» della deci­sione di abortire. Il testo, poi, appog­gia l’iniziativa –«fondata e degna di essere sostenuta» – di una moratoria internazionale. Insomma, va a tocca­re quei gangli che l’iniziativa lanciata da Giuliano Ferrara e, nei giorni scor­si, il documento della cliniche uni­versitarie romane di ginecologia han­no riportato sotto il fuoco delle pole­miche.
Il pronunciamento parte da un 'no' a un «ulteriori avalli a una legislazio­ne abortista» e da un 'sì' all’«attiva­zione di politiche sociali a favore del­la maternità» tanto più urgenti quan­to più si consideri la crisi demografi­ca del mondo occidentale. Per l’asso­ciazione è questo il modo in cui oggi deve sempre più passare la «giusta e doverosa tutela delle donne». L’Ugci lamenta innanzitutto il fatto che la le­galizzazione dell’interruzione di gra­vidanza abbia favorito nell’opinione comune «un indebolimento del va­lore intrinseco e non funzionale del­la vita umana, soprattutto se malata». Tanto da aver generato usi linguistici freddamente burocratici o eufemisti­ci: 'prodotto del concepimento' o Igv. Poi, pur senza entrare nei dettagli di una possibile revisione politica della 194, i giuristi cattolici sentono il «do­vere » di «denunciarne con fermezza i limiti» e di «auspicare l’attivazione di ogni possibile misura di prevenzione degli aborti eugenetici, selettivi o, co­munque posti in essere ai fini di co­n­È trollo delle nascite». Insomma, per i giuristi cattolici la legge è stata disap­plicata in modo «colpevole» e «inten­zionale » in quelle parti che «stabili­scono precise linee di condotta e ob­blighi a tutela della vita» ed è stata in­terpretata «in modo indebitamente estensivo per qual che concerne le cause di richiesta legale di aborto».
Dopo aver ricordato come la pratica dell’aborto sia sempre eticamente i­naccettabile – ancor di più se inseri­ta in politiche sulla natalità di alcuni Paesi – e come spesso la diagnosi non serva a impostare cure prenatali, ma ad avallare l’interruzione di gravi­danza per paura della disabilità, il do­cumento passa a confutare le giusti­ficazioni di carattere giuridico porta­te da più parti a sostegno di un ri­spetto assoluto della volontà della donna. Secondo la «semplicistica li­nea interpretativa fatta propria dalla Corte costituzionale – sottolinea il te­sto dell’Ugci – sarebbe, infatti, da ri­tenere prevalente l’interesse a inter­rompere la gravidanza di chi è già per­sona (la donna) rispetto all’interesse a nascere di chi persona dovrebbe an­cora diventare (il nascituro)». Le o­biezioni dei giuristi cattolici si ap­puntano su due elementi: uno scien­tifico, l’altro relazionale, che tiene conto anche del figlio e del padre. Dal primo punto di vista, infatti, la scien­za dimostra che «non c’è salto onto­logico », che la vita si sviluppa pro­gressivamente di fase in fase. La gra­vidanza, poi, non va riferita «esclusi­vamente al vissuto femminile» e il di­ritto ritiene questa argomentazione debole in quanto esso si pone come «garante della relazionalità e dei sog­getti relazionalmente deboli».
L’Ugci contesta, infine, la richiesta che le sostanze di tipo chimico – per non far annidare l’embrione o per espel­lerlo – vengano sottratte a un con­trollo giuridico e sociale di tipo «re­pressivo ». Invece il diritto è tenuto a esercitarlo, perché tali farmaci han­no una «rischiosità obiettiva» e con­figurano un uso «privato, cioè non controllato».
Cresce nell’associazionismo ma anche nel mondo scientifico la richiesta di «fare il tagliando» alla 194, soprattutto con l’obiettivo di dare piena applicazione agli articoli sulla promozione e sulla tutela della maternità, mai davvero applicati in questi decenni.

© Copyright Avvenire, 6 febbraio 2008


«Feto vivo? Va sempre rianimato»

Kustermann

La responsabile del centro di diagnosi prenatale della Mangiagalli torna sulle polemiche seguite al documento delle università romane: «Fare tutto il possibile è il dovere di noi medici»

DA MILANO ILARIA NAVA

«Non capisco perché sono state sollevate tante polemiche quando siamo tutti d’accordo sul fatto che il compito del medico è salvare la vita del paziente, anche quando si tratta di un neonato prematuro». Alessandra Kustermann, responsabile del centro di diagnosi prenatale della clinica Mangiagalli di Milano ci tiene a rivendicare per tutti i medici - sia cattolici che non, come lei ­il ruolo di sostenitori della vita, «un concetto che sto ripetendo da tre giorni». Il riferimento è alle recenti polemiche scaturite dopo che il gruppo di lavoro insediato dal Ministero della Salute ha licenziato un documento sulla rianimazione dei prematuri e dopo che un gruppo di primari romani ne ha sottoscritto un altro in cui si sottolinea l’importanza dell’assistenza al neonato, indipendentemente dall’età gestazionale.

Mi sembra di capire che è piuttosto infastidita dal modo in cui i giornali stanno trattando l’argomento....

Non comprendo il motivo di tanta enfasi, visto che nella realtà non mi pare ci siano discordanze: siamo tutti medici, e il nostro compito è salvare vite. Non dipende dal fatto di essere cattolici o meno, è un ruolo che il medico ha in quanto tale e che gli proviene anche dal giuramento di Ippocrate e dal codice deontologico, senza contare il fatto che comportarsi diversamente vorrebbe dire praticare l’eutanasia neonatale. Dal momento della nascita il feto diventa un neonato e in quanto tale un nostro paziente, che ai sensi dell’articolo 32 della Costituzione ha diritto alle nostre cure al pari di tutti gli altri cittadini.

Secondo lei, quindi il documento del Ministero e quello dei medici romani dicono la stessa cosa?

Nella sostanza sì, con la sola differenza che il secondo pone maggiormente l’accento sulla rianimazione. Ma entrambi affermano ciò su cui tutti i medici sono d’accordo: specificano che le azioni rianimatorie vanno personalizzate. Inoltre sono concordi nel dire che i neonati prematuri, anche di 23 settimane, vanno sempre rianimati.
Anche nei rari casi in cui nascano prima, ossia a 22 settimane, se vitali, vanno rianimati.
D’altronde nessuno può avere la certezza, in quell’istante, che sia corretta l’epoca di gravidanza. Ma è una cosa che noi medici abbiamo sempre fatto e continueremo a fare, e nessuna legge potrebbe obbligarci a fare diversamente. Neppure il Ministro Turco ha detto qualcosa di diverso, mi chiedo se le sue parole non siano state fraintese.

In questo discorso che ruolo assegnare alla volontà della madre di non rianimare il neonato?

Innanzitutto è necessario sgombrare il campo da equivoci: stiamo parlando di aborti spontanei, perché l’aborto 'terapeutico' non si può praticare quando il feto ha possibilità di vita autonoma, come dice la 194. Il supposto contrasto tra il medico e la madre sull’opportunità di rianimare, quindi, non si realizza, perché entrambi vogliono fare di tutto per salvare il piccolo. In ogni caso in sala parto solitamente non c’è tempo, nell’urgenza determinata da un nascita così prematura, per confrontarsi con i genitori.

Come lei ha ricordato prima, a un neonato nato a 22 settimane non vitale, secondo il documento del Ministero, sono dovute solo cure compassionevoli. Cosa ne pensa?

È bene tenere presente che sono indicazioni orientative, basate su studi statistici, e comunque nel documento si ribadisce che le procedure rianimatorie devono essere personalizzate; ci possono essere margini di errore nella valutazione dell’età gestazionale e differenze tra un neonato e un altro, anche della stessa età, in relazione alla risposta alle terapie. Un’indicazione di questo tipo, quindi, non è certo finalizzata a lasciar morire i neonati, ma ad esempio, a valutare se a 22 settimane è il caso o meno di rischiare il trasporto in utero, pericoloso per la gestante e per il bimbo, da un ospedale che non ha l’unità di terapia intensiva neonatale, verso uno che ha questo reparto.

© Copyright Avvenire, 6 febbraio 2008

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