6 febbraio 2008

Ripartire da Aparecida: un imperativo per tutta la Chiesa del Centroamerica (Osservatore Romano)


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Ripartire da Aparecida: un imperativo per tutta la Chiesa del Centroamerica

La missione della Chiesa in Costa Rica secondo monsignor Ulloa Rojas, presidente della Conferenza episcopale

di Nicola Gori

Ripartire da Aparecida. È la parola d'ordine della Chiesa del Costa Rica in questo inizio di 2008. I vescovi del paese - in questi in giorni in Vaticano per la visita ad limina - sono impegnati a tradurre le indicazioni della recente Conferenza dell'episcopato dell'America latina e dei Caraibi in "linee pastorali e sociali applicabili all'impegno ecclesiale nell'area centroamericana", come spiega in questa intervista a "L'Osservatore Romano" il Presidente della Conferenza episcopale, monsignor José Francisco Ulloa Rojas, vescovo di Cartago.

Che aspettative e speranze presenterete a Benedetto XVI durante la visita ad limina?

Al Papa vogliamo soprattutto mostrare alcuni dei valori tipici del nostro popolo, la sua vocazione e il suo amore per la pace e per la democrazia. Il nostro è un paese che si è sviluppato sui principi cristiani di giustizia sociale e di solidarietà. Per questo motivo i costaricani da mezzo secolo godono di una serie di garanzie sociali nel campo lavorativo, educativo e sanitario. Desideriamo inoltre illustrare a Benedetto XVI alcuni aspetti della vita e della Chiesa in Costa Rica. Noi vescovi viviamo il senso profondo della fraternità e dell'impegno pastorale dinanzi alle sfide che presenta una società sempre più secolarizzata, che minaccia i principi morali e spirituali del nostro popolo a maggioranza cattolica.

Qual è l'aspetto più preoccupante di questa secolarizzazione?

Una delle più grandi sfide riguarda la famiglia, dinanzi alla sua crescente disintegrazione e alla diffusione di piaghe come la violenza e la droga. Siamo convinti che salvare la famiglia è uno dei servizi più preziosi che la Chiesa può rendere all'umanità, perché essa è la base salda sulla quale si costruisce la nostra società.

E in che modo il patrimonio di fede e di cultura del paese può essere preservato da questi fenomeni?

Il secolarismo e il materialismo sono due realtà che stanno silenziosamente minando i principi cristiani e i valori morali. Allo stesso tempo, stanno corrodendo i valori tradizionali della nostra cultura. Come intervenire? La risposta non è facile. Cerchiamo di applicare i criteri che ci ha indicato Giovanni Paolo II: nuovi metodi e nuove espressioni, per una nuova evangelizzazione, soprattutto per quanti si sono allontanati dalla fede. Certo, la nostra azione pastorale non è ancora sufficientemente adeguata per affrontare una simile sfida pastorale. Dobbiamo passare da una pastorale di conservazione a una pastorale missionaria che giunga a tutti i battezzati e a tutte le persone.

Per fare questo, quali sono le scelte pastorali prioritarie?

Gli aspetti che la Chiesa in Costa Rica deve affrontare con maggiore attenzione sono quelli inerenti all'opera di evangelizzazione per una crescita e un impegno più grandi nella fede. La famiglia, come dicevo, sta smettendo di essere lo spazio di trasmissione dei valori cristiani e del senso religioso. Da ciò derivano le grandi sfide costituite dall'instabilità del matrimonio come base della famiglia, dalle correnti ideologiche che coinvolgono i giovani e dalla crescente disintegrazione familiare. La maggior parte del nostro popolo è cattolica, ma le mancano identità, convinzione e testimonianza della fede e dell'appartenenza alla Chiesa. Una grande preoccupazione pastorale è la formazione integrale, progressiva e sistematica dei laici, affinché assumano il ruolo che spetta loro quali membri attivi della Chiesa. Siamo consapevoli del fatto che è necessario infondere un senso missionario profondo negli operatori pastorali, al fine di porre la Chiesa in stato di missione.

Quali iniziative sono state intraprese nel campo della giustizia sociale?

Nel nostro paese la Chiesa, che gode di una grande credibilità pubblica, si è preoccupata di mettere in pratica il magistero sociale e ha sostenuto le iniziative e i programmi dei governi per una società più giusta e solidale. Essa può contare su un'organizzazione di pastorale sociale e di Caritas - a livello nazionale, diocesano e parrocchiale - che abbraccia tutte le dimensioni dei più bisognosi. Non vi è settore di indigenza o di emarginazione che non benefici dell'azione della Chiesa. Quest'ultima cerca di formare operatori al servizio della carità, mediante corsi sul magistero sociale. Si sforza inoltre di elaborare costantemente programmi di promozione umana, attraverso progetti produttivi, senza dimenticare i piani di assistenza e di emergenza. Inoltre, il magistero sociale dei vescovi, che si traduce in lettere pastorali e comunicati, è molto vasto. D'altro canto, la Chiesa è attenta a sostenere i programmi di protezione sociale che il governo promuove nel campo dell'educazione, dell'equità, della politica abitativa e della sanità.

Nel corso della stipula del trattato di libero commercio fra Costa Rica e Stati Uniti, la Conferenza episcopale del paese ha ammonito i governanti sulla necessità di tutelare il settore più fragile della popolazione. Che risultati avete ottenuto?

Da quando ha avuto inizio il dibattito sul trattato di libero commercio fra Centroamerica, Repubblica Dominicana e Stati Uniti d'America, noi vescovi della Conferenza episcopale non abbiamo smesso di illuminare le coscienze - con criteri tratti dal Vangelo e dal magistero sociale della Chiesa - circa gli effetti positivi o negativi per il futuro del Costa Rica, tenendo particolarmente conto dei destinatari, soprattutto dei settori sociali più vulnerabili. Ora, dopo il referendum che ha approvato il trattato, è necessaria l'approvazione di una serie di leggi complementari da parte dell'assemblea legislativa. Stiamo seguendo con molta attenzione il dibattito su tali leggi. Se si presentasse qualche proposta contraria ai principi di giustizia e di solidarietà o che attentasse in qualche modo alla vita, lanceremmo il nostro grido d'allarme.

Che influenza ha avuto in Centroamerica la Conferenza di Aparecida e quali sono i progetti in cantiere per il 2008?

Il documento conclusivo della V Conferenza dell'episcopato dell'America latina e dei Caraibi è per la Chiesa in Centroamerica la guida che indica il cammino da seguire per una pastorale che risponda alle sfide socio-politiche e religiose poste all'evangelizzazione dei nostri popoli, tanto diversi nel loro contesto culturale. Si tratta di un documento che bisogna divulgare fra le comunità affinché i suoi ricchi contenuti siano conosciuti e assimilati. In tutte le Conferenze episcopali dei paesi centroamericani sono stati elaborati piani di studio e di applicazione delle conclusioni di Aparecida. In questa luce, si stanno rivedendo e rinnovando i piani diocesani di pastorale, per poter fare dei nostri credenti discepoli e missionari di Gesù Cristo, affinché i nostri popoli abbiano la vita. Il Segretariato episcopale dell'America latina (Sedac), organismo che raggruppa tutti i vescovi centroamericani, nella sua ultima riunione plenaria tenutasi a Managua, in Nicaragua, nel mese di novembre, ha avuto come tema centrale di riflessione proprio il documento conclusivo di Aparecida, dal quale sono state tratte linee pastorali e sociali applicabili all'impegno ecclesiale nell'area centroamericana.

Più in generale, qual è oggi la situazione della Chiesa in Centroamerica?

I sei paesi che formano l'America centrale hanno ciascuno caratteristiche proprie di indole culturale, politica, sociale e religiosa. Esistono però anche elementi comuni per un'integrazione centroamericana. Si sa che sono paesi piccoli, con ricchezze naturali simili e con problemi sociali comuni, come la povertà, la violenza, l'insicurezza cittadina, il crescente deterioramento della famiglia e l'aumento delle droghe. Si stanno compiendo sforzi a livello politico ed economico per ottenere un'integrazione. Il trattato del libero commercio con gli Stati Uniti, ad esempio, è stato approvato a livello centroamericano. Per quanto concerne la Chiesa e noi vescovi, ci preoccupa l'incremento dei gruppi religiosi non cattolici e il loro proselitismo. Constatiamo però anche la graduale diminuzione di cattolici che lasciano la Chiesa. Peraltro, la maggioranza dei centroamericani continua a essere cattolica. La Chiesa cattolica continua a godere di una grande credibilità e si presenta come baluardo dei diritti umani: sta sempre dalla parte della giustizia, degli emarginati e di quanti possiedono meno. Noi vescovi ci sforziamo di vivere la comunione e di trovare insieme gli strumenti per dare una risposta a queste grandi sfide. Disponiamo di organismi pastorali che operano a livello centroamericano nel campo sociale, vocazionale, educativo e dei mezzi di comunicazione sociale. Ci siamo proposti di sostenerci a vicenda e di cercare linee comuni per tutta la regione. Per quanto riguarda la missione continentale chiesta dal Papa ad Aparecida, abbiamo organizzato alcune attività comuni.

Ci parli del ruolo dei laici nella vita della Chiesa e della presenza dei movimenti ecclesiali.

Esiste un protagonismo dei laici nei processi di evangelizzazione, ma non è sufficiente. Occorre dare impulso alla formazione alla fede e al magistero sociale della Chiesa, per un maggiore impegno dei laici nel campo dell'economia, della politica, dei mezzi di comunicazione sociale, delle università e delle diverse professioni. I movimenti ecclesiali svolgono un ruolo molto importante nella vita della Chiesa, sono loro a dare vitalità e a rendere testimonianza in tanti ambiti propri dei laici. Occorre un maggiore coordinamento fra di essi, per una maggiore efficacia e una migliore consulenza e assistenza da parte dei Pastori.

(©L'Osservatore Romano - 6 febbraio 2008)

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