12 settembre 2008

Card. Vingt-Trois: "In Francia una Chiesa pronta a prendere il largo" (Osservatore Romano)


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Le attese della comunità cattolica e di tutto il Paese alla vigilia della visita apostolica di Benedetto XVI

In Francia una Chiesa pronta a prendere il largo

di André Vingt-Trois
Cardinale arcivescovo di Parigi

Fra qualche ora Papa Benedetto XVI comincerà la sua prima visita apostolica in Francia. Il cardinale Ratzinger, eccellente conoscitore della cultura francese, ha soggiornato diverse volte nel Paese. In numerose occasioni nel corso di questi ultimi venticinque anni, è stato invitato a parlare in Francia davanti a un pubblico molto vario: a Notre-Dame de Paris, nell'Accademia delle Scienze Morali e Politiche, alla Sorbonne, o ancora a Caen, in occasione del sessantesimo anniversario dello sbarco degli alleati nel 1944.
Siamo tanto più grati per l'onore che ci fa in quanto ha accettato di prolungare il suo pellegrinaggio a Lourdes con un breve scalo a Parigi che conferirà alla sua visita una dimensione nazionale innegabile. Nel corso delle celebrazioni di Parigi e di Lourdes, il Papa incontrerà una rappresentanza importante dei cattolici di Francia. Inoltre, ha auspicato personalmente di incontrare la Conferenza episcopale dopo la concelebrazione di Lourdes con tutti i vescovi francesi. Quello che vivremo è dunque un vero incontro del Papa con la Chiesa che è in Francia.
Questa Chiesa è spesso criticata, perfino schernita, viene dipinta qua e là come un campo di macerie in cui sopravviverebbero solo alcuni gruppi particolari. Questa visione è profondamente ingiusta e inesatta. Certo, la realtà della nostra Chiesa è contrastata e per alcuni versi confusa. Tuttavia, anche se dobbiamo riconoscere un calo delle pratiche tradizionali (messe domenicali, battesimi dei bambini, catechismi, ecc.), nello stesso tempo dobbiamo rendere grazie per la vitalità delle comunità cattoliche (battesimi di adulti, incontri estivi, raduni di giovani ecc.) e per il maggiore coinvolgimento dei fedeli la cui appartenenza è più motivata e le scelte sono più ponderate. Non vi è più l'unanimità cristiana (c'è mai stata?), ma i cristiani, sono lì, vivi e attivi. Si occupano della vita delle loro comunità. Se ne fanno carico dal punto di vista finanziario, il che è una tradizione francese radicata ormai da oltre un secolo. Si occupano del funzionamento quotidiano delle attività ecclesiali. E soprattutto prendono attivamente parte alla missione dell'annuncio del Vangelo in tutti gli ambiti della loro esistenza.
La situazione della nostra Chiesa si spiega anche con i mutamenti della vita sociale che hanno caratterizzato l'ultimo mezzo secolo. La massiccia migrazione delle popolazioni rurali tradizionali verso gli agglomerati urbani con gli sconvolgimenti che hanno provocato questo esodo e la perdita di punti di riferimento che ne è seguita, hanno segnato profondamente la nostra società e le condizioni di trasmissione sociale in famiglia, a scuola e in Chiesa. Nello stesso tempo, lo sviluppo di diverse espressioni culturali e religiose, in particolare dell'Islam e del Buddismo, ha trasformato lo scenario religioso del nostro Paese. Il calo delle vocazioni dei sacerdoti e dei religiosi e delle religiose, i cui primi sintomi erano percepibili fin dalla seconda guerra mondiale, ha anch'esso aggravato la fragilità dell'universo cattolico. Davanti a queste trasformazioni è inevitabile che siamo chiamati a scoprire una forma di vitalità della Chiesa diversa da quella vissuta dal nostro Paese nel xix secolo e nella prima parte del xx. Quello che ci viene imposto è un vero lutto. Lo vivremo come la fine di un mondo o cercheremo piuttosto di discernere in questa crisi il cammino lungo il quale Dio ci chiama? È la grande sfida alla quale siamo di fronte.
Tale sfida è tanto più importante in quanto ci viene imposta in una congiuntura eccezionalmente propizia all'annuncio del Vangelo. I mutamenti sociali che ho appena menzionato si uniscono a una certa confusione rispetto alle concezioni del mondo a cui eravamo abituati. La promessa di un cambiamento radicale, i grandi progressi tecnologici, i programmi politici, la logica economica non sembrano oggi in grado di garantire un futuro di sicurezza ai nostri contemporanei. Mentre l'accentuarsi dell'individualismo spinge ognuno a proteggere le proprie convinzioni e a chiedere alla società una tutela di tipo "previdenziale" davanti ai rischi della vita, la mondializzazione economica e finanziaria mostra che molte decisioni importanti per l'esistenza di ognuno sembrano sfuggire a qualsiasi controllo. I timori, giustificati o fantomatici, che ne derivano accentuano la tendenza a proteggersi e l'ossessione di dover condividere i beni disponibili. L'ecologia come le ipotesi di condivisione del lavoro e delle risorse hanno poche possibilità di farsi udire in tale contesto. Tutti vogliono difendere il loro livello di vita, ma tutti sanno bene che le disuguaglianze nazionali o internazionali non permetteranno certamente di preservare la propria prosperità.
Cosa diverremo?
In questo contesto, l'annuncio del Vangelo assume una risonanza particolare. Il suo messaggio di speranza si oppone alla tentazione del fatalismo: l'umanità non è disarmata dinanzi ai rischi che corre. Il suo messaggio di amore si oppone alla legge dell'"ognun per sé" e invita a sviluppare la solidarietà nel nostro Paese, come nei confronti dei paesi di forte immigrazione. Il suo messaggio di verità si oppone all'illusione che tutte le opinioni si equivalgano e che non vi sia alcun modo di scegliere fra le concezioni della vita che si affiancano o che si contrappongono. La passione che esprime per la dignità dell'uomo si oppone a tutte le forme di strumentalizzazione dell'essere umano e a tutti gli attacchi alla sua dignità dal concepimento fino alla morte.
Questa parola di verità, di amore e di speranza, l'abbiamo ricevuta dalla nostra tradizione cristiana. Spetta a noi oggi assicurarne la messa in pratica e la trasmissione alle generazioni future. Quanti oggi cercano ragionevolmente di costruire una società più giusta e più tranquilla sono meglio che in passato disposti ad ascoltare quello che la saggezza cristiana può apportare per il bene di tutti. In altre epoche, il settarismo ideologico o l'illusione dei messianismi politici non permettevano gli scambi aperti che sono oggi possibili e a volte auspicati. È giunto il tempo per noi di "rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" (1 Pietro 3, 15). Non è il momento di rifugiarci in una contro-cultura protettiva. È il momento di "prendere il largo" per rispondere alle aspirazioni dei nostri contemporanei e per annunciare loro la Buona Novella alla quale crediamo.
In questo contesto, la visita apostolica di Benedetto XVI sarà un momento importante nel cammino della nostra Chiesa. Opererà in tre direzioni, inseparabili l'una dall'altra. Innanzitutto sarà una grande testimonianza della fede cristiana attraverso diverse celebrazioni presiedute dal Papa. Egli non viene qui per tenere dei meeting. Viene per celebrare la fede in Cristo Risorto. A questa testimonianza saranno associate le folle che si stringeranno attorno a lui, ma anche i fedeli più o meno esitanti o dubbiosi che vedranno con i loro occhi che, ancora oggi, il Vangelo è una forza per il nostro mondo. Poi la visita del Papa sarà un momento di comunione intensa con i vescovi francesi, non solo nelle celebrazioni alle quali parteciperanno nell'unica liturgia della Chiesa, ma anche nell'incontro che ci unirà a lui nel dialogo. Infine, attraverso la conferenza che terrà nel Collège des Bernardins il Papa ci consentirà di beneficiare della sua lunga riflessione sulla situazione della fede cristiana nella cultura contemporanea e sui rapporti fra fede e ragione. Attendiamo dunque la sua venuta con gioia e fiducia. I cattolici di Francia vi si stanno preparando da mesi, ma so anche che molti concittadini che non sono cattolici lo attendono con simpatia e interesse.

(©L'Osservatore Romano - 12 settembre 2008)

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